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Lidiya Yusupova *

Nel 2000 Sacita Muradova, giurista del centro di Nazran’, in Inguscezia, inoltrò a nome dell’associazione per la difesa dei diritti umani Memorial le prime denunce alla Corte di Strasburgo1. I denunciatari erano persone che avevano perso i loro cari e i

loro parenti durante l’“operazione antiterroristica” nel territorio della repubblica Ce- cena, alla quale presero parte i corpi speciali e le sottostrutture afferenti al Ministero della difesa russo. Quello che è stato compiuto può essere definito “operazione anti- terroristica”? Non credo. È stata piuttosto una guerra, una guerra contro il popolo ceceno.

Un raid aereo contro una colonna di profughi, gli attacchi aerei, i colpi d’artiglie- ria sui centri abitati portati con ogni tipo di arma terrestre, fucilazioni di massa di civili, anziani, donne e bambini, rapimenti, di queste e altre azioni illegali (si possono fare elenchi infiniti) sono responsabili le alte sfere delle forze armate, i dirigenti dell’e- sercito, le forze speciali che combattevano per dare alla Cecenia un “ordine costitu- zionale”. Queste azioni venivano presentate dai mass media russi come “dovere pa- triottico dei valorosi difensori della Patria Russa”.

Nel 2000 ho cominciato a lavorare al centro Memorial come giurista. Come in tutti gli altri lavori, anche in questo ci imbattevamo in difficoltà e ostacoli, ogni gior- no io e i miei colleghi camminavamo sull’“orlo del baratro” in una città distrutta al- l’85%, ogni giorno ci sforzavamo ad attraversare questa città di rovine. Nelle case e negli appartamenti che non erano stati distrutti si rifugiavano molte persone che fino a ieri erano stati profughi nei campi dell’Inguscezia e che ora erano tornate nelle pro- prie case, distrutte, e vivevano dai vicini, dai parenti cercando di ricostruire in qualche modo la propria abitazione. Quanti di questi visi, quanti di questi destini di persone sfinite, senza motivazioni, abbattute dal dolore sono passati davanti a noi… A spingerci a continuare era l’esempio del lavoro iniziato da Sacita Muradova.

La decisione di rivolgersi alla Corte europea era maturata nella primavera del 2000, quando venne a Nazran’, Svetlana Alekseevna Gannushkina, portando con sè la Convenzione Europea e le regole per compilare le denunce per la Corte di Stra- sburgo. Nell’ufficio di Memorial Svetlana Gannushkina aveva spiegato che la Russia

* Avvocato e attivista per i diritti umani, dal 2000 è stata direttrice dell’associazione in difesa dei diritti

umani Memorial a Groznyj. Per la sua attività di denuncia dei crimini commessi in Cecenia nel 2003 ha vinto il “Martin Ennals Award for Human Rights Defenders”, e nel 2005 il premio della Fondazione norvegese “Rafto”. Nel 2006 era tra i candidati al premio Nobel per la Pace.

1 La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è l’organo giudiziario del Consiglio d’Europa, tra i cui mem-

bri vi è anche la Federazione russa. Si rimanda al capitolo successivo per un’analisi del funzionamento della Corte e della sua posizione rispetto ai casi relativi alla Cecenia.

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aveva ratificato la Convenzione Europea e che ora le vittime della guerra in Cecenia avrebbero potuto rivolgersi alla Corte di Strasburgo, secondo l’art. 13 (mancanza di difesa legale). Allora nel territorio della Repubblica Cecena i tribunali non funziona- vano. Così Sacita Muradova, con l’aiuto dei colleghi Usam Bajsaev e Libchan Ba- zaeva preparò i primi casi per la corte di Strasburgo: quelli di Khashiev e Akaeva, Zara Isayeva e infine Isayeva Bazayeva e Yusupova.2

Muradova incominciò a fare questo lavoro senza alcun tipo di preparazione, si mise a studiare la Convenzione e a servirsene per la preparazione di ogni nuovo caso. Nelle pratiche che portavano i cittadini c’erano molti errori di compilazione, fatti dalle autorità locali a cui si erano rivolti. Era evidente che in Cecenia i cittadini non avevano alcuna difesa legale, mentre i criminali che mascheravano i propri crimini dietro a una parvenza legale avevano piena libertà d’azione.

Bisogna descrivere in breve la situazione dei cittadini ceceni che decidevano di appellarsi alla Corte di Strasburgo: venivano sottoposti a forti pressioni, dal tentativo di corruzione alle minacce di persecuzione legale o di eliminazione fisica. Ad esem- pio, Zalina Medova3, denunciando il rapimento del marito, si rivolse alla Corte di

Strasburgo. La Corte accettò la denuncia e la qualificò come prioritaria nel 2004. Uno dei responsabili delle operazioni in Cecenia, presentatosi come maggiore del FSB4, all’inizio del 2005 offrì a Medova somme che andavano dai 10000 rubli

iniziali fino a 30000 dollari perché ritirasse la denuncia. Medova ricevette anche una minaccia di morte, in seguito alla quale è stata costretta a emigrare in Germania.

