La perestroika e la glasnost’ alimentarono grandi speranze nella popolazione ce- cena, ma non portarono ad alcun tipo di azione collettiva. Tale moderazione si spiega
DALLA RIVOLUZIONE ALLA GUERRA 53 con la popolarità iniziale di Gorbachev, visto come colui che avrebbe posto rimedio agli errori dello stalinismo e dello stagnante periodo brezneviano. Nelle aree caratte- rizzate da un antico risentimento etnico (come il Karabagh, l’Ucraina occidentale, la Lituania e la Cecenia), gli anni dal 1985 al 1987 sono un periodo durante il quale diverse petizioni e lettere furono indirizzate direttamente o per il tramite della stampa al Segretario Generale. Le richieste da parte cecena riguardavano il riconoscimento ufficiale dei due principali traumi che avevano visto come protagonista la regione, ovvero la guerra del Caucaso nel XIX secolo e la deportazione del 1944.
Nella repubblica socialista sovietica autonoma della Ceceno-Inguscezia, i politici locali del partito comunista, come di consueto, cercarono inizialmente di raffreddare le attese. Evidentemente, speravano che la perestroika di Gorbachev sarebbe passata, così come erano scivolate via tutte le passate campagne politiche provenienti da Mosca. L’ultraconservatore Vladimir Foteev, governatore della regione, disse aperta- mente che non ci si doveva aspettare alcun mutamento radicale nel governo del suo feudo. Il professor Vinogradov, noto sciovinista di origine russa e figura di spicco dell’Università statale della Ceceno-Inguscezia, lanciò una campagna contro “i ten- tativi di gettare fango sulla Russia e sul suo ruolo riformista” e di “minare il principio dell’amicizia tra i popoli”. Dal 1985 al 1988, i giornali locali abbondavano di simili dichiarazioni. A causa della censura, i giornali progressisti che iniziavano a circolare a Mosca e in tutta l’Unione Sovietica, venivano di fatto contrabbandati in Ceceno-In- guscezia. In quegli anni, iniziarono a fare la loro comparsa nelle strade e nei mercati molti vecchi provenienti dai villaggi ceceni, cantori delle epopee di Imam Shamil e dei suoi celebri abrek, “banditi d’onore”. Tuttavia, in quel momento questi fenomeni apparivano ancora del tutto marginali. I rappresentanti dell’intelligentsiya cecena appoggiavano Gorbachev e guardavano al nazionalismo locale come a un’inutile stravaganza, preferendo piuttosto conformare le loro istanze a quanto discusso dai media del paese per legittimare il confronto con le autorità locali.
Nel febbraio del 1988 un ingegnere fino ad allora sconosciuto diffuse la notizia che l’impianto biochimico in costruzione a Gudermes avrebbe potuto causare al- l’ecosistema un danno simile a quello del disastro nucleare di Chernobyl. L’ingegnere venne accusato dalla locale procura di “voler arrecare danni economici allo stato” mediante la diffusione di notizie allarmanti su una possibile “Chernobyl cecena”. Tra la primavera e l’estate del 1988, Groznyj ospitò diverse manifestazioni ambientaliste, che portarono poi alla fondazione del Fronte Popolare della Ceceno-Inguscezia.2
Per quasi due anni, fino all’autunno del 1990, il Fronte Popolare rimase l’unica seria organizzazione “non governativa” ad attrarre regolarmente migliaia di manife- stanti a Groznyj. L’evoluzione ideologica del Fronte Popolare seguì il percorso di al- tre formazioni simili nel periodo della perestroika: dalle preoccupazioni ambientaliste passò a tematiche quali la necessità di una riscrittura della storia, il recupero della cultura nazionale, la democratizzazione della vita pubblica nelle repubbliche autono- me, la punizione dei funzionari corrotti della “mafia” economica di partito e, in
GEORGI M. DERLUGHIAN 54
particolare, la richiesta di revocare la tacita esclusione dei cittadini della Cecenia e dell’Inguscezia dalle posizioni dirigenziali nella gerarchia locale. Questa istanza venne presentata come necessità di tornare, con quella che appariva essere una dichiarazione di fedeltà alle linee del partito, ad una “politica nazionale di stampo prettamente leni- nista”. Tuttavia, ciò rappresentava chiaramente una minaccia per il consolidato sistema di potere dei burocrati russi, fra i quali il Primo segretario Foteev e il suo ideologo, il professore di storia Vinogradov.
Le prime elezioni, nella primavera del 1989, diedero un ulteriore impulso alla mobilitazione politica in Cecenia. L’ultraconservatore Foteev venne sconfitto e, per la prima volta nella storia sovietica, un politico di origini cecene, Doku Zavgaev, fu nominato ai vertici politici della regione della Ceceno-Inguscezia. La stampa locale e la vita sociale godettero di una certa liberalizzazione, e a ciò seguì la sperimentazione di nuove forme economiche sul modello della perestroika (promozione di cooperati- ve, elezioni di dirigenti, autonomia finanziaria, ecc.). Sentimenti nazionalistici si svilupparono nelle popolazioni di Cecenia e Inguscezia: molti intellettuali e persona- lità accademiche di ampie vedute, vicini ai movimenti non governativi, vennero promossi a cariche ufficiali nel partito o nell’amministrazione statale. Allo stesso tem- po, però, molti irriducibili comunisti rimasero saldi nell’apparato di partito e nel KGB. Doku Zavgaev, come Gorbachev, funse da ago della bilancia nella scena politi- ca locale.
