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La sociologia bourdieusiana come variante dell’assiomatica dell’interesse?

2. Il capitale e l’antropologia economica bourdieusiani alla prova della critica

2.2 La sociologia bourdieusiana come variante dell’assiomatica dell’interesse?

L’importazione, l’uso e il consolidamento del paradigma economico nelle scienze sociali indica certamente un problema che forse mai come oggi necessita di essere interrogato criticamente. La sociologia bourdieusiana, in tal senso, non poteva non sfuggire all’accusa di riprodurre un riduzioni- smo economicistico dettato dall’impiego esteso e a volte ambivalente di un lessico di matrice econo- mica. In particolar modo, una prospettiva anti-utilitaristica come quella promossa dal Mouvement Anti-utilitariste dans les sciences sociales, intenta a disegnare e a recuperare anche politicamente un paradigma alternativo come quello del dono (Caillé 1998) per tratteggiare le dinamiche sociali e ad individuare un inesorabile nesso interesse-utilitarismo-scienze sociali (Caillé 1988: 19-34), non po- teva che porsi polemicamente rispetto all’approccio bourdieusiano, malgrado alcuni esiti convergenti come l’auspicio dell’avvento di un’economie du bonheur (Lescourret 2008) o l’attenzione comune riposta su autori come Karl Polanyi. Ciò è risultato evidente fin dalla nascita del Mouvement, avvenuta nel 1981, concretizzandosi in un articolo del suo fondatore, Alain Caillé (1981), che aveva per tema proprio l’estensione dell’uso del paradigma economico in sociologia ad opera di autori come Ray- mond Boudon, Michel Crozier e Bourdieu accomunati, seppure i primi due interni alla tradizione liberale diversamente da Bourdieu, dal proporre forme di sociologia dell’interesse, cioè fondate su «un’assiomatica dell’interesse» (Ivi: 258). Caillé, in questo suo articolo, pone subito in risalto come i tre autori tendano ad assimilare gli attori sociali a dei giocatori facendo riferimento alla teoria dei giochi54, ipotizzando che l’«homo sociologicus» sia un «giocatore interessato» (a determinate poste in gioco) e «suscettibile di calcolare e definire una strategia approssimativamente razionale». Ciò ne farebbe «un parente prossimo dell’homo oeconomicus» (Ibidem).

L’assunzione del paradigma economico viene interpretata da Caillé come mera estensione dell’economia politica, rispetto alla quale sembra di capire che per l’esponente del Mouvement non vi sia spazio per un’economia politica critica, a detrimento della sociologia che implica una riconfi- gurazione di quest’ultima come sapere sempre meno interessato allo studio della coscienza collettiva, del simbolismo e dunque del sacro (come per Durkheim), bensì le è richiesto di «porre come nullo e indisponibile tutto ciò che, nei comportamenti sociali, evoca la questione del senso [corsivo mio]» ovverosia della «ricerca del senso dell’esistenza» (Ivi: 259) al cui posto sarebbe subentrata un’analisi tutta centrata sul conflitto e la competizione tra gli attori sociali in quanto portatori di interessi diffe- renti e contrapposti. L’assiomatica dell’interesse ha una forza seduttiva dettata da alcune evidenze proprie della società moderna che, tuttavia, secondo il sociologo francese animatore del Mouvement risulterebbero superficiali, dato che mancherebbe un’adeguata concettualizzazione della nozione

54 Segnaliamo che un’interessante ricostruzione dell’itinerario bourdieusiano che privilegia il rapporto tra campo e gioco

