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Il capitale simbolico e le strategie di conversione delle forme di capitale

Come abbiamo già accennato, se i diversi tipi di capitale sono tra loro convertibili (con relativi «tassi di cambio») è a sua volta una particolare forma di capitale – il capitale simbolico – a giocare un ruolo di meta-capitale all’interno dei vari campi in cui sono le dinamiche di accumulazione, com- petizione ed esclusione a risultare dirimenti. Allo stesso tempo, Erik Neveu, nel porsi criticamente rispetto ad una proliferazione di forme di capitale in studi che si vorrebbero d’ispirazione bourdieu- siana (Neveu 2013), ha nondimeno sottolineato, con un’efficace similitudine con i Tre moschettieri di Alexandre Dumas, come esistano tre forme tipiche di capitale che danno origine ad una quarta – il capitale simbolico – in quanto trasfigurazione di una delle tre forme principali (Neveu 2018: 348; 359-360).

Pertanto, occorre sottolineare come tale forma di capitale, che gioca anche un ruolo rilevante rispetto alla concezione bourdieusiana delle classi sociali, è diventata progressivamente centrale nell’approccio bourdieusiano (Susca 2011); o, ancora meglio, quanto i suoi effetti, in connubio con la nozione di violenza simbolica – quasi un ossimoro (Mauger 2006: 90) – e la sottomissione para- dossale che promuove (Paolucci 2010: 173-218), siano diventati dirimenti nelle analisi bourdieu- siane. Infatti, il capitale simbolico non designa un’entità oggettiva – una cosa – bensì, in prima istanza, nella società contemporanea, gli effetti esercitati dalle altre forme di capitale, tanto che per

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Bourdieu si può parlare di «effetti simbolici del capitale» (Bourdieu 1998a: 253). Dunque, la nozione di capitale simbolico, che ha come forma primigenia l’onore e che ha avuto una funzione regolativa nel misconoscere gli interessi economici sottesi alle produzioni simboliche nelle società precapitali- stiche (Bourdieu 2003a; 2017a), tutt’ora svolge un ruolo imprescindibile nelle moderne società capi- talistiche nel momento in cui riconosce o misconosce gli aspetti di ogni forma di capitale e degli agenti sociali che ne sono detentori/portatori. Infatti, per Bourdieu, non sono la qualità o il volume di capitale ad essere di per sé importanti, quanto il fatto di essere percepiti nello spazio sociale come rilevanti. Vi è dunque un’imprescindibile dimensione cognitiva del capitale (Santoro 2015: 68) che consente di percepire, classificare, valutare e quindi riconoscere le dinamiche di potere – il capitale simbolico, pur nella sua immaterialità, è un’imprescindibile risorsa di potere – nello spazio sociale. Non a caso Bourdieu, come esamineremo dettagliatamente nella seconda parte di questo lavoro, vede nello Stato, come fulcro del campo burocratico, il principale detentore di capitale simbolico in quanto capace di istituzionalizzare, classificare e categorizzare le pratiche sociali più svariate: ad esempio attribuendo valore ai titoli di studio, stabilendo criteri e regole di ammissione, contribuendo, in tal modo, a produrre capitale culturale nella sua forma istituzionalizzata. A loro volta le di- verse forme di capitale possono derivare dal capitale economico – ad esso tutti i tipi di capitale pos- sono essere in qualche modo rinviati – ma ciò è possibile, sottolinea incessantemente Bourdieu, solo grazie a un «lavoro di trasformazione necessario per produrre il tipo di potere efficace» (Bourdieu 2015a: 111) in un determinato campo. In tal senso, se ci sono beni/servizi che si possono acquistare con l’ausilio del capitale economico, ve ne sono altri la cui acquisizione è determinata solo sulla base di un capitale di relazioni e obblighi sociali in un tempo necessariamente dilazionato. Ciò implica un investimento nel lavoro di relazione che potrebbe non risultare efficace, che, dunque, non sia in grado di trasformare un debito semplice e diretto in gratitudine (Ivi: 112). Ad ogni modo, l’ipotesi che alla base di ogni forma di capitale vi sia una specie economica e che le altre forme di capitale risultino efficaci solo se mascherano tale surdeterminazione (prendendo in prestito una terminologia althusse- riana e lacaniana), implica lo scarto rispetto ad almeno due impostazioni contrapposte e che, al con- tempo, si elidono a vicenda: l’economicismo e il semiologismo. Il primo, predicando la semplice riducibilità di ogni specie di capitale a quello economico, ignora la specifica efficacia delle altre forme di capitale; il secondo, invece, riduce le relazioni di scambio sociale a meri fenomeni comunicativi ignorando, in tal modo, «il fatto brutale della loro universale riducibilità all’economia» (Ivi: 112). Sotto quest’ultimo versante Bourdieu vede accomunati, a dire il vero con qualche forzatura, approcci assai diversi tra loro come l’interazionismo simbolico, lo strutturalismo e l’etnometodologia. Essi, infatti, non farebbero altro che porre l’accento sullo scambio di segni, eludendo e sottostimando il condizionamento dettato dalla materialità della pratica economica.