Nei primi mesi del 1990, tuttavia, la breve luna di miele tra la leadership comuni- sta cecena e la popolazione terminò con una nuova ondata di manifestazioni. La cosa ancor più significativa fu che per la prima volta la protesta si estese ai villaggi. Mi- gliaia di manifestanti fecero picchetti davanti agli uffici distrettuali chiedendo le di- missioni dei leader politici dell’era brezneviana. Le contestazioni portarono alla rimo- zione di numerosi funzionari, poco graditi alla popolazione, ma solo in un caso si ar- rivò alla nomina di una figura non appartenente alla nomenklatura. Di certo, Zav- gaev sfruttò questo rimpasto per piazzare i propri fedeli in posizioni chiave. Le ele- zioni del 1990 in Ceceno-Inguscezia non ebbero esiti diversi da quelli del Tatarstan: anche in questa repubblica autonoma, la nomenklatura conservò ampiamente il proprio controllo sfruttando gli eventi politici per rapidi avanzamenti di carriera. I vecchi conservatori vennero cacciati per far posto alla schiera di “comunisti della perestroika” di mezza età.
Solo pochi democratici indipendenti riuscirono ad essere eletti nella Ceceno- Inguscezia di Zavgaev. Tra questi, anche il professore di economia Ruslan Khasbu- latov, di origini cecene ma residente a Mosca, allora alleato di Eltsin.
Quando nel giugno del 1991 Eltsin venne eletto presidente della Russia, Khasbu- latov gli subentrò nell’importante carica di presidente del parlamento russo. Nono- stante l’insignificante risultato elettorale, i rappresentanti dell’intelligentsiya alterna- tiva in Ceceno-Inguscezia si sentirono incoraggiati dalla promozione del loro candi- dato Ruslan Khasbulatov tra i grandi della politica russa. Ancor più elettrizzante era per loro il diffuso clima rivoluzionario risultante dal crollo dei regimi comunisti del- l’Europa orientale nel 1989. Gli attivisti del Fronte Popolare decisero di vendicarsi della sconfitta politica organizzando manifestazioni di massa e azioni extraparla- mentari. Nell’estate del 1990, continuando le azioni di protesta, fecero picchetti agli
DALLA RIVOLUZIONE ALLA GUERRA 55 uffici governativi di Groznyj. La loro campagna tuttavia fallì. Le manifestazioni si ve- nivano assottigliando e alla fine vennero trasferite allo stadio di Groznyj, luogo molto meno in vista. Le piogge autunnali fecero il resto.
Perché è importante ricordare questi dettagli, oramai sbiaditi e apparentemente non significativi, di avvenimenti politici lontani nel tempo? Perché dimostrano che la rivoluzione nazionale in Cecenia non era predestinata ad avere un esito positivo. Proprio come nel Tatarstan, entro la seconda metà del 1990 il movimento “infor- male” era sopravvissuto al suo stesso programma fondato sulla salvaguardia ambien- tale, la difesa delle radici storiche, la punizione dei funzionari corrotti e la demo- cratizzazione. Accuse di corruzione avevano coinvolto la stessa leadership del Fronte Popolare e molti dei suoi membri più rappresentativi che avevano accettato ricchi posti di rilievo nell’amministrazione pubblica. Gli “informali” persero seguaci e si esaurirono. Un tentativo del dicembre del 1990 di incrinare l’unità dell’organizza- zione e fondare un “nuovo, purificato Fronte Popolare” segnò la fine del movimento. Sembrò per un certo periodo che Zavgaev avesse vinto definitivamente. Si era sbaraz- zato dell’opposizione ostile, aveva creato una propria rete clientelare a tutti i livelli delle strutture amministrative e legislative, oltre ad aver trasferito in toto la sua mac- china politica dal partito comunista al parlamento. In un’intervista rilasciata in quel periodo a un giornale di Mosca Zavgaev si vantava dei risultati raggiunti dalla propria amministrazione: “Guardi che pace e che tranquillità regnano nella nostra mera- vigliosa repubblica!”3
Ci si chiede dunque cosa portò la Cecenia ad intraprendere una strada politica diversa da quella percorsa dal Tatarstan e da altre repubbliche post-sovietiche, nelle quali la nomenklatura comunista riuscì a trasformarsi in locale “patriziato” corrotto. Una risposta a tale quesito ci porta inevitabilmente ad indagare l’evoluzione della so- cietà cecena durante l’ultimo decennio di amministrazione pacifica dell’Unione So- vietica.