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stessa d’interesse. In altri termini, se non si è in grado di fare chiarezza sulla natura di tale concetto, al di là di un approccio meramente formalistico, dunque intervenendo sulla sua ambiguità e difficoltà di misurazione, la sua portata euristica risulta seriamente compromessa. In particolar modo, Caillé ritiene per lo meno dubitabile rendere conto della genesi degli interessi sulla base di un’assiomatica. Ne scaturirebbe, né più né meno, che una forma di tautologia come ribadirà in modo più articolato in successivi studi dedicati alla smitizzazione delle scienze sociali (Caillé 1988). Se Boudon e Crozier danno un’interpretazione liberale del paradigma economico, invece, secondo l’esponente del Mouve- ment, Bourdieu s’inscrive nella linea d’interpretazione marxista del medesimo paradigma, malgrado il tentativo, evidentemente fallito, d’innestarvi la problematica weberiana della legittimazione del potere e del dominio (Ivi: 151), in quanto gli interessi sarebbero – in maniera sovente implicita – materiali, ed essi caratterizzerebbero non tanto degli individui, quanto dei gruppi e delle classi. Caillé afferma, inoltre, che Bourdieu raffinerebbe considerevolmente la tradizione marxista, «producendo le mediazioni che permettono di passare dall’affermazione del primato dell’infrastruttura alla presa in conto della sovrastruttura» (Caillè 1981: 267) in modo da articolare interessi materiali e simbolici. Ciò, tuttavia, produrrebbe un’estensione impressionante dell’assiomatica dell’interesse al di fuori della cui giurisdizione non resterebbe pressoché nulla, dato che lo stesso concetto di disinteresse non sarebbe altro che una particolare forma d’interesse (senza coglierne, ci pare, la particolarità in ultima istanza positiva dell’interesse al disinteresse) preso in un’impresa teorica in cui Bourdieu «sembra animato esclusivamente dall’hybris scientista del non lasciare che nulla sfugga alla propria giurisdi- zione teorica e alla passione nichilista che nell’azione umana vede solo la strumentalità» (Caillé 1988: 136). In tal modo, il fine ultimo che animerebbe gli attori sociali nella teoria bourdieusiana non sa- rebbe altro che l’accumulazione di capitale economico o, meglio, «l’incremento del loro patrimonio» (Caillé 1981: 268), dove le stesse altre forme di capitale rinviano in ultima istanza al capitale econo- mico. Ciò sarebbe testimoniato dallo stesso sacrificio dell’interesse economico immediato come modo per accumulare più capitale simbolico successivamente convertibile in un surplus di capitale economico, anche se ci pare che Caillé non tenga nella dovuta considerazione quanto la convertibilità sia tutt’altro che scontata e quanto sia assai più complesso l’intreccio tra le varie forme di capitale, nonché le distinte logiche che le sorreggono in un approccio che ha tentato – certo in modi che si prestano a considerazioni critiche che tuttavia ci pare non sfocino quasi mai in modelli alternativi dotati di una valenza euristica superiore, dunque risultando incapaci di pensare la critica come Kritik – di ricostruire l’economia sociologicamente, dunque tentando un’operazione di trasformazione non di mera e passiva recezione della concettualizzazione economica. Ad ogni modo, se Caillé coglie quanto l’interesse messo all’opera da Bourdieu non è l’interesse puramente formale ritagliato su un individuo astratto, quanto un interesse «immediatamente sociale e socialmente determinato», nonché

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«generatore delle pratiche di classe», che si costituisce per «conoscenza implicita e per interiorizza- zione della possibilità oggettive» (Ivi: 269), esso, da un lato, pur riconoscendo il parziale livello d’in- determinazione che connota l’habitus, ridurrebbe il desiderabile al possibile, dall’altro, sul piano simbolico non riconoscerebbe alcun valore intrinseco, alcun valore d’uso (bensì solo di scambio), alla cultura e ai valori, che non sia riducibile agli habitus e alle razionalizzazioni legittimanti delle classi (o meglio delle frazioni delle classi) dominanti.

