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Né guerra, né pace: il breve periodo di indipendenza della Cecenia

In seguito al ritiro delle truppe russe, la Cecenia godette, ma sarebbe meglio dire “soffrì”, un breve periodo di indipendenza di fatto. A posteriori, l’indipendenza fu semplicemente un breve intermezzo tra le due guerre. L’economia allo sbando, l’as- senza di una leadership politica e l’impennata della criminalità (con la diffusione del fenomeno dei sequestri) costituirono i presupposti di un nuovo periodo di ostilità. La riluttanza o l’incapacità della Russia ad osservare le condizioni del trattato di pace, in particolare quelle relative agli aiuti economici, non fece che peggiorare la situazione. Proprio mentre le truppe russe si apprestavano ad abbandonare la regione, alcuni gruppi armati cercarono dei pretesti per aprire nuovi conflitti. Il 14 dicembre del 1996 truppe guidate da Salman Raduev sequestrarono 22 soldati russi del Ministero degli Interni, rifiutandone inizialmente il rilascio nonostante la “severa condanna” da parte del primo ministro ceceno ad interim Aslan Maskhadov. Raduev era il fami- gerato comandante responsabile dei blitz a Kizliar e Pervomaiskoe del gennaio di

22 Gall e de Waal, Chechnya, cit., cap. 15.

23 “Printsipy opredeleniia osnov vzaimootnoshenii mezhdu Rossiiskoi Federatsiei i Chechenskoi Respu-

blikoi” [Principi per la definizione dei rapporti reciproci tra Federazione Russa e Repubblica Cecena], firmato da A. Lebed, A. Maskhadov, S. Kharlamov e S. Abumuslimov, il 31 agosto 1996 a Khasavyurt, in presenza di T. Guldimann, capo della missione dell’OSCE in Cecenia. Pubblicato in Nezavisimaya

Gazeta, 3 settembre 1996. Per una traduzione italiana, si rimanda a F. Vietti, Cecenia e Russia, Bolsena,

LE GUERRE 73 quell’anno. Due giorni dopo il sequestro dei soldati, una delegazione governativa dell’Ossezia del Nord venne rapita mentre raggiungeva Groznyj per dei negoziati con funzionari governativi ceceni. La notte tra il 16 e il 17 dicembre, sei membri di uno staff medico del comitato internazionale della Croce Rossa vennero uccisi in una città a sud di Groznyj, mentre il giorno dopo sei civili russi vennero ammazzati nella capitale cecena. L’addetto stampa di Eltsin descrisse l’eccidio come una provocazione per ostacolare il processo di pace. L’“oligarca” della finanza Boris Berezovskij, allora vicesegretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, si recò a Groznyj per consultarsi con il vice primo ministro Movladi Udugoc e il comandante Shamil Basaev nel tentativo di ottenere il rilascio degli ostaggi di Raduev. Il 18 dicembre i militari vennero liberati. Questa fu una delle numerose occasioni in cui Berezovskij ricoprì un ruolo chiave nella crisi cecena degli ostaggi, pagando, a quanto si dice, i riscatti e rendendo così il fenomeno dei sequestri un affare lucroso.24

Nel tentativo di ristabilire la normalità del quadro politico, la Cecenia indisse le elezioni nel gennaio del 1997. Il generale Maskhadov, l’eroe della guerra e della pace, sconfisse agilmente i suoi oppositori. Il portavoce di Eltsin annunciò che il presidente russo “era soddisfatto” del risultato delle elezioni e che inoltre riteneva che la vittoria di Maskhadov “avrebbe introdotto mutamenti profondi” nelle trattative per giungere a “decisioni accettabili da entrambe le parti sullo status della Cecenia all’interno della Federazione Russa”.25 Nonostante l’elezione di Maskhadov a presidente, continua-

vano a manifestarsi segnali che non lasciavano presagire nulla di buono. Il coman- dante brigante Raduev non volle accettare gli esiti delle votazioni sostenendo che il presidente ceceno Dzhokhar Dudaev era ancora vivo e che soltanto Dudaev avrebbe potuto ordinargli di cessare il fuoco contro la Russia. Raduev minacciava di “ridurre in cenere” almeno tre città russe se Mosca non avesse riconosciuto l’indipendenza della Cecenia. Nel frattempo, Basaev e Yandarbiev rifiutarono la proposta di entrare a far parte del nuovo governo di Maskhadov. Basaev giurò che sarebbe tornato alla sua vecchia occupazione, il commercio di computer, mentre Yandarbiev, noto scrittore, dichiarò di voler riprendere la sua attività letteraria.26 Forse, le sorti della Cecenia

sarebbero state diverse se i due avessero mantenuto le loro promesse.

