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Insegnare a comunicare: tra disagi e complessità

Gli anni della scuola: media e formazione

2. Insegnare a comunicare: tra disagi e complessità

A partire da quanto precedentemente detto è, allora, impor- tante che bambini e gli adolescenti possano accedere ad una for- mazione ai media che conceda loro gli strumenti per poter fruire della tecnologia essendone sapienti “gestori”. Il contesto discipli- nare che si è incaricato “storicamente” di far fronte a questo vuoto educativo è costituito da un insieme di studi che vanno sotto il nome di Media Education. Attualmente sono diffusi nel mondo oc- cidentale come una rifl essione, anche una rifl essione critica, sull’u- so dei media che solamente di recente si è imposta all’attenzione della scuola. Il mondo anglosassone, soprattutto, ha una tradizione

di più lunga data riguardo a questo settore di studi. Che cosa è la

Media Education?

Attualmente, la Media Education si pone a cavaliere tra le scienze dell’educazione e le scienze della comunicazione, è una di- sciplina relativamente recente e, a seconda dei punti di vista, la nascita della rifl essione che da essa scaturisce può essere posta nella seconda metà del Novecento. Buckingham (2002, trad. it. 2006) nel recuperare il percorso storico della Media Education analizza tre fasi, dagli anni Trenta del Novecento agli anni Cinquanta, pro- prio quando si condensò il lavoro dei critici letterari, che all’epo- ca si iniziarono a occupare di media, nella formula “discernere e resistere” (Ivi, p. 25), dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta con l’inizio degli studi sulle arti popolari, fra cui il cinema, e i Cultural

Studies (Ibidem), gli anni Settanta con la rifl essione centrale di Len

Masterman. Da allora, e soprattutto dalla metà degli anni Ottanta, l’introduzione di nuovi media ha reso urgente ciò che prima poteva essere considerata soprattutto una rifl essione su nuove tipologie strumentali. Nelle parole di uno dei maggiori studiosi di Media

Education questa “si propone di sviluppare una competenza più

ampia, [...] descritta come una forma di alfabetizzazione [...] im- portante per i giovani quanto la più tradizionale alfabetizzazione al testo scritto” (Ivi, p. 22).

La Media Education [...] è il processo di insegnamento e apprendi- mento centrato sui media; la Media Literacy (alfabetizzazione ai me- dia) ne è il risultato – e altro non è che la conoscenza e le competenze che gli studenti acquisiscono in tema di mezzi di comunicazione. [...] La Media Literacy implica necessariamente il saper “leggere” e “scri- vere” i media. La Media Education si propone dunque di sviluppare sia una comprensione critica sia una partecipazione attiva. Consente ai ragazzi di interpretare e dare giudizi consapevoli come consumatori dei media; ma li rende anche capaci di diventare loro stessi, a pieno titolo, produttori di media (Ibidem).

Come avverte anche Buckingham, non si deve confondere la

Media Education con l’insegnamento e l’apprendimento attraverso

e con i media, come anche non si deve “confondere la Media Edu-

cation con l’uso delle tecnologie educative o con i media educativi”

Attualmente, da parte di educatori e insegnanti non è più dif- feribile l’idea che si possa fare scuola indipendentemente dal sa- piente uso critico dei mezzi di comunicazione. Ecco, curare questo aspetto della costruzione comunicativa fra adulti e bambini, come anche fra adulti e adolescenti, è diventata una priorità della cura delle relazioni.

Possiamo affermare con Cambi (2010) che ciò che si ricerca soprattutto è “un approccio critico ai media, rivolto all’uso e alla

struttura”. Le prospettive molto interessanti che aprono ad una

analisi critica dei media e del loro uso sono, da una parte, quella semiologica, dall’altra, quella sociologico-critica. Tracce di questa visione si ritrovano anche in coloro che perseguono una idea di educazione che si ritrova dentro il contesto della pedagogia critica. Da Eco a McLuhan, è possibile rintracciare i punti essenziali da cui procedere per analizzare i messaggi, i testi, i linguaggi. Il rife- rimento a Barthes e all’analisi semiologica ci consegna una chiave di lettura della funzione critica della Media Education, che vede nell’elaborazione del mito un punto di riferimento per l’analisi dei testi mediati e per la comprensione della funzione sociale dei media oggi.

La seconda prospettiva di carattere sociologico-critico ci con- duce ad una Media Education che rifl ette sul conformismo, sull’o- mologazione e sul loisir, come caratteristiche intrinseche dei mezzi di comunicazione, anche di quelli digitali, e il pensiero di Postman, di Morin, di Popper, di Flusser, in tal senso, costituisce i capisaldi da cui partire per una indagine necessaria e urgente. Ma come e dove insegnare i media? Se gli studi attuali tendono a non collo- care all’interno di una istituzione educativa la Media Education, è pur vero che le istituzioni educative sono rimasti gli unici luoghi dove poter esercitare il senso critico necessario per la formazio- ne dell’uomo del nuovo millennio. Allora, la scuola e la famiglia possono essere i luoghi privilegiati dove agire e mettere in moto percorsi educativi trasversali e transdisciplinari. A scuola, con certe caratteristiche, in famiglia con altre.