Sul primo versante potremmo chiederci se può davvero esistere, in termini di azione sociale, un desiderabile che non abbia un robusto rapporto con il possibile (a meno che non ci si orienti verso una dimensione fantastica), sulla seconda osservazione critica, quanto la cultura e il simbolico siano costitutivi delle dinamiche sociali almeno allo stesso livello dell’economico (e dunque non come un mero epifenomeno, anche se in-intenzionale, del secondo) ci pare fin troppo ridondante nella socio- logia bourdieusiana. Nondimeno, il fondatore del Mouvement vede nell’operazione bourdieusiana il tentativo di leggere la società moderna con categorie che hanno una valenza antropologica universale che si estenderebbe, secondo una logica di ricapitolazione, alle società arcaiche dove, ad esempio, l’imperativo di accumulare e convertire capitali non era una pratica sociale accettata o dominante. In particolare, nel rapporto tra scambio mercantile e simbolico Caillé si chiede perché la ricerca di pre- stigio e di gloria sarebbe solo un mezzo per incrementare l’accumulazione economica (fraintendendo, a parere di chi scrive, quanto tale accumulazione economica non sia semplicemente economicistica e inquadrabile in una logica lineare di mezzi e fini), e perché «il “rifiuto” d’instaurare la separazione della sfera degli interessi materiali dovrebbe essere pensata in termini di falsa coscienza piuttosto che di “scelta”» (Ivi: 271). Su quest’ultimo aspetto, ammesso che sia un’interpretazione corretta, quanto sarebbe davvero più plausibile credere in tale “scelta” e fare appello a una sorta di complementare assiomatica del disinteresse puro e del dono come trasparente atto gratuito su cui si fonderebbe o dovrebbe fondarsi il legame sociale? In tal senso, ci pare che abbia più di una ragione chi ha sottoli- neato come si voglia squalificare tout court la nozione d’interesse a cui sostituire un’antropologia incantata del dono in cui quest’ultimo tende ad essere naturalizzato (Lordon 2006: 23-25).

Un ulteriore aspetto critico sollevato da Caillé riguarda la natura della perdita e del sacrificio che emergerebbe nell’«antropologia essoterica» (Caillé 1988: 197) bourdieusiana: in un approccio che di fatto negherebbe l’autonomia dell’universo simbolico-culturale, non ci sarebbe spazio per una reale perdita che non sia recuperabile nel lungo termine come «possesso materiale» (Caillé 1981: 272). Nulla di assimilabile, pertanto, alla morte e al sacrificio che rinviano a un’autentica perdita strettamente correlata, afferma Caillé, alla questione dell’esistenza, della genesi dei valori e del sim- bolismo. Allo stesso tempo, una lettura più sottile dell’antropologia bourdieusiana, rinvenibile in testi comeLeçon sur la leçon (Bourdieu 1991), in cui si sottolinea la centralità del riconoscimento sociale

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dell’individuo come modo per sottrarsi alla morte o, meglio, per elaborarne simbolicamente il lutto, rimanda ad un approccio giudicato da Caillé eterodosso e non utilitaristico (Caillé 1988: 199). Tutta- via, in Bourdieu, sarebbe sempre l’antropologia essoterica a sopraffare quella esoterica dato che la sua concettualizzazione del lutto sociale s’inserirebbe in «una visione profondamente funzionalistica del rapporto sociale» con ricadute funzionalistiche sul soggetto (Ivi: 200) in cui ad essere determi- nante non sarebbe tanto ciò che non è (come per il soggetto sartriano), quanto ciò che non ha secondo una logica d’«indefinita accumulazione» che anche se si sovvertisse la priorità del capitale economico con quello simbolico non porrebbe un freno a tale logica che colloca la stima di sé solo dopo il rico- noscimento sociale (Ivi: 202-203).

In definitiva, la sociologia bourdieusiana viene classificata da Caillé come una forma, la più pervasiva, di economicismo sociologico (Ivi: 126-212), linea interpretativa in qualche modo succes- sivamente ripresa anche da altri autori (Favereau 1999). Giudizio che viene ribadito ed esteso in se- guito anche all’opera di un secondo – a quanto pare solo apparente – Bourdieu (Caillé 20052: 255-

