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Una brutalità infinita

Divenuta invisibile, la guerra cecena ha abituato la società russa alla violenza e all’uso della forza pura, che è, quando esercitata dallo Stato, legittima per natura, e, quando è esercitata da altri, forse non è legittima, ma è nell’ordine delle cose. Per questa ragione è debole la reazione della società alle aggressioni e agli assassini com- messi dagli skinhead contro persone dai tratti somatici non slavi (principalmente e- migrati provenienti dal Caucaso o dall’Asia centrale), ai pogrom, alle discriminazioni xenofobe, come i controlli d’identità in base all’aspetto e via dicendo.

Questa accettazione della violenza è emersa appieno, per esempio, quando degli ufficiali delle truppe federali sono stati accusati di aver assassinato dei civili ceceni. Il caso più noto è quello del colonnello Budanov, comandante di un reggimento di blindati, che, nel marzo del 2000, quando le truppe federali hanno ripreso Groznyj, si reca in un villaggio vicino alle sue posizioni, rapisce una ragazza, la violenta, la uc- cide e ordina ai suoi subordinati di seppellirla. Sarebbe troppo lungo raccontare tutta la vicenda, spiegare come mai questo assassinio, a differenza di tanti altri rimasti im- puniti, è diventato di pubblico dominio come la storia è stata cambiata e la ragazza è diventata una combattente cecena, e persino un tiratore scelto. Quello che conta qui è sottolineare che, dopo numerose perizie, alcune delle quali lo riconoscevano non responsabile dei fatti (perché, come sosteneva una che aveva fatto sparire come d’in- canto lo stupro, avrebbe ammazzato la ragazza pensando di aver di fronte una

I RUSSI E LE DUE GUERRE IN CECENIA 167 combattente che aveva ucciso uomini del suo reggimento), il procuratore aveva chie- sto l’amnistia; poi, nonostante una nuova inchiesta giudiziaria, Budanov è di nuovo ritenuto non responsabile delle sue azioni e si consiglia un trattamento psichiatrico. Dopo nuove perizie, finalmente il colonnello è stato condannato a dieci anni di prigione. In seguito, però, il governatore della regione di Uljanovsk, ex generale e comandante di Budanov, che vede in lui un autentico ufficiale e l’onore della Russia, ha cercato di ottenerne la grazia, domanda che l’interessato stesso ha poi finito per ritirare. Nei sondaggi fatti allora sul caso Budanov, solo il 15% degli intervistati si è dichiarato favorevole a “giudicarlo con tutta la severità della legge per il crimine che ha commesso”, mentre il 19% si è pronunciato per l’assoluzione, giacché “nella lotta contro i banditi tutti i mezzi sono giustificati” (luglio 2002). Più tardi, una volta che il verdetto è stato pronunciato, il 52% delle persone intervistate lo ha giudicato trop- po severo (contro il 4% troppo clemente); il 61% ha trovato invece che la condanna fosse un messaggio politico alla Cecenia e che la colpevolezza di Budanov non fosse stata provata (agosto 2003).

Ma è eloquente anche il caso di Eduard Ulman, un ufficiale delle forze speciali, che è stato accusato, col suo gruppo, di aver ucciso dei civili mitragliando per errore un’automobile a un posto di controllo e di aver poi cercato di mascherare il crimine, uccidendo i sopravvissuti e bruciando i corpi. Processato da una corte di giurati po- polari, il gruppo è stato assolto a due riprese, poiché i giurati hanno ritenuto che Ulman e i suoi non avessero fatto altro che eseguire gli ordini dei superiori, che ave- vano consigliato di nascondere la loro azione (cosa che è effettivamente avvenuta). Soltanto quando sono stati rinviati davanti a un tribunale di giudici di professione, sono stati condannati a pene che vanno dai 9 ai 14 anni di detenzione.

La vicenda di Ulman permette, sia detto en passant, di vedere meglio tutta la falsità del film 12 di Nikita Mikhalkov. Quel che emerge da entrambi i casi citati è che sia le persone intervistate che i giurati popolari non approvano necessariamente l’assassinio, ma accettano l’idea che la guerra è guerra e che la violenza e gli “eccessi” sono inevitabili. I numerosi film ambientati in Cecenia o in un Caucaso non precisa- to, ma facilmente identificabile, trasmettono in fondo lo stesso messaggio: che la guerra è un affare da uomini e che non si vince coi guanti bianchi. La violenza si diffonde così in tutto il corpo sociale e tocca tutti i campi. Per quel che riguarda la politica, il risultato è che il 73% delle persone intervistate pensa che sia necessario il pugno di ferro per dirigere il paese; fra queste il 43% pensa che sia necessario in maniera permanente e il 31% in situazioni particolari.

