• Non ci sono risultati.

L’inizio della “seconda guerra” cecena,

Lo scoppio della “seconda guerra cecena” ha come pretesto, e causa reale, il raid che un reparto ceceno al comando di Shamil Basaev effettua nel vicino Dagestan nell’agosto 1999, lo stesso mese in cui Vladimir Putin viene nominato primo mi- nistro da Boris Eltsin. Mentre i ceceni sono cacciati dal Dagestan, avvengono quattro sanguinosi attentati. Sono esplosioni in edifici di abitazione che avvengono di notte, nel settembre 1999, a Mosca, a Bujnaksk (Dagestan) e nel sud della Russia (Volgo- donsk), e si portano via centinaia di vite. Gli attentati, che non sono mai stati ri- vendicati, sono subito attribuiti, da Putin in persona, ai terroristi ceceni, senza che la prova sia mai stata fornita. Le caratteristiche inspiegabili del raid di Basaev, che difficilmente poteva sperare di sollevare il Dagestan, il mistero che circonda le esplo- sioni, hanno alimentato il sospetto che gli autori degli attentati siano stati o i servizi segreti russi o ambienti sotto il loro controllo. Il difensore più incrollabile di questa tesi è stato, e resta ancora, “l’oligarca” esiliato, Boris Berezovskij, ma nemmeno lui ha potuto, malgrado le sue promesse, fornire le prove delle sue affermazioni.

Fatto sta che, in seguito agli attentati, tutte le ragioni avanzate dal potere per rompere gli accordi di Khasavyurt e far entrare le forze federali in Cecenia incontrano comprensione e sostegno quasi generale da parte della popolazione. La prima ragione, la più forte, è fondata sull’emozione sollevata dagli attentati: non è proprio il caso di permettere di agire a dei vigliacchi traditori che uccidono nel sonno innocenti vit- time. Alla fine di settembre, Vladimir Putin lancia la frase, che è rimasta nella storia e segna chiaramente il punto di partenza del sostegno incondizionato della popola- zione: si impegna a colpire i terroristi ovunque si trovino, “li accopperemo anche al cesso”, afferma il presidente. La seconda ragione è che bisogna eliminare un luogo senza legge all’interno della Federazione russa: a questo scopo si insiste sui rapimenti, sulla mancanza di autorità del presidente Maskhadov, sulla persistenza e la forza delle “bande armate”. La Cecenia è assimilata a un’infezione che potrebbe contaminare il paese con il banditismo e il separatismo. Da qui la terza ragione: la Cecenia mette in discussione l’unità e l’indivisibilità della Russia. Ai dirigenti ceceni vengono attribuiti sogni di un “grande Caucaso” o di uno stato musulmano che potrebbe risalire lungo il Volga, sogni che non hanno però alcuna possibilità di realizzazione, perché, anche se alcune formazioni territoriali a popolazione musulmana nel sud della Russia pos- sono avere simpatie per la Cecenia e aspirano a una certa autonomia, nessuna dà prova di un’autentica volontà di indipendenza.

Vero timore, come lascerebbe supporre il costante ripetere, da parte di Putin, del- l’esser fiero per aver evitato la disgregazione della Russia dopo aver assistito, dispera- to, alla disgregazione dell’Unione Sovietica, oppure semplice demagogia, che imbel-

I RUSSI E LE DUE GUERRE IN CECENIA 161 letta con considerazioni geopolitiche scopi ben meno nobili? Difficile dirlo. Una delle ragioni principali della ripresa della guerra, anche se il potere politico, a differenza dei militari, preferisce sottacerla, è stata infatti il risentimento, la volontà di rivincita. I capi militari, che continuavano ad attribuire il loro scacco a un “tradimento” (di El- tsin, di Lebed, dei media, e chi più ne ha, più ne metta) volevano a tutti i costi una rivincita e Putin, uscito dal KGB e nostalgico della “Grande potenza sovietica”, è stato in grado meglio di chiunque altro di condividere il loro desiderio. In quel modo si è guadagnato il sostegno di un esercito che era in pieno stato di abbandono.

