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L’utopia realistica di un movimento sociale europeo?

pitale politico

6. L’ultima fase dell’impegno sociologico e politico bourdieusiano: la lotta contro il neoli berismo e la costituzione di un movimento sociale europeo 124

6.4 L’utopia realistica di un movimento sociale europeo?

Come reagire ad una rottura considerata epocale come quella cosiddetta neoliberale? Bourdieu, parlando da un’ottica europea, in una raccolta di interventi politici intitolata Contre-feux 2. Pour un mouvement social européen, pubblicata nel 2001, riteneva che di fronte alla «concentrazione e

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mobilitazione del capitale culturale» su cui si basa il potere di «organismi, agenzie di pubbliche rela- zioni, lobbies dell’industria e delle aziende private» solo una «forza critica, fondata su una mobilita- zione analoga, ma orientata su tutt’altri fini, potrà dimostrarsi efficace» (Bourdieu 2001b: 8).

In tal senso, di fronte ad un mutamento di strategia per cui nelle imprese era diventata centrale la ricerca del profitto a breve termine, per cui le stesse assunzioni erano sottoposte agli «imperativi della flessibilità» e «l’intera vita dei salariati era posta sotto il segno dell’insicurezza e dell’incer- tezza» (Ivi: 53)130, egli considerava essenziale muovere dalla consapevolezza di una tendenziale eva- porazione dei poteri e della loro efficacia a livello nazionale. In tal senso, pur ritenendo lo Stato nazionale, come abbiamo anticipato, al netto di ogni nazionalismo, un’arma realisticamente utile ai subalterni per resistere alla rivoluzione neoliberista131, nondimeno assumeva che la restaurazione della politica (contro l’anti-politica dei determinismi economici) passasse oltre lo Stato nazionale verso uno Stato transnazionale e mondiale e facesse perno su un’azione sindacale rinnovata che su- perasse «la frammentazione per obiettivi e nazionalità» trovando una sede di coordinamento sovra- nazionale. Detto altrimenti, si trattava di promuovere gli stati generali di un movimento sociale eu- ropeo (Ivi: 65), in cui militanti sindacali e dei movimenti sociali trovassero un raccordo con i ricer- catori critici e orientassero il processo di unificazione europea su basi opposte rispetto all’integrazione neoliberale improntata sulla logica dell’unifica et impera (Ivi: 105-124) rivestita nello pseudocon- cetto di globalizzazione, in cui in realtà s’intendeva universalizzare un modello di sviluppo – quello statunitense –, il più forte e diseguale.

Quella di Bourdieu non era certo un’adesione ad un’Europa che già si preparava ad essere quasi esclusivamente «una banca e una moneta unica»132 in uno spazio di esasperata libera

130 Sotto questo aspetto Bourdieu non mancherà di polemizzare con autori come Ulrick Beck (2001) e Antony Giddens

(2000, 2001) che nell’avvento della società del rischio, con «il mito della trasformazione dei salariati in piccoli impren- ditori», non vedevano quanto tali pratiche assumessero un valore normativo tarato sulle pratiche delle classi dominanti (Bourdieu 2001b: 54).

131 In un’intervista coeva a cui abbiamo già fatto riferimento (Bourdieu 2012d), il sociologo francese sottolineava come

l’indebolimento di tutti gli ostacoli alla libera circolazione dei capitali e agli investimenti all’estero andava di pari passo con la preclusione di tutte le forme di protezionismo, salvo quella riservata ai dominanti, tanto che «i dominati devono essere liberali [mentre] i dominanti possono [corsivo mio] essere protezionisti» (Ivi: 130) – e il protezionismo selettivo odierno (strumentalmente e retoricamente propagandato a favore di una parte dei lavoratori autoctoni) degli Stati più ricchi, ma in declino, come gli USA, è una conferma della posizione bourdieusiana più che una smentita.

132 Le problematiche legate alla moneta unica e al ruolo della Banca Centrale Europea evidenzieranno, dopo la crisi

globale del 2007-2008, i principali vulnus di un’architettura istituzionale continentale quanto meno inadeguata. Tuttavia,

il carattere sempre più feticistico – e facilmente egemonizzabile dalle destre neoconservatrici e xenofobe capaci più na-

turalmente di riattivare i principi d’identificazione nazionale, culturale e religiosa (in luogo di quelli di classe) – dello

scontro sull’uscita o meno dall’euro per riattivare una qualche forma di sovranità nazionale (fatta propria anche da settori della sinistra radicale) ci pare mettere in scena una risposta ad una domanda sbagliata. Ciò è vero nella misura in cui, da una prospettiva di sinistra che faccia propria un’ipotesi di emancipazione universale che passa necessariamente dalle lotte unitarie dei subalterni, non tematizza le catene di valore transnazionali che si sono imposte, né sembra fare davvero i conti con le trasformazioni neoliberiste incorse dopo la crisi. In tal senso, com’è stato sottolineato recentemente (Bellofiore, Garibaldo, Mortágua 2019), si occulta quanto la dimensione (perlomeno) europea insieme a quella nazionale sia la sede in cui organizzare lotte coordinate e un programma politico efficace a partire dai conflitti sul lavoro e dalla promozione di movimenti sociali. Allo stesso tempo, prima di giungere all’unificazione monetaria, con il deficit democratico che ne

