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Nord-Ost e Beslan

Non si tratta qui di esporre le terribili tragedie che sono stati i sequestri di spet- tatori e attori nel teatro Dubrovka a Mosca in cui si recitava una commedia musicale di successo, il Nord-Ost, nell’ottobre 2002, e quella di bambini, genitori e insegnanti il giorno del rientro in classe il 1° settembre 2004 in una scuola di Beslan, in Ossezia

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del nord. I due avvenimenti hanno provocato lunghe polemiche in Russia e, anni dopo, anche dopo i processi, si è ben lontani dall’aver fatta luce sia sull’uno che sul- l’altro avvenimento. Si continua a non sapere di quali aiuti hanno potuto beneficiare i terroristi per organizzare operazioni così importanti e tanto lontano dalle loro basi. Non è neanche stata fatta chiarezza sugli errori nelle operazioni delle forze speciali. Ancor più grave è che i giornalisti e i parenti delle vittime del teatro Dubrovka sono convinti, e gli argomenti che sono stati loro opposti sono piuttosto deboli, che il gas utilizzato era un gas usato in guerra e che se ne è deliberatamente nascosta ai medici la composizione, impedendo loro di individuare l’antidoto adeguato e quindi provo- cando decine di morti. A Beslan, contrariamente alla versione ufficiale, i parenti delle vittime e il giornale Novaya Gazeta, che ha condotto numerose inchieste, ritengono che l’assalto non sia stato scatenato in seguito a un incidente che ha indotto i terro- risti a far esplodere le cariche esplosive, ma che sia stato delibratamente provocato dalle forze speciali, che avrebbero tirato con armi pesanti e razzi, il che avrebbe pro- vocato la caduta del tetto e l’incendio con centinaia di vittime. Colpiscono, in en- trambi i casi, due cose. Primo. Lo scopo prioritario, perseguito con fredda a determi- nazione, di uccidere tutti i terroristi. Sono stati uccisi tutti, spesso uno per uno, nel teatro Dubrovka, mentre uno solo è sopravvissuto a Beslan. Secondo. Il rifiuto di ne- goziare. Mentre Maskhadov, il presidente democraticamente eletto della Cecenia e sulla cui testa pendeva una taglia, era infatti pronto a recarsi a Mosca per discutere con i sequestratori, questa possibilità è stata trascurata; così come a Beslan, Ruslan Aushev, l’ex presidente dell’Inguscezia, che godeva di grande autorità, dopo aver ot- tenuto qualche liberazione è stato messo da parte.

L’essenziale è che la Russia, come hanno osato dire i commentatori dopo Nord-

Ost, non si metta in ginocchio come accaduto a Budennovsk. A caldo, davanti al tea-

tro, il vice-ministro degli interni, poi deputato, si è felicitato per il successo dell’o- perazione. In seguito modererà le sue affermazioni davanti all’emozione provocata dalla morte degli ostaggi. Nessuno certamente dirà una parola per le donne-kamikaze che sono state freddamente uccise, dopo che il gas aveva già fatto il suo effetto. I mass media si accodano e una buona parte dell’opinione pubblica con loro, anche se i sondaggi mostrano qualche riserva a proposito di Beslan:

Approvate l’azione delle forze speciali? 4

Ottobre 2003 Assalto al teatro

Settembre 2004 Assalto alla scuola

Approva assolutamente 39% 11%

Approva più che disapprovare 43% 32%

Disapprova più che approvare 09% 31%

Disapprova assolutamente 04% 16%

Non sa rispondere o altro 5% 11%

I RUSSI E LE DUE GUERRE IN CECENIA 165 Per Nord-Ost, solo il 41% degli intervistati stima che fosse impossibile evitare vittime, mentre un altro 41% pensa che queste siano state provocate dalla cattiva organizzazione dei soccorsi (sondaggio di novembre 2002, 1600 persone intervistate); per Beslan, se il 54% degli interrogati pensa, nell’ottobre 2004, che le autorità ab- biano fatto tutto il possibile per salvare gli ostaggi, il 34% stima che l’essenziale fosse, per loro, salvare la faccia (1600 persone intervistate), e se il 52% approvava a set- tembre, durante l’assedio alla scuola, totalmente o parzialmente l’azione di Putin, il 33% era dell’opinione opposta (1600 persone intervistate). Aggiungiamo infine che, in entrambi i casi, solo una piccolissima minoranza pensava che le autorità dicessero tutta la verità su ciò che era accaduto a Mosca e a Beslan (4% e 6% rispettivamente): la stragrande maggioranza pensava che la dicessero parzialmente e persino che la na- scondessero, mentendo.

