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CAPITOLO 3 La mobilità studentesca interregionale in Italia

3.9 Un fenomeno in evoluzione

Il trend dei trasferimenti anagrafici dal Mezzogiorno al Centro-Nord sembra essersi stabilizzato nel corso degli ultimi venti anni, e comunque non arriva di certo ai livelli toccati nel ventennio dal 1955 al 1975 (Affuso e Vecchione, 2012). Mentre invece la mobilità dei laureati appare in netta crescita a partire proprio dagli anni Novanta, come posto in evidenza da diversi studi (Viesti, 2005; Piras, 2005; Piras 2007; Affuso e Vecchione, 2012):

Dal 1980 al 2015 il numero dei migranti laureati che si è spostato dal Mezzogiorno al Centro- Nord è passato dal 5% del totale a circa il 25% (ISTAT, 2016), evidenziando che il fenomeno non solo è in forte crescita ma sta assumendo connotazioni molto preoccupanti (Vecchione, 2017: 644).

Anche la mobilità studentesca, cioè quella che viene generalmente definita come mobilità ante lauream, al pari di quella che interessa il resto della popolazione, appare orientata quasi esclusivamente da Sud a Nord. La portata di questi flussi, stando ai dati SVIMEZ e MIUR utilizzati da Affuso e Vecchione (2012), apparirebbe dunque maggiore anche dei flussi di mobilità post lauream. Difatti, la mobilità studentesca interessa circa 24 mila studenti meridionali all’anno, contro i 18 mila mobili post

lauream. Tuttavia, come precisato dagli stessi autori, occorre sottolineare che i dati

sulla mobilità post lauream potrebbero essere sottostimati, in quanto calcolati sulla base delle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche, escludendo dunque tutti quei movimenti che non lasciano tracce amministrative nelle anagrafi dei comuni, perché temporanei o pendolari. Inoltre le cancellazioni anagrafiche sono conteggiate in riferimento all’anno solare, mentre le immatricolazioni con riferimento all’anno accademico (Affuso e Vecchione, 2012).

In Italia nell’anno accademico 2014-2015 ben 55.000 studenti si sono immatricolati in una regione diversa da quella di residenza. In termini assoluti sono in calo di quattromila unità rispetto a dodici anni prima, ma sono cresciuti in termini relativi (Cersosimo et al., 2016b). Considerando le tre grandi ripartizioni, Nord, Centro e Sud, la mobilità assume caratteristiche molto eterogenee. Gli studenti meridionali che si immatricolano in Atenei di altre regioni del Sud o del Centro-Nord sono in media il 30% (Cersosimo et al., 2016b). Nel 2014-2015 sono stati 23.000 gli studenti meridionali che hanno deciso di immatricolarsi in un Ateneo del Centro-Nord, e la mobilità si sta orientando sempre di più verso le regioni del Nord. A fronte di una percentuale di immatricolati meridionali in Atenei del Centro-Nord che si aggira intorno al 20% negli anni, con un trend in crescita, viceversa gli studenti provenienti dalle regioni centro-settentrionali e iscritti in Atenei del meridione risultano essere meno del 3%. In termini di attrattività, le regioni meridionali meno attrattive nell’anno accademico 2014-2015 sia nei confronti degli studenti residenti nel Centro-Nord che

verso le altre regioni del Mezzogiorno risultano la Sardegna (1,1%) e la Sicilia (5%) (Cersosimo et al, 2016b).

La tendenza è comunque quella di spostarsi, in particolare negli ultimi anni, sempre più verso il Nord piuttosto che verso il Centro Italia. Vecchione (2017) analizzando i dati dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti MIUR, afferma che il numero degli immatricolati residenti al Sud ma iscritti ad un corso di laurea triennale o a ciclo unico in Atenei del Centro-Nord risulta essere passato dal 18% del 2004 al 26% nel 2015 sul totale degli immatricolati meridionali. Mentre ancora più preoccupante appare la mobilità dei residenti al Sud iscritti alle lauree magistrali presso gli Atenei del Centro-Nord. Vecchione (2017) afferma che il tasso di uscita dal Mezzogiorno per le lauree magistrali si attesti al 38%, con picchi particolarmente elevanti in Basilicata (82%), Molise (59%), Calabria (53%), Puglia (50%), Sicilia (43%) e Sardegna (39%).

La mobilità studentesca rappresenta un elemento fondamentale nella comprensione del ruolo giocato dagli Atenei nello sviluppo regionale (Cersosimo et al., 2016). Infatti se da un lato essi promuovono la formazione del capitale umano mediante l’istruzione, dall’altro lato invece si configurano come un canale di brain

gain qualora gli studenti decidessero di restare dopo la laurea nella città o nella regione

dove hanno studiato (Dotti et al., 2013).

In Italia questo fenomeno assume dimensioni e dinamiche del tutto particolari, giacché la mobilità è limitata agli spostamenti da Sud verso il Centro-Nord, e raramente viceversa. Se da un lato questa migrazione selettiva contribuisce positivamente allo sviluppo del capitale umano nelle regioni di arrivo, essa può costituire un limite o addirittura un ostacolo per le regioni di partenza, per le quali si configura sia una perdita di capitale umano e sia un trasferimento di reddito in termini di costi sostenuti dalle famiglie o tasse universitarie (Cersosimo et al., 2016b).

