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CAPITOLO 3 La mobilità studentesca interregionale in Italia

3.4 Capitale umano e Brain drain

La letteratura economica e sociologica si è sempre interessata ai fenomeni relativi alle migrazioni qualificate, soprattutto con riguardo al ruolo che riveste il capitale umano nei processi di crescita economica dei paesi (Lucas, 1988; Romer, 1990). Sebbene non vi sia una totale concordanza tra gli studiosi sulla definizione di capitale umano, sull’automatismo dei processi di crescita e sul ruolo che esso svolge nei processi di crescita economica degli stati o delle regioni (Zurru, 2016), esso rappresenta un concetto fondamentale dei processi di costruzione e di codificazione della Knowledge-

Based Economy4 (OECD, 1996):

4 Col termine Knowledge-Based Economy si fa riferimento a quell’insieme di conoscenze e tecnologie

che fungono da driver per lo sviluppo e la crescita economica: «The term “knowledge-based economy” stems from this fuller recognition of the place of knowledge and technology in modern OECD economies» (OECD 1996: 3).

Le esigenze della “moderna società dei saperi” hanno portato ad attribuire una crescente importanza all’acquisizione di capitale umano: la conoscenza incorporata negli individui costituisce una risorsa strategica per la crescita economica e sociale di un paese. In tale ambito, la formazione universitaria assume un ruolo fondamentale al fine di dotarsi del capitale umano necessario per diventare il knowledge worker in grado di applicare le competenze/conoscenze al miglioramento dei processi produttivi, ai prodotti, ai servizi in un’economia competitiva basata sulla conoscenza (Tivoli et al., 2011: 14-15).

All’interno di questo quadro concettuale si sviluppano le teorie sul brain drain, inteso come «emigrazione di individui qualificati da regioni povere verso altre più ricche» (Carillo, 2012: 13). Il termine fu coniato negli anni Sessanta dalla Royal

Society, per riferirsi all’esodo di scienziati e ricercatori britannici verso gli Stati Uniti

e il Canada (Royal Society, 1963), e fu in seguito esteso alla forza lavoro qualificata senza distinguere tra settori professionali. Quasi tutta la letteratura sul brain drain è concorde sul fatto che i flussi qualificati provengano da spazi economici svantaggiati in direzione di altri più dinamici (Zurru, 2016c):

L’emigrazione di individui qualificati risulta al tempo stesso la causa e la conseguenza di divari e squilibri economici regionali: il capitale umano infatti tende a concentrarsi geograficamente laddove esso è già presente in quantità abbondante, e l’abilità dei sistemi locali di generare capitale umano può rivelarsi una condizione necessaria ma non sufficiente all’innesco di processi di crescita economica (Carillo, 2012: 13).

Anche sulla definizione stessa di “migrante qualificato” però non vi è concordanza, nonostante generalmente gli studiosi intendano come qualificati coloro che siano in possesso di un titolo di istruzione terziaria (Beltrame, 2008). Tuttavia anche altre figure possono essere spesso ricomprese nella definizione di persone “altamente qualificate”, come studenti universitari, laureati, specializzati, manager, dirigenti e altre figure professionali (Zurru, 2016c). Le statistiche ufficiali internazionali inoltre riconoscono come “migrante” solo la persona che risieda da almeno 12 mesi in un paese diverso da quello di cui ha la nazionalità, escludendo perciò da questa categorizzazione gli spostamenti interni ai paesi o inferiori a quei limiti temporali, categorizzati come semplice “mobilità” (Tomei, 2017b). In un mondo

sempre più globalizzato e interconnesso, in cui gli spostamenti sono resi sempre più facili, queste differenze si fanno sempre più labili, soprattutto dal punto di vista teorico.