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concorrenza, né una generica rivendicazione di «un’Europa sociale» come propagandavano le social- democrazie egemonizzate dalla terza via blairiana (che per Bourdieu facevano un uso opportunistico del simbolismo socialista), bensì era la prospettiva di costruire innanzitutto una politica comune di coesione sociale ed economica, a partire dalle ragioni del lavoro rispetto al capitale e contro il pro- cesso di flexploiation e di liberalizzazione dei mercati finanziari, con un forte e progressivo radica- mento democratico-istituzionale transnazionale (Ivi: 15-16). Vi era tuttavia la consapevolezza, stori- camente radicata, che nessuna effettiva politica sociale sarebbe venuta alla luce senza un movimento sociale capace d’imporla, prendendo atto che solo la «mobilitazione sociale, e non il mercato […] ha ottenuto di “civilizzare” l’economia di mercato e ha dato al tempo stesso un contributo importantis- simo alla sua efficienza» (Ivi: 19). Da qui l’esigenza di un sindacalismo europeo, malgrado i ritardi e i corporativismi nazionali delle principali centrali sindacali, quale motore di un’Europa davvero so- ciale – autentica «utopia razionale» (Ivi: 27) – che, sulla base di «uno spirito profondamente interna- zionalistico», avrebbe dovuto superare «gli ostacoli legati alle tradizioni giuridiche e amministrative nazionali» così come «le barriere sociali interne alla nazione», in particolare «tra settori e categorie professionali, tra genere e gruppi di età e origine etnica». A tal fine «un’internazionale degli immi- grati» accanto a quella dei lavoratori provenienti da tutti i paesi europei era quanto di meglio si potesse sperare e la promozione di «disposizioni internazionalistiche» (Ivi: 22-23) quanto di più efficace fosse necessario per una lotta comune. In tal senso, constatando e denunciando l’indebolimento inte- ressato della “mano sinistra” dello Stato, con conseguenze deleterie sul lato sociale e ambientale (e in tempi di allarmi sul cambiamento climatico dovremmo essere in grado di capire ancora meglio quanto tali problematiche siano sempre più interconnesse e comuni…), Bourdieu dirà, lucidamente, che

un uomo che oggi ha vent’anni, se non è internazionalista, lo pagherà molto caro. Essere internazionalista e solidale con tutti i movimenti sociali critici, è assolutamente vitale se si vuole sopravvivere e fare sopravvivere delle cose molto im- portanti, la cultura, la letteratura, la scienza, ecc., o anche solo se si vuole sopravvivere [corsivo mio]. L’umanità è in pericolo perché ci sono delle forze internazionali cieche che non potranno essere controllare che tramite [altre] forze internazionali (Bourdieu 2012d: 132-133).

Quanto ciò sia stato disatteso e sconfitto, e quanto sull’odierna cosiddetta crisi dei migranti – – che si sovrappone a quella più generalmente economica, ritornino a valere sulla vita degli altri i confini delle nazioni europee, è il principale indice di una regressione simbolica e materiale di

ha contraddistinto le istituzioni economiche e politiche, erano certamente possibili altre strade come l’istituzione di una

moneta comune (circolante tra le banche centrali) cosi come, ad esempio, era stata originalmente proposta in antitesi

all’euro da un’economista marxista come Suzanne de Brunhoff (1997, 1998, 1999; Bellofiore 2018). Il fatto che tale proposta non abbia aggregato forze necessarie per una controffensiva sul versante europeo è indicativo dei ritardi e delle lacune – tra le organizzazioni sindacali e i partiti della sinistra alternativa – di un pensiero critico e di una prassi politica autonoma che tutt’ora persiste (e probabilmente anche in forme più intense).

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un’unione che tende a produrre rigetto e rassegnazione a danno, innanzitutto, dei soggetti più deboli (autoctoni e migranti). Senza un orizzonte, un capo, per riprendere un intervento di Jacques Derrida (2018), che indichi un’apertura, che non sia dunque il già noto, vecchio e stantio. Eppure, se c’è una possibilità di ripartire, di ridefinire un’identità non ripiegata su sé stessa, quelle idee e quelle lotte, anche se alle nostre spalle, forse sono ancora davanti a noi.

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Terza Parte

Il valore aggiunto dell’approccio bourdieusiano per interpretare l’astensione

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