Un capovolgimento brutale

Nel 1999 l’opinione pubblica ha un cambiamento impressionante. Le risposte alla domanda “Pensate che si possa usare la forza per risolvere i conflitti nazionali?” evolvono, come mostrano i sondaggi, tanto da capovolgersi nel giro di qualche mese3:

Luglio Settembre Ottobre

Sì, per ogni tipo di conflitto interetnico 04% 06% 06% Sì, entro certi limiti e a certe condizioni 37% 50% 59%

No, in nessun caso 47% 32% 21%

Non so 12% 12% 14%

Tuttavia, lo spirito bellico non ha ancora vinto del tutto. Alla domanda su che fare dopo aver cacciato i reparti di Basaev fuori dal Dagestan, il 49% risponde di esser contro le operazioni militari in Cecenia, il 44% favorevole (ma principalmente con bombardamenti senza operazioni terrestri), il 34% si dice favorevole a trovare un accordo con le autorità cecene e il 32% vede con favore la creazione di un cordone sanitario attorno alla Cecenia, lasciando i ceceni al loro destino, il 10% è per lasciare la situazione com’è e soltanto il 7% è favorevole a una guerra terrestre (percentuale che corrisponde ai sostenitori dei combattimenti terrestri all’epoca della prima guer- ra). Non solo. Alla domanda “Nell’interesse di chi si prosegue la guerra?”, posta, an- ch’essa immediatamente dopo il raid in Dagestan, le risposte rivelano un grande distacco della popolazione dagli obiettivi del potere:

dei dirigenti dello stato 43%

dello Stato russo 28%

del popolo russo 17%

dell’esercito 9%

della popolazione pacifica di Cecenia 9%

dell’Occidente, dei monopoli occidentali 9%

dei combattenti ceceni 4%

ALEXIS BERELOWITCH 162

Nel settembre 1999, il 53% delle persone intervistate approvavano ancora la concessione dell’indipendenza della Cecenia e il 26% ne accettava l’idea senza ap- provarla e solo il 12% era contro e voleva opporsi con tutti i mezzi; si tratta co- munque di un’indipendenza limitata, poiché il 53% degli interpellati è contro una sovranità totale riconosciuta dal diritto internazionale (soltanto il 20% è a favore).

L’evoluzione dell’opinione procede nel corso dei due primi anni della “seconda guerra”, come risulta dalle risposte alla domanda “bisogna proseguire l’offensiva delle truppe federali in Cecenia o avviare dei negoziati con i dirigenti della Cecenia?”

1999 2000 2001

X XI II IV VII IX XI I III V VII IX

offensiva 69 72 70 69 49 49 45 48 43 34 36 41 negoziato 22 21 41 37 47 41 46 58 53 44 Fra la fine del 1999 e l’inizio del 2000, quindi, una forte maggioranza è per l’of- fensiva, ma, via via che, dopo i “successi iniziali”, la guerra si va impantanando, le opinioni a favore del negoziato ridiventano maggioritarie. Il rapporto si invertirà un’altra volta durante un breve periodo, dopo il sequestro di ostaggi a Mosca degli spettatori della commedia musicale Nord-Ost nell’ottobre 2002, per ritornare ra- pidamente a una maggioranza favorevole al negoziato.

Ma a ben guardare, rispetto all’epoca di Eltsin si è operato un capovolgimento completo. Un’opinione che era profondamente scettica, con una visione estrema- mente pessimista della situazione del paese e con una pessima opinione dei suoi con- cittadini e della sua storia, è cambiata completamente. Perché non si tratta soltanto della guerra in Cecenia: l’adesione alla persona del capo della nazione – giovane, sportivo, volitivo, che tiene testa alle forze ostili alla Russia, siano gli “oligarchi” o mi- steriose forze occidentali – è folgorante e attraversa tutti gli strati della società. Certo, come hanno rivelato gli osservatori delle elezioni tanto legislative che presidenziali, le modifiche alla legge elettorale, la mobilitazione di quelle che vengono chiamate “risorse amministrative”, e cioè le pressioni esercitate dalle autorità per far “votare bene” gli elettori, non sono estranee ai risultati vertiginosi ottenuti sia da Putin all’epoca della sua rielezione, sia dal partito al potere “Russia unita” (in effetti sarebbe più corretto tradurre, e non è estraneo al nostro argomento, “Russia una” – che non vuol dire che si è unita, ma che è per natura indivisibile). Ma questo non deve far perdere di vista l’essenziale, e cioè il discorso di Vladimir Putin sulla Russia, grande potenza nel corso dei secoli, profondamente pacifica, ma circondata da nemici, capa- ce di dare prova della sua forza, un discorso che piace e ravviva gli schemi di pensiero inculcati durante il periodo sovietico (e anche prima). Evidentemente, il rialzo verti- ginoso dei prezzi del petrolio e del gas esportati dalla Russia che permettono di as- sicurare il pagamento delle pensioni, di aumentare considerevolmente gli stipendi dei dipendenti dello Stato (insegnanti, medici, funzionari) e di dimezzare il numero di persone viventi al di sotto della soglia di povertà, non è estraneo al sostegno di cui ha beneficiato Putin.

I RUSSI E LE DUE GUERRE IN CECENIA 163