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Secondo Bourdieu, un aspetto dirimente di una scienza dell’economia delle pratiche nel deli- neare i processi di conversione dei capitali consiste nel rilevare come il profitto perseguito in un campo sia pagato con i costi in un altro campo (e da ciò consegue il carattere ridondante del concetto di spreco). In questo caso l’equivalente universale è rappresentato dal tempo di lavoro (inteso in senso ampio e in forme non assimilabili alla prospettiva marxiana/marxista come a prima vista potrebbe sembrare) e

la conservazione dell’energia sociale, attivata in ogni trasformazione di capitale, si verifica pertanto se, per ogni caso dato, si considera allo stesso tempo il lavoro accumulato in forma di capitale e il lavoro di calcolo, necessario per la trasformazione di un tipo di capitale in un altro (Ivi: 114).

Così, come si è già accennato, la trasformazione di capitale economico in capitale sociale perderà il suo significato strettamente monetario – ricorda Bourdieu – come si può constatare, ad esempio, nei tentativi di personalizzare un regalo. Se ciò può apparire uno spreco da un punto di vista meramente economico, nondimeno nel complesso di una logica più estesa dello scambio sociale rap- presenta un investimento, a breve o a lungo termine. Lo stesso si può dire per la trasformazione del capitale economico in capitale culturale. In questo processo ciò che davvero diventa dirimente sarà, senza dubbio, la durata del tempo effettivamente impiegato, ma ciò presuppone che vi sia la possibi- lità di spendere tempo utile, per cui

il capitale che viene effettivamente trasmesso in famiglia dipende non solo dal significato del capitale culturale qui di- sponibile, e accumulabile solo a prezzo di un investimento di tempo, ma anche e molto più dipende da quanto tempo utile (ad esempio tempo libero della madre) è disponibile (grazie al capitale economico [familiare che rende possibile acqui- stare il tempo di altri]) per assicurare la trasmissione di capitale culturale e consentire un ritardato ingresso nel mercato del lavoro, attraverso il prolungamento scolastico, un riconoscimento che rende profitto, se lo rende, solo nel lungo tempo (Ivi: 115).

Bourdieu insiste sul carattere strategico assunto dalla convertibilità dei diversi tipi di capitale per la riproduzione del capitale stesso e della posizione nello spazio sociale di chi ne è detentore. In quest’ottica, si tenterà, ovviamente, di servirsi «dei mezzi di conversione ai costi più bassi in termini di lavoro di trasformazione e dei costi inerenti a tale lavoro» (Ibidem). In questo processo di trasfor- mazione i rischi di spreco e i costi del mascheramento sono, d’altronde, strettamente correlati: un maggiore occultamento del carattere economico innalza i rischi di spreco. Ciò è particolarmente evi- dente per il capitale sociale, dove l’intreccio di obblighi, cortesie, regali è sottoposto al rischio dell’in- gratitudine. Ma l’assenza di trasparenza economica connota costitutivamente anche il capitale cultu- rale e, di conseguenza, la sua trasmissione, tanto che il suo scorrere continuo e diffuso in famiglia –

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sottolinea Bourdieu – va «oltre la consapevolezza e il controllo dei suoi possessori» (da qui nasce, tra l’altro, la convinzione che il sistema scolastico dispensi titoli riconoscendo le proprietà naturali degli studenti), tanto che l’ufficialità del titolo scolastico, e la sua valorizzazione nel mercato del lavoro, sottrae alla famiglia il monopolio della trasmissione del potere e dei privilegi legati alla conoscenza (Ivi: 117). Inoltre, Bourdieu segnala che anche per quanto concerne il capitale economico vi sono differenti problemi di trasmissione in base alla forma che esso assume, per cui, ad esempio, il capitale monetario sarà «più vulnerabile» di quello condensato in possedimenti terrieri che invece tende a favorire la costituzione di dinastie. Ad ogni modo, il capitale economico si distingue per il carattere più altamente ed evidentemente arbitrario della sua trasmissione – si pensi alla successione – per cui, afferma Bourdieu, «ogni strategia di riproduzione è inevitabilmente anche una strategia di legittima- zione che mira a consacrare sia l’appropriazione esclusiva che la sua riproduzione» (Ivi: 118). In generale, ne consegue che i proprietari tenderanno a servirsi di strategie di riproduzione che cercano di mascherare la trasmissione di capitale, il che implica, necessariamente, uno spreco del medesimo. Per cui tanto più si ostacolerà la trasmissione di capitale economico, tanto più esso circolerà sotto forma di capitale culturale con la funzione di riprodurre la struttura sociale vigente.

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