Nei decenni successivi l’interesse accademico si spostò verso lo studio del fenomeno delle migrazioni qualificate dai paesi in via di sviluppo a quelli sviluppati. Beltrame (2007), che opera una approfondita rassegna dei contributi sul tema, per definire il brain drain riporta una definizione molto comune, e cioè: «le migrazioni di personale qualificato da paesi in via di sviluppo a paesi sviluppati» (Commander et al., 2003, in Beltrame, 2007: 8). Secondo Beltrame dunque «il nuovo quadro concettuale, che spostava il problema nell’ottica dei rapporti centro-periferia, concentrava l’attenzione sulla riduzione dello stock di capitale umano dei paesi in via di sviluppo, riducendo la possibilità di crescita economica» (Beltrame, 2007: 8). I paesi meno sviluppati dunque, secondo questa visione, formavano le persone a proprie spese, favorendo in questo modo le economie dei paesi di destinazione a scapito di quelle di provenienza (Beltrame, 2007). In questo senso, gli individui cercano tramite scelte autonome di massimizzare il rendimento dei loro investimenti in istruzione (Bhagwati e Hamada, 1974). Queste scelte individuali generano però dei flussi che hanno sui territori di partenza delle esternalità negative, legate alla compressione di tutti gli effetti positivi generati dalla presenza di capitale umano altamente qualificato, influenzando sfavorevolmente il benessere individuale e collettivo:

Nella perdita di capitale umano della forza lavoro locale, per lo più giovanile; nel gap tra rendimento privato e rendimento sociale; nella esternalità fiscale negativa, visto che i lavoratori che emigrano sono anche contribuenti,; nello spopolamento e spostamento dell’equilibrio demografico verso gli anziani, i quali necessitano di maggiori servizi ma sono impossibilitati a finanziarli; sul reddito nazionale; su quello pro-capite; sul livello di disoccupazione di tutti i lavoratori (qualificati o meno); sulle più generali possibilità di sviluppo socio-economico (Zurru, 2016c: 287).

Si tratta di quella che Beltrame definisce come standard view (Beltrame, 2007) o

traditional view (Docquier e Rapoport, 2007), intesa come il filtro tramite cui sono

state per lungo tempo analizzate le dinamiche delle migrazioni altamente qualificate. La standard view nasceva dalla sintesi operata dagli studi sulle migrazioni negli anni Sessanta e che cercava di tenere assieme le teorie del capitale umano e l’approccio neo-marxista della dipendenza nord-sud (Iredale, 2001).

Come riporta Beltrame (2007), solo a partire dalla fine degli anni Novanta l’interpretazione del concetto di brain drain iniziò a mutare alla luce delle nuove tendenze di ritorno e scambio delle conoscenze, dando vita alla nascita di un paradigma circolazionista (Gaillard e Gaillard, 1997) che descriveva i moti del personale altamente qualificato come policentrici, circolatori, temporanei e soggetti a fenomeni di scambio tra i paesi (Beltrame, 2007). In questo senso la mobilità qualificata garantirebbe il dinamismo e la diffusività del capitale umano necessari all’innovazione dei paesi di destinazione. Secondo Beltrame (2007) dunque, l’eterogeneità dei flussi dovrebbe portare a considerare questi due approcci come complementari e non alternativi. In questo senso, occorrerebbe cercare di trovare e sfruttare anche i benefici generati dalla mobilità di capitale altamente qualificato, come ad esempio lo stimolo per chi resta nel paese di origine ad investire in capitale umano, e dunque a generare maggior crescita, o sfruttare le rimesse generate dagli emigrati, oppure i flussi di informazioni e conoscenze che si generano tramite i network migratori (Beltrame, 2007). Questo fatto tuttavia non andrebbe a detrimento dello stock di capitale umano presente nel paese di origine, ma incentiverebbe invece la crescita endogena di capitale umano dovuto all’istruzione, nella prospettiva poi di una futura migrazione, ma generando effetti positivi nel paese di origine (Stark, 2004).

La nuova fase di recessione e crisi economica hanno tuttavia indotto gli studiosi ad adottare un atteggiamento più prudente e disincantato sugli effetti delle migrazioni altamente qualificate (Tomei, 2017b), individuandone tanto gli aspetti negativi quanto quelli positivi. La riflessione sulle dinamiche legate alle migrazioni qualificate si inserisce nel più ampio dibattito sui nessi tra migrazione e sviluppo, sia nei paesi di partenza che in quelli di arrivo (Tomei, 2017b), ricalcandone pertanto l’andamento ‘pendolare’ (De Haas, 2012) tra posizioni che mettono in risalto i benefici della circolazione dei cervelli e quelle che invece ne denunciano gli effetti perversi. Come sottolinea De Haas (2012), questo argomento non è assolutamente nuovo nel dibattito sulle migrazioni, ma affonda le sue radici nel dopoguerra e si è evoluto seguendo un andamento pendolare tra visioni pessimistiche e ottimistiche negli anni.