Putin, dal canto suo, ha approfittato dei due atti terroristici per accentuare il ca- rattere autoritario del regime. Dopo il sequestro degli ostaggi a Mosca, ha rafforzato la censura col pretesto che le trasmissioni televisive avrebbero involontariamente aiu- tato i terroristi, informandoli sulle operazioni della polizia. Dopo Beslan e il caos di quei giorni nella presa di decisioni, ha annunciato una riforma amministrativa che aboliva l’elezione dei governatori delle regioni e li sottometteva direttamente al presidente.

Oggi

Le autorità russe sono giunte, come si sa, a “cecenizzare” il conflitto, e cioè a far sì che sono forze cecene, dapprima quelle del presidente Achmat Kadyrov e, dopo che questi è stato ucciso in un attentato nel maggio 2004, quelle di suo figlio Ramzan Kadyrov, a “mantenere l’ordine” nella piccola repubblica. La riuscita di questa opera- zione ha permesso di spostare il conflitto ceceno ai margini delle preoccupazioni dei russi. Tanto che, rispondendo nel gennaio 2006 alla domanda “quali timori avete per la Russia nel 2006?”, la tensione nel nord del Caucaso è al settimo posto per il 18% degli intervistati, molto lontano dietro il rialzo dei prezzi (77%), la crisi economica e la svalutazione del rublo (52%), le catastrofi naturali e le epidemie (32%) e via dicen- do.5 La società russa si è, in qualche modo, abituata al conflitto e fa come se i discorsi

ufficiali sul ristabilimento di una vita normale in Cecenia rispecchiassero la realtà. Il paradosso è che, quando sono interrogati, i russi rivelano di avere una visione ben più realistica delle cose. Ma, se lo dicono nei sondaggi, non se ne trova traccia nello spa- zio pubblico. Nel giugno 2006, per esempio, di fronte alla domanda “qual è il vostro atteggiamento riguardo a una separazione della Cecenia dalla Russia?”, il 13% degli intervistati pensa che la secessione sia già avvenuta, il 19% sarebbe contento se la separazione avvenisse, il 19% non pensa niente di particolare, il 16% si dice contrario alla secessione, ma pronto ad accettarla, e soltanto il 20% riprende la posizione uffi- ciale, secondo cui bisogna opporvisi con tutti i mezzi. Non solo. Soltanto il 34% del-

5 1600 persone intervistate, il totale delle percentuali nelle risposte è maggiore di 100 poiché erano

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le persone intervistate nel settembre 2006 pensa che le truppe federali controllino to- talmente o in buona parte la situazione in Cecenia, contro il 59% che ritiene che la controllino parzialmente, se non per niente. Più stupefacente ancora, se si pensa che, come si è visto, il successo di Putin all’inizio era fortemente legato al suo intervento in Cecenia, è il fatto che, nell’agosto 2006, solo il 29% delle persone intervistate ap- provava retrospettivamente l’ingresso delle truppe in Cecenia, contro il 48% che avrebbe preferito che la piccola repubblica fosse isolata dal resto della Russia e il 23% che non sapeva rispondere (nel gennaio 2000, le percentuali erano rispettivamente del 46%, 43%, 11%). Infine, alla domanda se Vladimir Putin sia riuscito a mantene- re la promessa fatta nel marzo del 2000 di riportare l’ordine e la stabilità in Cecenia, solo il 2% risponde che il presidente ha ottenuto un successo pieno, contro il 28% che parla di un successo ragionevole, il 47% di poco successo, e il 16% di nessun successo.

Siamo dunque ben lontani da una cieca fiducia in Putin e nella sua politica. Si ha piuttosto l’impressione che, pur avendo ben coscienza di ciò che succede, la popolazione lasci che il potere agisca a suo modo, senza sentirsi troppo coinvolta. Dopo tutto, mentre il 61% delle persone intervistate nel febbraio 2000 si dichiara favorevole a proseguire fino alla fine le operazioni di annientamento dei combattenti ceceni, anche a prezzo di forti perdite (questa cifra diminuirà in seguito), solo il 15% è pronto ad andarci personalmente o a vederci andare i parenti.

Dunque, dietro l’apparenza di un’adesione forte alla politica presidenziale, abbia- mo un’accettazione passiva della politica seguita e un’adesione forte alla persona del presidente come simbolo della ritrovata potenza russa.