La violenza e l’irrequieto clima politico tra le due guerre sono legati in parte alla lotta per i benefici economici tra gruppi criminali armati, in parte ai diversi progetti politici sul futuro della regione. Maskhadov sembrava intenzionato a ricostruire una Cecenia sovrana e secolare partendo dalla cooperazione con la Federazione Russa. In

24 L. Fuller, “Red Cross Workers Slaughtered in Chechnya”, OMRI Daily Digest, n. 242, parte I, 17

dicembre 1996; L. Fuller, “Red Cross Killings Condemned”, e “Raduev Backtracks On Hostages”, OMRI Daily Digest, n. 243, parte I, 18 dicembre 1996; L. Fuller, “Raduev Releases Hostages”, OMRI Daily Digest, n. 244, parte I, 19 dicembre 1996; S. Shermatova e L. Nikitinskii, “Chechen Slave Traders”, Moscow News, n. 14, 12-18 aprile 2000.

25 S. Parrish “Moscow Welcomes Election Results”, OMRI Daily Digest, n. 20, parte I, 29 gennaio

1997.

26 S. Parrish, “Raduev Threatens Terror Campaign against Russia”, OMRI Daily Digest, n. 21, parte I,

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alternativa, la visione propugnata da Basaev e altri vedeva rinascere il sogno di uno stato islamico comprendente Cecenia, Dagestan e forse altre popolazioni musulmane del Caucaso del Nord. I sostenitori di tale visione non volevano la pace con la Russia, nemmeno alle condizioni più favorevoli con il ritiro unilaterale dell’esercito russo negoziato da Maskhadov e Lebed. Soltanto la prosecuzione della guerra, oltre i confini ceceni, avrebbe reso possibile l’unificazione della Cecenia con il Dagestan, ga- rantendo così uno sbocco ad est sul Mar Caspio. Se una tale azione militare avesse provocato la reazione della Russia, tanto meglio: secondo quest’ipotesi, le altre popo- lazioni musulmane del Caucaso settentrionale si sarebbero sollevate contro i russi, portando infine l’intera regione a conquistare l’indipendenza. A questo punto, la “Nazione Islamica” (come si chiamava uno dei gruppi indipendentisti ceceni) avreb- be goduto dell’accesso al Mar Nero, verso ovest, e al Mar Caspio ad est, assicurandosi sopravvivenza e prosperità.27

Anche il petrolio aveva un ruolo chiave in questo progetto, poiché il controllo delle coste del Dagestan avrebbe garantito l’accesso ai due terzi del bacino del Ca- spio.28 Era certamente una visione utopistica, fondata su considerazioni errate, prima

fra tutte l’intenzione delle popolazioni del Dagestan di unirsi alla Cecenia a formare uno stato islamico. L’analisi trascurava inoltre motivazioni meno nobili, come l’a- vidità personale che era alla base dell’agire di molti oppositori ceceni. Tuttavia, gli o- biettivi politici perseguiti dai diversi gruppi minoritari coincidevano nell’aperta op- posizione alla presenza russa nel Caucaso settentrionale e nell’appoggio ad un pro- getto di federazione islamica. Tali obiettivi avrebbero trovato un ostacolo nella politica di riavvicinamento di Maskhadov.

Gli oppositori dell’integrazione economica della Cecenia intralciarono i piani di Maskhadov con azioni violente. Il primo maggio del 1998 rapirono Valentin Vlasov, inviato di Eltsin a Groznyj, e lo tennero in un luogo segreto insieme a Jon James e Camilla Carr, due operatori umanitari britannici catturati nel luglio del 1997. Que- sto indica che i sequestri erano parte di un piano organizzato.29 La coppia britannica

venne rilasciata il 20 settembre del 1998, dopo quattordici mesi di prigionia. Due settimane dopo il loro rilascio, quattro tecnici che lavoravano per una società di te- lecomunicazioni britannica vennero sequestrati a Groznyj. Vlasov venne rilasciato il 13 novembre del 1998, nello stesso giorno in cui a Makhachkala, capitale del Da- gestan, venne rapito Herbert Gregg, un insegnante americano.30 Alla fine quest’ulti-

27 S. Mamaev e N. Babichev, “Prestupnye promysly” [I campi criminali], Kommersant Vlast’, 3

novembre 1998, pp. 18-20. In russo promysel significa sia “commercio” o “attività”, sia “campo”, come campo di petrolio. Per un’analisi sull’islamizzazione del conflitto ceceno si rimanda a J. Hughes,

Chechnya: From Nationalism to Jihad, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2007 e a T.

Wood, Chechnya: The Case for Independence, London, Verso, 2007.

