Il valore aggiunto dell’approccio bourdieusiano per interpretare l’astensione elettorale nel caso italiano
Grafico 2.7 Percentuale di non votanti alle elezioni politiche (e per l’Assemblea Costituente), regionali ed europee in Italia dal dopoguerra al 2019.
Fonte: nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno – elezioni Camera dei Deputati (nel periodo 1994-2001 il
computo dei non votanti si riferisce al maggioritario).
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030
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Se l’astensionismo in Italia ha assunto valori sempre più rilevanti nelle elezioni di primo or- dine – quelle politiche – su cui abbiamo scelto di focalizzare principalmente l’attenzione, esso risulta ancora più consistente nelle elezioni di secondo ordine come si può notare nel grafico 2.7. Qui basti ricordare come per le elezioni europee e regionali si sia passati nell’arco di un trentennio da un’af- fluenza superiore all’80% a valori, nel primo caso, di poco superiori al 50% e, nel secondo caso, addirittura a valori a esso inferiori nell’ex zona rossa (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche) storicamente considerata una area geopolitica attraversata da diffuse forme di civismo e di coesione sociale (e conseguentemente di diffusa partecipazione elettorale). Ma è l’incremento progressivo del differenziale tra astensionismo nelle elezioni politiche e nelle elezioni di second’ordine che risulta ancora più rilevante e preoccupante.
Allo stesso tempo, se dopo il 1995 e fino al 2005, come ha sottolineato Dario Tuorto (2006: 54-55), quello che si può chiamare astensionismo aggiuntivo, ovvero la differenza tra i votanti alle politiche (precedenti) e i votanti ad un referendum ha mostrato un costante aumento senza che alcun referendum ottenesse il quorum (pari al 50% più uno degli elettori), dal 2006 si nota una situazione assai più instabile, visto che almeno un referendum ottenne il quorum (in realtà si trattava di quattro quesiti referendari, su cui il corpo elettorale fu chiamato a votare il 12 giugno 2011, riguardanti la gestione dei servizi idrici locali, l’energia nucleare e il legittimo impedimento per i componenti di un governo a comparire in udienza penale) mentre altri due, di natura costituzionale (tenutesi nel 2006 e nel 2016), videro una partecipazione superiore al 50% degli elettori pur non essendo prevista una soglia minima di partecipazione per renderne esecutivo il responso. Occorre sottolineare come l’esito dei referendum del 2011 e del 2016 fu chiaramente di orientamento antigovernativo, a dimostrazione di come la pratica referendaria avesse assunto sempre più una funzione di controdemocrazia (Rosan- vallon 2012), ossia tesa a giocare un ruolo d’interdizione e controllo da parte dei cittadini rispetto all’operato del governo in carica. Allo stesso tempo, i referendum abrogativi riguardanti parti della legge elettorale cosiddetta porcellum svoltisi nel 2009 (articolati in tre quesiti) e la consultazione referendaria sulla durata delle trivellazioni in mare, tenutasi anch’essa nel 2016, videro un’affluenza molto ridotta, pari a circa il 24% nel primo caso e al 31% nel secondo. Ciò attestava, d’altro canto, la persistenza di una strategia intrapresa dalla seconda metà degli anni Novanta da parte di coloro che erano contrari all’abrogazione della legislazione sottoposta a suffragio consistente nel non battersi apertamente nelle urne, in una fase di crescente difficoltà a mobilitare l’elettorato, con la finalità di non raggiungere il quorum e rendere, così, non valido l’esito del referendum.
Un ulteriore elemento che si può desumere dai dati ufficiali su partecipazione e astensione elettorale riguarda l’articolazione territoriale di queste ultime. Anche in questo caso non ci
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soffermeremo particolarmente su questo aspetto, che in parte riprenderemo nell’ultima parte di questo lavoro dove tenteremo di contestualizzare il caso pesarese all’interno della cosiddetta (ex) zona rossa. Qui ci limiteremo ad osservare l’intensificazione di alcune tendenze già intraviste nello studio di Tuorto (2006: 55-62) quando, nel prendere atto della permanenza di un divario tra una maggiore affluenza nelle aree del Nord e delle regioni “rosse” del Centro-Italia rispetto alla parte centro-meri- dionale, osservava come l’incremento del non voto interessasse in modo rilevante tali regioni (in particolare parti dell’Emilia-Romagna e la Toscana), soprattutto se si assumeva come dimensione comparativa il raffronto con le elezioni regionali. Ciò oggi risulta assai più vero se si prende atto che è l’Emilia-Romagna il territorio in cui l’affluenza è risultata la più bassa in assoluto – pari al 37,7% – in occasione dell’ultima tornata elettorale del 2014. Su questo fronte, com’è stato osservato recen- temente (Fruncillo 2016: 37-82), sembra corroborata la premessa per cui le elezioni regionali sono elezioni autonome in quanto second-order elections in occasione delle quali si osserva una caduta più accentuata dei tassi di affluenza alle urne proprio per il dispiegarsi delle dinamiche di smobilitazione che interessano le elezioni politiche e in cui, ai fini del livello del turnout, diventa rilevante una «mo- bilitazione personale centralizzata» (ed un tipo di identificazione emotiva che “emula” l’anima dei partiti più che la loro struttura) attorno ai candidati governatori (rispetto ad una decentrata trainata dai candidati al consiglio regionale), che supplisce, almeno in parte, al declino della partecipazione politica promossa dai partiti. Ad ogni modo, se restiamo focalizzati sul dato relativo alle ultime ele- zioni politiche e lo commisuriamo alle elezioni del 2001 (tab. 4.7), ad un primo sguardo si può osser- vare come sia ancora la ex zona rossa quella in cui complessivamente l’incidenza dei non votanti è minore. Infatti, se leggiamo la prima e la terza colonna della tabella dal basso verso l’alto, le quattro regioni che la compongono, nel primo caso, si trovano nelle prime cinque posizioni, mentre solo tre di esse (Emilia-Romagna, Toscana e Umbria) nel 2001 si collocavano nel medesimo intervallo. A variare è soprattutto la posizione principale, dato che nel 2018 la regione in cui l’astensione è risultata più ridotta è il Veneto, davanti all’Emilia Romagna e all’Umbria.