Violenza e diffidenza verso gli altri, anche se non sono maggioritarie, restano forti. In una inchiesta sulle relazioni interetniche, una domanda riguarda l’atteggiamento verso altri popoli 6. Ecco i dati per la Cecenia. Per avere un termine di paragone, tra

parentesi si trovano le cifre riguardo ai tedeschi.

ALEXIS BERELOWITCH 168

1996 1998 2000 2002 2003 2004 2005 2006

Con simpatia, interesse 2 2 1 (9) 1 (9) 1 (9) 2 (10) 2 (9) 2 (10) Tranquillamente, senza

sentimenti particolari 51 48 46 (85) 33 (80) 46 (83) 46 (84) 47 (82) 55 (84) Con irritazione, antipatia 27 29 31 (4) 36 (8) 29 (5) 26 (5) 27 (7) 24 (4) Diffidenza, paura 20 21 22 (2) 30 (3) 24 (3) 27 (2) 24 (2) 19 (2) La diffidenza riguardo agli immigrati è evidente e non fa che rafforzarsi. Anche se il 56% delle persone intervistate dice di non avere sentimenti particolari verso gli immigrati, contro il 33% che dice di provare irritazione o antipatia (novembre 2006), a una domanda più precisa, riguardante i bar e i ristoranti che vietano l’ingres- so a “persone di nazionalità caucasica”, il 22% è favorevole e il 36% neutro mentre solo il 23% è contrario. Infine, lo slogan “La Russia ai russi”, dopo un picco del 58% di opinioni favorevoli nel giugno 2005 (il 19% completamente, il 39% “entro limiti ragionevoli”), raccoglie ancora il 50% dei sostenitori nel novembre 2006. Non si sa se il discorso virulento e nazionalista di Vladimir Putin sia all’origine o, al contrario, sia la conseguenza di questo stato d’animo. Più probabilmente, l’ex presidente e attuale primo ministro, come figlio del popolo, ne condivide le fobie.

Beninteso questa diffidenza riguardo agli immigrati si rivolge in primo luogo contro quelli originari del “sud” e può trovare dei prolungamenti in una immagine dell’Islam come religione ostile ai russi. Così dopo qualche anno, è comparso, senza essere ap- provato dalla Chiesa Ortodossa di Russia, il culto di un nuovo “santo”, Evgenij Ro- dionov. La leggenda dice che il giovane Rodionov è chiamato a fare il servizio militare nel 1995, è fatto prigioniero con molti commilitoni dai ceceni che gli promettono salva la vita se abiura la fede ortodossa (Rodionov porta la sua croce di battesimo attorno al collo) e adotta l’Islam. Il soldato però rifiuta e gli viene tagliata la testa. Le icone rappresentanti questo santo popolare fanno già miracoli e la sua tomba nel villaggio natale, nella regione di Riazan (la madre ha potuto recuperare il corpo del figlio pagando i suoi aguzzini), è divenuto luogo di pellegrinaggio. Si tratta certo di un caso estremo e la Chiesa ufficiale vi scorge una manifestazione settaria ma, malgrado tutto, questo culto è rivelatore di una ostilità latente verso l’islamismo di cui si nutre la guerra in Cecenia, in quanto i combattenti ceceni sono sempre più spesso assimilati agli islamici radicali, inseriti nei circuiti del terrorismo internazionale.

In conclusione

Sarebbe certamente esagerato vedere nel conflitto ceceno la fonte di tutte le pa- tologie sociali di cui soffre la società russa oggi. Come tutte le guerre d’occupazione e soprattutto quelle di tipo coloniale, la guerra cecena ha abituato la popolazione alla violenza e all’uso della forza, ha rafforzato il razzismo endemico e ha accentuato la diffidenza verso l’Occidente, accusato, in un modo o nell’altro, di aiutare o protegge- re i terroristi ceceni. Questa situazione, nella quale i russi si sono abituati a vivere, non ha, oggi, alcuna soluzione in prospettiva e l’avvenire non promette molto.