28 E. Guseinov, “Pokushenie na Dagestan – ugroza bezopasnosti Rossii” [Attacco contro il Dagestan –

una minaccia per la sicurezza della Russia], Izvestiia Ukraina, 26 dicembre 1997.

29 Mamaev e Babichev, “Prestupnye promysly”, cit., p. 19; “Forgiven but not forgotten”. The Guardian,

17 febbraio 2000.

LE GUERRE 75 mo venne rilasciato, ma i quattro tecnici non furono altrettanto fortunati e morirono durante l’operazione malamente organizzata dal governo di Maskhadov per liberarli.31

Vennero giustiziati e le loro teste mozzate vennero abbandonate sul ciglio della stra- da. All’inizio di dicembre, i combattenti sequestrarono a Groznyj un funzionario del- la compagnia petrolifera Grozneft e assassinarono il capo dell’unità cecena antise- questri.32

Gli oppositori di Maskhadov manifestarono chiaramente e con feroce determina- zione l’intenzione di voler proseguire la loro lotta per contrastare ogni piano di riav- vicinamento con la Russia, soprattutto se ciò avesse previsto lo sviluppo dell’industria petrolifera.

Maskhadov non riceveva grandi aiuti neanche da Mosca, se non dichiarazioni uf- ficiali da parte di Sergei Stepashin, il ministro degli interni, secondo le quali “Ma- skhadov ha il sostegno della Russia e di altri paesi” e sarebbe stato in grado di “conso- lidare la propria autorità”. Secondo Stepashin, in un incontro tenutosi agli inizi del novembre del 1998, il primo ministro Primakov aveva assicurato che erano stati stanziati dei fondi dal bilancio dello Stato per migliorare le condizioni sociali in Cecenia, ma senza che questi giungessero a destinazione: le accuse di appropriazione indebita dei fondi indirizzati alla ricostruzione e al sistema previdenziale in Cecenia sembravano fondate. Ciò nondimeno, Stepashin espresse la propria fiducia che la di- stribuzione di tali fondi, e in particolare il pagamento delle pensioni, “avrebbe accre- sciuto il prestigio di Maskhadov”.33

Altre iniziative deliberate da Mosca sembravano piuttosto voler indebolire il prestigio del leader ceceno. All’inizio del dicembre del 1998, ad esempio, la stampa russa riportò che Eltsin aveva ritirato una sua direttiva del settembre 1997 volta a ne- goziare un trattato con la Cecenia sulla mutua rappresentanza dei poteri, sulla fal- sariga di quella che aveva evitato un conflitto con il Tatarstan. Il cambio di direzione politica di Eltsin apparve come uno schiaffo inopportuno a Maskhadov, il quale, in un’intervista rilasciata il 2 dicembre, aveva espresso la sua disponibilità ad aprire “un qualsiasi tipo di dialogo” con il governo russo per giungere a firmare “un trattato in piena regola” tra Mosca e Groznyj. Alludendo probabilmente alla questione del pe- trolio, Maskhadov si era inoltre dichiarato pronto ad assumersi “la responsabilità di difendere gli interessi strategici della Federazione Russa nel Caucaso”.34

Agli inizi del 1999, un gruppo di osservatori russi si dichiarò allarmato per il

31 “Four Foreign Hostages Slain In Chechnya”, RFE/RL Newsline, vol. 2, n. 236, parte I, 9 dicembre

1998; “Chechen President Sheds Light on Hostages’ Murder”, RFE/RL Newsline, vol. 2, n. 237, parte I, 10 dicembre 1998.

32 “Chechen President Calls for Coordination in Combating Crime”, RFE/RL Newsline, vol. 2, n. 231,

parte I, 2 dicembre 1998.

33 “As Moscow Expresses Support For Maskhadov”, RFE/RL Newsline, vol. 2, n. 217, parte I, 10

novembre 1998; “Primakov Claims ‘Breakthrough’ in Relations with Chechnya”, RFE/RL Newsline, vol. 2, n. 210, parte I, 30 ottobre 1998.

34 “Moscow Abandons Idea of Power-Sharing Treaty with Chechnya”, RFE/RL Newsline, vol. 2, n.