Zura Bitiyeva, un’attivista dei cortei contro la guerra, è stata arrestata il 25 gennaio del 2000 nella sua casa del villaggio Kalinovskaja (regione di Naursk, Ce- cenia). Con il pretesto di dover accertare le sue generalità venne portata al punto di smistamento del villaggio di Chernokozovo. Per 24 ore fu trattenuta in condizioni disumane, e dopo la liberazione inoltrò alla Corte di Strasburgo un reclamo, denun- ciando la limitazione della propria libertà personale e il modo in cui era stata trattata. Bitiyeva, suo marito Iduev, il loro figlio e il fratello di Bitiyeva sono stati assassinati il 21 maggio del 2003 nella loro casa nel villaggio di Kalinovskaja da sconosciuti, non identificati, vestiti con tuta mimetica e con i volti coperti da maschere, giunti sul luo-

2 Le sentenze sono reperibili su internet sul sito della Corte Europea per i diritti dell’uomo.

Kashiev e Akayeva contro Russia:

http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=718910&portal=hbkm&source =externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649

Isayeva contro Russia:

http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=718875&portal=hbkm&source =externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649

Isayeva, Bazayeva e Yusupova contro Russia:

http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=718873&portal=hbkm&source =externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649

3 Il caso è stato al momento dichiarato ammissibile. Si veda Medova contro Russia:

http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=825052&portal=hbkm&source =externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649

LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO 181 go a bordo di un furgone senza targa. Il ricorso alla Corte di Strasburgo presentato da Bitiyeva fu portato avanti da sua figlia. Uomini di diverse organizzazioni di potere hanno fatto pressione anche sulla figlia, hanno minacciato lei e i membri della sua famiglia di mettere armi in casa loro e di avviare nei loro confronti un procedimento penale. Non riuscendo a reggere la tensione, nel 2005 la figlia di Bitiyeva ha abban- donato la Russia5.

I coniugi Ajubov inoltrarono alla Corte di Strasburgo la denuncia della scomparsa di uno dei loro figli nel gennaio del 2000. Nel gennaio del 2005 alcuni agenti della procura andarono a casa degli Ajubov, domandando chi avesse inoltrato il reclamo alla Corte. Temendo per l’incolumità dei suoi genitori, il figlio degli Ajubov, Ruslan, ammise di essere stato lui a scrivere la denuncia. Gli agenti della procura gli con- sigliarono di ritirare la denuncia, altrimenti avrebbe avuto dei problemi con il potere locale. Gli agenti della procura hanno ripetutamente fatto visita agli Ajubov esigendo in forme sempre più violente che ritirassero la denuncia. Alla fine Ruslan fu portato alla procura della Repubblica, dove venne costretto a scrivere una lettera sotto detta- tura, indirizzata alla procura generale della Federazione Russa, in cui chiedeva aiuto per ritirare la denuncia alla corte di Strasburgo. Tempo dopo Pavel Laptev, il rappre- sentante della Federazione Russa presso la Corte di Strasburgo, inoltrò alla Corte questa lettera, insieme ad altri documenti inerenti questo caso.

Vakhid Dokuev si è trovato in una situazione analoga. Inoltrò una denuncia per detenzione irregolare, e per la scomparsa di suo figlio nel febbraio del 2001. Il contenuto della denuncia di Dokuev venne reso noto dal tribunale al Rappresentante della Federazione Russa il 6 settembre 2005, e il 25 ottobre il giudice istruttore R. Kochaev si recò a casa dei Dokuev, dicendo di aver bisogno di nuove spiegazioni sul caso per il riesame della loro denuncia alla Corte di Strasburgo. Dopo aver ricevuto spiegazioni chiese a Dokuev di firmare un testo, senza però dargli la possibilità di leg- gerlo. In seguito, nel memorandum del 29 novembre 2005, il Rappresentante della Federazione Russa alla Corte di Strasburgo, citando questo testo, affermò che né Do- kuev, né i membri della sua famiglia si erano mai rivolti alla Corte di Strasburgo e su questa base il Rappresentante della Federazione Russa chiese di rimuovere la denun- cia dall’elenco dei casi esaminati. I Dokuev sono stati costretti a rivolgersi alla Procura generale della Federazione Russa, per protestare contro la condotta dell’in- quirente che aveva alterato il contenuto delle loro dichiarazioni.6