A loro volta, le regioni in cui l’astensione è stata più alta fanno sempre parte dell’area centro- meridionale; nel 2018, a dire il vero, esclusivamente meridionale ed insulare, visto che il Molise, regione con l’affluenza più ridotta nel 2001 ed unico ambito territoriale in cui si è riscontrato un incremento dei votanti rispetto alla prima elezione del nuovo millennio, è diventata la settima regione per grado di astensione e, allo stesso tempo, la Sardegna ha scambiato la propria posizione con la Basilicata.
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Tab. 4.7 Incidenza percentuale dei non votanti alle elezioni politiche del 2018 e del 2001 e variazione in punti percentuali tra le due elezioni considerate.
Non votanti 2018 Non votanti 2001 Variazione 2018-2001
Sicilia 37,2 Molise 30,2 Sardegna +11,9
Calabria 36,4 Calabria 29,1 Emilia-Romagna +10,5
Sardegna 34,5 Sicilia 28,7 Trentino-Alto-
Adige +10,3
Campania 31,8 Basilicata 24,9 Liguria +10,1
Puglia 30,9 Campania 23 Lombardia +9,7
Basilicata 28,9 Sardegna 22,6 Puglia +9,2
Molise 28,4 Abruzzo 22,2 Toscana +9,0
Liguria 28,0 Friuli-Venezia-
Giulia 21,7 Piemonte +9,0
Valle D’Aosta 27,7 Puglia 21,7 Lazio +8,9
Lazio 27,3 Valle D’Aosta 19,6 Campania +8,8
Italia 27,1 Italia 18,6 Sicilia +8,5
Trentino-Alto-
Adige 25,7 Lazio 18,4 Italia +8,5
Friuli-Venezia-
Giulia 24,9 Liguria 17,9 Valle D’Aosta +8,1
Piemonte 24,8 Marche 15,8 Umbria +7,6
Abruzzo 24,4 Piemonte 15,8 Calabria +7,3
Lombardia 23,2 Trentino-Alto-
Adige 15,4 Marche +6,9
Marche 22,7 Veneto 14,9 Veneto +6,4
Toscana 22,5 Umbria 14,2 Basilicata +4,0
Umbria 21,8 Lombardia 13,5 Friuli-Venezia-
Giulia +3,2
Emilia-Romagna 21,7 Toscana 13,5 Abruzzo +2,2
Veneto 21,3 Emilia-Romagna 11,2 Molise -1,8
Fonte: nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno – elezioni Camera dei Deputati.
Ciò che tuttavia va rilevato con attenzione in questa tabella è la variazione dell’astensione nel periodo 2001-2018. Ben 6 regioni su 11 in cui si riscontra una decrescita dell’affluenza al di sopra della media nazionale afferiscono ad aree geopolitiche distinte dall’ambito centro-meridionale. Ad- dirittura, dopo la Sardegna, la variazione più consistente riguarda l’Emilia-Romagna mentre al set- timo posto troviamo un’altra regione “rossa” come la Toscana (e ciò conferma le intuizioni di Tuorto sopradescritte). Considerevole è anche lo scarto positivo in termini di astensione che riguarda le re- gioni dell’area un tempo denominata industriale (Liguria, Lombardia e Piemonte), tutte al di sopra della media nazionale, mentre è la Puglia la regione centro-meridionale che registra una variazione più significativa rispetto ad ambiti territoriali come Lazio, Campania e Sicilia, anch’essi al di sopra del dato nazionale. È infine degno di nota osservare come le variazioni più contenute dell’astensione riguardino due regioni centro-meridionali come l’Abruzzo e la Basilicata (si è già detto della specifi- cità del Molise), mentre sono due regioni della ex area bianca – Friuli-Venezia-Giulia e Veneto – a mostrare una variazione meno significativa relativamente all’affluenza.
Un altro aspetto da considerare, in base ai dati ufficiali, è l’andamento del voto inespresso nel suo complesso, ossia la somma riguardante astenuti, schede bianche e nulle. In merito a queste ultime, è noto come una scheda bianca indichi, generalmente, un surplus di volontarietà nell’esprimere un dissenso (Galli, Capecchi, Cioni Polacchini, Savini 1968) ed è bene che sia tenuta distinta da un voto