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deterioramento della situazione in Cecenia e l’apparente condiscendenza dell’ammini- strazione di Eltsin. A metà gennaio, Aleksandr Lebed lanciò un allarme attraverso gli organi di stampa. Egli prevedeva un’altra guerra se Mosca non avesse preso misure per rafforzare Maskhadov. Secondo un articolo, il generale Lebed “criticava Mosca per non aver colto l’opportunità offerta dall’accordo di pace che lui e Maskhadov avevano siglato nell’agosto del 1996, volto a stabilizzare la situazione politica ed economica della Cecenia e delle confinanti repubbliche caucasiche”.35 Pochi giorni dopo l’inviato del

presidente Eltsin, Vlasov, sopravvissuto a sei mesi di prigionia, espresse un giudizio simile e accusò il governo di Eltsin di non aver fornito sufficienti aiuti economici e sostegno politico a Maskhadov, come previsto dagli accordi del maggio del 1997.36

Nel febbraio del 1999 Maskhadov sembrava ormai aver ammesso la sconfitta. Sotto la pressione dei comandanti guidati da Basaev, sciolse il parlamento ceceno e ordinò il passaggio immediato alla shari’a [la legge islamica] in tutta la Cecenia.37 A

pochi giorni dalla decisione di Maskhadov, i comandanti ribelli formarono un gover- no alternativo, un consiglio chiamato “Shura”, a capo del quale venne nominato Ba- saev. La Shura chiese l’immediata introduzione della shari’a, le dimissioni del presi- dente e del parlamento e la stesura di una nuova Costituzione.

L’ennesima svolta nel conflitto venne segnata il 5 marzo 1999, quando il generale di divisione Gennadii Shpigun, del Ministero degli Interni russo, venne rapito a Groznyj. Il ministro degli interni Stepashin dichiarò che se Shpigun non fosse stato liberato entro breve, Mosca avrebbe adottato “misure drastiche per ristabilire la legge, l’ordine e la sicurezza nelle regioni del Caucaso del nord”. Criticò altresì il governo di Maskhadov per gli insuccessi nel reprimere il terrorismo, minacciando che eventuali altri “atti terroristici” avrebbero costretto la Russia ad intervenire per eliminare “le basi delle formazioni criminali” ovviamente “in conformità con la pratica interna- zionale”.38 In opposizione alle minacce di Stepashin, altri esponenti di spicco esclu-

sero l’uso della forza da parte di Mosca in Cecenia.39 In effetti, come successivamente

ammise Stepashin, questo era proprio il periodo in cui si stava progettando una nuova, breve invasione della Cecenia.40

Secondo Stepashin, le autorità russe avevano pianificato una nuova guerra contro la Cecenia molto tempo prima dell’incursione nel Dagestan e delle bombe sugli edifici. In un’intervista ad un giornale, agli inizi del 2000 Stepashin dichiarò:

Sulla Cecenia posso dire una cosa: il piano per le operazioni in questa regione era stato e- laborato sin dal marzo [del 1999]. Noi avevamo pianificato di intervenire militarmente sul

35 “Warns of New North Caucasus Conflict”, RFE/RL Newsline, vol. 3, n. 9, parte I, 14 gennaio 1999. 36 “Chechen Field Commanders Ignore Parliament Summons”, RFE/RL Newsline, vol. 3, n. 11, parte

I, 18 gennaio 1999.

37 “Chechen President Decrees Introduction Of Islamic Law… Which Is Seen As Stabilizing Move”,

RFE/RL Newsline, vol. 3, n. 24, parte I, 4 febbraio 1999.

38 “Stepashin Issues Ultimatum To Groznyj…”, RFE/RL Newsline, vol. 3, n. 47, parte I, 9 marzo 1999. 39 “…Can Count On Moscow’s Support”, RFE/RL Newsline, vol. 3, n. 48, parte I, 10 marzo 1999. 40 “Stepashin Says Chechen War Was Response To Shpigun Abduction”, RFE/RL Newsline, vol. 4, n.

LE GUERRE 77 [fiume] Terek verso agosto-settembre. Quindi sarebbe accaduto anche senza le esplosioni a Mosca. Io stesso condussi delle operazioni per rafforzare i confini con la Cecenia, prepa- randomi per un’offensiva. Quindi Vladimir Putin non scoprì nulla di nuovo qui. Stepashin allude al fatto che il piano originario per una nuova guerra non im- plicava necessariamente una piena invasione, la riconquista di Groznyj e il controllo di tutto il territorio:

Io sono sempre stato a favore di una linea dura in Cecenia. Ma avrei valutato con più at- tenzione l’opportunità di oltrepassare il Terek e proseguire verso sud. 41

Come abbiamo visto, la situazione in Cecenia in seguito al ritiro dei soldati russi era pericolosa e instabile. La riluttanza o l’incapacità della Russia a rispettare le con- dizioni del trattato che aveva posto fine alla prima guerra cecena, in particolare quelle relative agli aiuti economici e alla ricostruzione, contribuirono certamente a fare della Cecenia indipendente un progetto irrealizzabile. Eppure, le ragioni del fallimento della Cecenia vanno ricercate anche nella sua politica interna, nella rivalità tra fazioni politiche con visioni conflittuali sul futuro della repubblica e nell’avidità legata al petrolio e all’industria dei riscatti.