259) e in particolare alle trasformazioni lessicali introdotte a partire da Choses dites (dove al termine interesse si preferiscono quelli di illusio e libido) fino a giungere ad un libro come le Méditations pascaliennes in quanto unico testo a non ricadere in qualche forma di economicismo (Ivi: 9). Di fatto, all’approccio bourdieusiano si imputa: a) di aver costruito un sistema chiuso sulla base di rigide omo- logie tra i campi – la cui identità ne svuota la diversità (Caillé 1988: 156-157) –, peraltro sempre riducibili al campo economico e ad interessi materiali in cui, paradossalmente, un generale determi- nismo economico, postulando che l’economia è ovunque e dunque da nessuna parte in particolare, può bene correlarsi ad un «volontarismo politico» gauchiste come quello dell’ultimo Bourdieu che rivendicherebbe una «libertà assoluta» (Caillé 20052: 10, 311-316); b) di essere positivista, evoluzio- nista e popperianamente non falsificabile (Caillé 1988: 129-140; 146-148); c) di essere incapace di vedere/spiegare lo iato che si genera tra vecchi e nuovi interessi, in particolare tra quelli materiali e quelli immateriali, e quindi la storicità che li caratterizza dato che si tratterebbe di un sistema in cui «la storia [è] necessariamente assente» (Caillé 1988: 128-129); d) di essere perlopiù tautologica e tesa a evidenziare «il monopolio assoluto [corsivo mio] delle classi dominanti sui capitali di ogni ordine» (Ivi: 177); e) di essere sorretta da un cattivo empirismo e incapace di esplicitare le domande a cui intende rispondere (Ivi: 165-167).

Ci pare evidente che una tale lettura sia perlomeno opinabile. Rispetto ad essa, lo stesso Caillé, al di là di un orientamento convivialista – almeno in parte condivisibile da chi scrive – che si pone la problematica di recuperare/rafforzare aspetti della vita sociale come la cooperazione che sfuggano ad un agonismo competitivo effettivamente a volte troppo esteso nelle analisi oggettivanti bourdieu- siane, ammette di non essere in grado di contrapporre un altro sistema teorico. Ed è probabilmente

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l’intenzione di costruire un sistema teorico delle pratiche, per quanto tutt’altro che chiuso ad innova- zioni così come segnato necessariamente dalla storia, a risultare sempre meno recepibile dalla critica in un clima intellettuale in cui le opzioni di matrice variamente strutturalista perdevano terreno a vantaggio di quelle ermeneutiche. È ciò che emerge, innanzitutto, con la sociologia pragmatica della critica (ma non solo) che tentava di focalizzarsi sui diversi regimi d’azione, promossa da un ex allievo di Bourdieu come Luc Boltanski55 insieme a Laurent Thévenot (Boltanski, Thévenot 1991), tesa a rivendicare una pluralità epistemologica e una concezione plurale dell’azione umana – sovente non disdegnando di partire da Bourdieu per oltrepassarlo e almeno in parte contrastarlo (Lahire 1999, 2001, 2004; Corcuff 2003) – che si vorrebbe consapevole dei propri limiti gnoseologici e capace di tratteggiare modelli ragionati d’azione che la trasposizione degli strumenti concettuali bourdieusiani ai campi più disparati non consentirebbe. Ad ogni modo, il concetto d’interesse – successivamente ri-elaborato, per quanto possa risultare effettivamente troppo inclusivo e soggetto a forme di tautolo- gia – e il tentativo di disegnare un’economia generale delle pratiche ci sembrano più criticabili nella capacità o meno di prefigurare una critica dell’economia politica e di disvelare le diverse forme di dominazione che affettano le relazioni sociali come premessa di una potenziale trasformazione sociale e politica più che in base al tentativo teorico e pratico di sottrarre la società a una generica domina- zione economica come ci pare d’intravedere nella traiettoria del Mouvement. Allo stesso tempo, non ci pare che risultino problematici in quanto incapaci di uscire dalla metafora economica (Cot, Lautier 1984) e dunque di non essere in grado di formalizzare economicamente un tale approccio per la (pre- sunta) assenza di una definizione sociologica di termini come capitale e lavoro capaci di dar conto, ad esempio, della conversione delle diverse specie di capitale e della genesi e del valore del capitale individuale (Grossetti 1986).

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