Io e i miei colleghi di Groznyj lavoravamo al caso di Medka Isaeva, avviato su sua richiesta. La donna denunciava la morte della figlia e del figlio minorenne durante i raid su una colonna di profughi nell’ottobre del 1999. Era uno dei primi casi di cui ci occupavamo. Le nostre difficoltà sono incominciate quando siamo venuti a cono- scenza delle regole per l’accettazione delle denunce. Il sistema cominciò a fare pressio- ne e a minacciare i denunciatari; anche Isaeva e i suoi parenti ricevettero minacce. Per

5 Bitiyeva e X. contro Russia:

http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=819060&portal=hbkm&source =externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649

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me era difficile convincerla che avrebbe dovuto arrivare fino in fondo. Assumemmo una sorta di responsabilità morale per il suo destino e per quello dei suoi parenti. Faceva incredibilmente male notare quanto questa bella donna, decisa, ma con ferite psicologiche molto profonde soffrisse, quando doveva rievocare i dettagli tragici di quel giorno. Io e i miei colleghi vivevamo quel dolore insieme a lei e lei resisteva, capendo di essere una delle prime, ma che dopo di lei sarebbe venuto il momento di molte altre, proprio come era stato per lei.

Anatolij Kovler, giudice della corte di Strasburgo nominato dalla Federazione Russa: Le denunce che ci arrivano dalla Cecenia vanno riferite a una categoria particolare, non possiamo tacere di questo. Abbiamo ricevuto più di 200 denunce, ma ne sono state archi- viate soltanto una trentina. La Corte di Strasburgo ha accertato che in Cecenia avvengono violazioni dell’art. 2 (“diritto alla vita”) “in relazione all’uccisione di parenti dei denuncia- tari durante le operazioni di rastrellamento del periodo 1999-2000”, o di sparizione di persone. Inoltre si osservano anche violazioni dell’articolo 3 (“divieto di tortura”). In rela- zione a entrambi gli articoli il tribunale constata la mancanza di indagini efficaci dei cri- mini compiuti contro la persona, o di violazione delle garanzie processuali delle vittime. Dalle delibere riguardo le denunce cecene si osserva una tendenza a indagare i fatti non quando vengono commessi i crimini, ma in alcuni casi anche molti mesi dopo.

Mentre noi cercavamo di ridare alla Cecenia senso al ricorso alla legge, anche le strutture di potere lavoravano “alacremente”, continuando a portare l’“ordine costitu- zionale”, cosa che traspariva dal loro lavoro senza sosta: arresti illegali, sparizioni di persone delle quali non si aveva alcuna traccia, sparizioni di persone detenute illegal- mente dai luoghi di detenzione. Nel territorio della sezione di polizia per la ricerca di criminali c’era un carcere illegale, ma la procura non ha mai preso misure sufficienti per vietare la detenzione dei sospetti, né la violenza, le torture e gli assassini che vi avvenivano. Per di più gli agenti di sicurezza (del FSB, del Comando generale dei Servizi di Informazione, della sezione di polizia per la ricerca di criminali) condu- cevano le proprie operazioni nottetempo, entrando armati, mascherati in casa dei so- spetti di solito accompagnando queste operazioni con violenza fisica su donne, bambini, anziani. Non davano tempo all’“imputato” nemmeno di vestirsi e lo por- tavano via, senza dire dove. Solitamente picchiavano la vittima davanti agli occhi dei parenti, dei bambini e lo portavano via trascinandolo per terra. Nessuno di loro ha mai fornito spiegazioni, nonostante che la procura della Repubblica Cecena, la strut- tura deputata all’osservanza della legge, lavorasse ancora. Di regola la procura copriva coloro che compivano queste azioni illegali.

Riporto alcuni esempi: ho assunto la difesa di una persona arrestata durante un’o- perazione dei corpi speciali nel territorio dell’Inguscezia. Dopo una lunga detenzione da parte della sezione inguscia del FSB, questa persona fu trasferita nel territorio della sezione di polizia per la ricerca di criminali in Cecenia. Ho dovuto lottare una set- timana per ottenere un incontro con il mio cliente. Gli articoli della costituzione della Federazione Russa, dei codici processuale e penale della Federazione Russa per i diritti e le libertà del cittadino (l’imputato) hanno valore soltanto sulla carta, ma non nella realtà. Quando infine riuscii a incontrare il mio cliente, osservato a vista da un agente della sezione di polizia per la ricerca di criminali (cosa che contraddice una

LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO 183 legge del codice penale, che dice: “… ha diritto a incontrare l’avvocato da solo”), il mio cliente era stato sottoposto, come tutti coloro che vengono trattenuti dalla po- lizia, a torture fisiche, inflittegli con il fine di fargli ammettere la colpa per un crimi- ne che non aveva commesso. Nella maggioranza dei casi gli organi di polizia facevano riferimento ad articoli del codice penale della Federazione Russa (partecipazione a banda armata, attacco armato alle forze armate russe, sovversione, assassinio di milita- ri, ecc…). Quando pretesi che venisse chiamato un dottore e che visitasse il mio cliente mi fu opposto un netto rifiuto. Lo stesso giorno mi rivolsi alla Procura di Groznyj per via delle evidentissime violazioni da parte degli agenti della sezione di polizia per la ricerca di criminali affinché promuovesse un’inchiesta e punisse gli a- genti coinvolti nei crimini succitati e infine perché sottoponesse il mio cliente a una visita medica. La Procura rispose soltanto 10 giorni dopo, comunicandomi che il mio cliente era stato trasferito nel carcere di isolamento per le indagini preliminari della città di Groznyj. La procura aveva di fatto coperto le azioni criminose degli agenti della sezione di polizia per la ricerca di criminali. In tribunale durante il processo al mio cliente non riuscimmo a dimostrare la violenza e le torture da parte del FSB e della sezione di polizia per la ricerca di criminali. Inoltre durante il processo il giudice non prese in esame le richieste di intercessione dell’imputato e del suo avvocato moti- vate dalla violazione dei suoi diritti durante la fase preliminare del processo, sebbene disponessimo di una dichiarazione medica. Noi non potemmo quindi nemmeno ri- volgerci alla Corte europea, ma riuscimmo a dimostrare l’estraneità dell’imputato e quindi a ottenere una pena più leggera.

Ci sono però anche piccole “vittorie”, soprattutto quando i condannati a periodi di reclusione lunghi (10,15, 20 anni o all’ergastolo) sono riusciti a rivolgersi alla Corte di Strasburgo. È questo il caso di Sh. Aldamov, un mio cliente, detenuto dagli organi di polizia georgiani, che poi fu consegnato alla polizia russa, nonostante il fatto che questo rappresentasse una seria minaccia per la sua vita. In Russia i detenuti sono regolarmente sottoposti a tortura, in particolare vengono minacciati dagli agenti di polizia di violenza sessuale (questa pratica è largamente diffusa); gli imputati firmano tutto ciò che viene chiesto loro di firmare pur di evitare la vergogna della violenza fisica. Nel caso di Aldamov e di altre persone detenute con lui la Corte europea ha disposto per loro un compenso in denaro da parte della Russia e della Georgia.7

Un altro esempio: A. Uspaev, ingiustamente condannato, si è rivolto alla Corte di Strasburgo e poco dopo che è stato reso noto che la corte non avrebbe accettato la sua istanza, è morto nel luogo di detenzione. Un tempo, nelle carceri sovietiche, i pri- gionieri politici erano rinchiusi in cella con i criminali comuni, che li provocavano. Nel caso di Uspaev A. è successa la stessa cosa durante una rissa che ha portato al suo assassinio. L’amministrazione della prigione dove era rinchiuso ha constato con cini- smo e insolenza che “durante i lavori per la ristrutturazione degli edifici della prigione A. Uspaev è caduto da un tetto”.

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Vladimir Lukin, rappresentante nella Federazione Russa per i diritti umani, dice: I problemi legati al sistema penale e al suo lavoro sono una delle fonti principali delle de- nunce alla Corte di Strasburgo. Prima di tutto c’è un problema nell’esecuzione delle de- cisioni del tribunale. In Russia c’è una situazione paradossale, in cui le sentenze dei tribu- nali, che sono strutture di potere, non vengono rispettate. È una cosa molto negativa per i nostri cittadini, negativa per il nostro prestigio, perché siamo i “campioni” di denunce alla corte di Strasburgo, cosa che potrebbe essere evitata se i nostri giudici agissero nell’in- teresse del cittadino.8

Una statistica ci dice che al primo gennaio 2008 alla corte di Strasburgo sono state inoltrate 46685 denunce contro la Russia. Il 20% delle denunce totali.

I denunciatari che si sono rivolti alla Corte di Strasburgo e che hanno vinto una causa contro la Russia non sono completamente soddisfatti e sono insicuri del proprio futuro. Spesso si sentono parole come “sì, la Russia deve pagare un compen- so, ma i criminali non sono stati condannati per gli omicidi di massa e per tutto ciò che hanno fatto…”. La gente comprende che la Corte non dispone di un mec- canismo per condannare i criminali, ma ognuno in cuor suo spera che giungerà il giorno in cui i criminali di guerra saranno chiamati in tribunale.

Le violazioni dei diritti fondamentali in Cecenia al vaglio della Corte