L’indagine sulla struttura e la scoperta dei meccanismi di frui- zione dei media sono due obiettivi, afferma Cambi (2010), dell’E- ducazione ai media. Dunque, da una parte, “illuminare, compren- dere, rendere più critico l’uso dei media” (Cambi, 2010), dall’altra, comprendere ciò che sta oltre la struttura linguistica e comunicati- va dei media stessi, assumere gli strumenti per imparare a leggerne

il ruolo ideologico, sociale e politico. Il compito è arduo, ma non è possibile eluderlo.

La scuola deve imparare ad assumersi questo compito con l’o- nere di una centralità che deve essere riaffermata nella vita di ogni allievo. I media sono e costituiscono il nostro ambiente ecologico, il nostro humus vitale e la scuola non può ignorare né l’ambiente di vita umano, né il luogo di coltura delle idee di ogni bambino e adolescente. Deve saper insegnare con e nei media deve saper consegnare una sagacia critica che permetta ad ogni studente di orientarsi, valutare e valutarsi fra i mezzi di comunicazione nuo- vi, nuovissimi e di più antica data. La scuola deve insegnare che è necessario assumere gli strumenti del “de-condizionare” e dello “smascherare”, come ancora afferma Cambi (2010).

La scuola può accogliere ed educare questi processi di forma- zione della mente, dello spirito e degli affetti studiando i testi, i linguaggi, entrando con l’analisi critica dentro la vita dei media.

Come afferma Postman (2003), e Lamish (2006) gli fa eco, la TV rimane una sorta di mezzo universale che i bambini di tutte le latitudini usano, guardano, vivono come una specie di caldo e ac- cogliente luogo di incontro.

Tuttavia, se la televisione rimane ancora un punto di riferimen- to, una porta sul mondo, per gli adolescenti sono i social network che rappresentano il punto di ritrovo, lo spazio della vita, l’acco- glienza che la comunità riserva loro. I ragazzi non hanno più le piazze, i pub, la scuola come luoghi per “testare la vita” e provare ad essere. Adesso il mezzo, il computer è il veicolo e lo schermo è lo spazio di ritrovo. Non si è più soli, attratti dalle conoscenze più impensate e dalla vertigine dell’incontro. Tutti sono uguali su

Facebook, dal modo di appendere i nomi sulla schermata, dall’ap-

pendere i nomi, dalla scrittura del nome sulla pagina di Facebook dipende la propria esistenza. Questo è il messaggio che passa: “Se ci sei, esisti. Se non ci sei, non esisti”. I ragazzi lo sanno e vivono di questa non esistenza, o meglio, di questa esistenza digitale. Le dif- fi coltà nascono quando l’ascolto reale viene meno, quando anche l’ultimo brandello di fi lo con l’esistenza vera si è spezzato. Chi ren- derà il senso della realtà rubato dal mezzo tecnologico o digitale?

In famiglia è l’ascolto, è il dialogo, è la condivisone del tem- po, oltre lo spazio, che deve creare percorsi di “educazione all’al- tro” che i mezzi da soli non possono costruire o consegnare. La famiglia, meglio i genitori, il padre, la madre, devono poter essere

adulti consapevoli, devono poter comprendere che non può essere elusa una educazione ai media, al pari di una educazione alla citta- dinanza civile e responsabile.

Il rapporto fra genitorialità e media deve ancora essere del tutto costruito, la ricerca in questo settore dovrebbe essere tanto incrementata per quanto è urgente la domanda educativa che non può rimanere inevasa. Purtroppo, stiamo assistendo, per la prima volta nella storia dell’uomo al sorpasso che le giovani generazioni hanno compiuto nei confronti dei propri genitori. Il ruolo genito- riale transita anche per l’autorevolezza che nasce dal sapere. Nei paesi occidentali i fi gli hanno accesso a saperi sconosciuti a molti genitori. Questa inversione dei ruoli non sappiamo a cosa porterà. In prima istanza è importante che si inizia a parlare del ruolo dei genitori nell’educare alla fruizione dei media, in seconda istanza è necessario che i genitori siano consapevoli della veicolazione co- municativa dei media e dei muovi media, in terza istanza è urgente il recupero del dialogo genitoriale costruito sull’ascolto e sul si- lenzio che i media hanno, prima, occupato, e poi, quasi del tutto cancellato.

Mai, come nel nostro tempo, le comunicazioni ci hanno per- messo di raggiungere spazi impensabili, mai come oggi i bambini e gli adolescenti si sono nutriti di comunicazione si sono formati su immaginari virtuali. Il mezzo che si interpone fra adulti e bambini, fra padri e fi gli, non può essere eliminato, fa parte del mondo della vita, ma può essere avvicinato, anche come mezzo di comprensio- ne, al secondo livello, della formazione delle giovani generazioni.