In tutto il paese nel corso dell’ultimo dodicennio si è assistito ad un generale calo delle immatricolazioni. Tuttavia questo calo è stato più marcato al Sud e nelle Isole, dove si è passati dai 119 mila immatricolati nell’anno accademico 2003-2004 agli 81 mila del 2014-2015. Il Nord ha perso nello stesso lasso di tempo solo 10 mila immatricolati, passando da 134 mila nel 2003-2004 agli attuali 124 mila. Stesso discorso per il Centro, in cui il calo è stato di 20 mila unità nel corso di questi dodici

anni (Cersosimo et al., 2016a). Sicuramente il calo degli iscritti al Centro-Nord è stato in parte attutito dalla sempre maggiore propensione dei diplomati meridionali alla mobilità verso Atenei extraregionali.

Nell’anno accademico 2014-2015 sono stati oltre 55 mila gli studenti che hanno deciso di iscriversi in una regione diversa da quella di residenza. In questo senso si registra una riduzione della mobilità interregionale in termini assoluti rispetto al 2003-2004, ma una crescita in termini relativi. Gli immatricolati meridionali in altre regioni del Sud o del Centro-Nord rappresentano all’incirca il 30% del totale, valore in forte aumento rispetto ai decenni precedenti. Di questi ben 23 mila si sono immatricolati in un Ateneo del Centro-nord nell’anno accademico 2014-2015. Mentre gli immatricolati in Atenei del Sud provenienti da regioni esterne al Mezzogiorno rappresentano poco meno di un decimo sul totale degli immatricolati meridionali (Cersosimo et al., 2016b). Questi flussi hanno dei risvolti importanti dal punto di vista economico, per le regioni di destinazione in termini di servizi acquistati dagli immatricolati, come trasporti, alloggi, mense, alimenti o tasse universitarie, e per le regioni di provenienza in termini di costi per il mantenimento dello studente fuorisede. Cersosimo suppone che il costo annuo di mantenimento di uno studente fuorisede ammonti all’incirca a 10 mila euro, stimando così il deflusso di risorse in circa 230 milioni di euro l’anno, cifra che andrebbe poi moltiplicata per i cinque anni di corso e a cui sarebbe da aggiungere il costo relativo agli studenti che si iscrivono al Centro- Nord per i corsi magistrali (Cersosimo et al., 2016b). Inoltre, dalle analisi condotte da De Angelis et al. (2017), sembra emergere che i più propensi a spostarsi in una sede raggiungibile in non meno di 60 minuti siano i maschi, i nativi, i liceali, e aumenti al crescere del voto di diploma. La propensione a spostarsi sembra decrescere all’aumentare della grandezza del comune, confermando «l’evidenza per cui, anche a parità di quantità e differenziazione dell’offerta formativa, i centri urbani attraggono elevato capitale umano dall’esterno e trattengono quello esistente al loro interno (De Angelis et al., 2017: 24). »

Gli Atenei del Sud e in parte anche quelli del Centro soffrono dunque di una forte emorragia di studenti diretti verso gli Atenei del Nord. Questo deflusso, perlomeno al Sud, non è però compensato da un movimento inverso, che come abbiamo visto è piuttosto limitato. Difatti gli Atenei del Mezzogiorno e delle Isole non

sembrano essere in grado di attirare studenti dalle altre regioni, registrando tutte, ad eccezione dell’Abruzzo, saldi migratori netti degli immatricolati negativi, con il picco raggiunto da Puglia e Sicilia. Mentre per le regioni del Centro-nord, ad eccezione della Valle d’Aosta, del Veneto e della Liguria, presentano tutti saldi netti positivi, particolarmente elevati in Emilia Romagna, Lombardia, Lazio e Toscana. Risulta inoltre interessante l’inversione di tendenza fatta registrare dal Piemonte, che nel corso dei dodici anni è passato da un saldo negativo di 1400 unità a un saldo positivo di 1200, merito soprattutto dell’attrattività del Politecnico di Torino. La percentuale di immatricolati che dal Sud e dalle Isole si sposta verso il Nord è quasi raddoppiata negli ultimi dieci anni, passando dal 6,8% dell’anno accademico 2003-2004 all’11,8% dell’anno accademico 2014-2015, mentre è solo leggermente aumentata la propensione ad iscriversi in un Ateneo del Centro, passando dal 10,1% al 11,5%. Invece la percentuale di studenti del Centro e dal Nord si immatricola negli Atenei del sud è appena del 2,7% nel primo caso e dello 0,4% nel secondo, in calo di circa un punto percentuale rispetto a dodici anni prima, rappresentando appena il 2,4% degli studenti immatricolati in Atenei del Sud o delle Isole. Il numero di studenti meridionali che decidono di studiare in Atenei del Centro-nord è rimasto pressoché invariato in termini assoluti, ma in termini relativi è aumentato dal 16,9% al 23,3% nel corso dei dodici anni (Cersosimo et al., 2016b). Il dato per l’anno accademico 2015-2016 è del 24% e del 23,6% per l’anno accademico 2016-2017, sulla base dell’elaborazione dei dati dell’Anagrafe Nazionale Studenti del MIUR. Anche la mobilità intra- ripartizionale è piuttosto bassa, sono infatti sono 5.600 gli studenti meridionali che si sono immatricolati in altre regioni del Sud, circa il 5,6% del totale, la stessa incidenza di dodici anni prima (Cersosimo et al., 2016b).

La crisi dunque sembra non aver pesato sulla possibilità per gli studenti del meridione di andare a studiare in un Ateneo situato al di fuori della propria ripartizione geografica. Anzi, probabilmente la migliore condizione di salute del mercato del lavoro settentrionale e il deciso peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro meridionale potrebbero aver funzionato da fattore propulsivo. Gli immatricolati del Sud prediligono gli Atenei della Lombardia e del Lazio, dirigendosi chiaramente verso i due capoluoghi regionali. Tuttavia oltre la metà degli immatricolati che lascia il Sud privilegia la mobilità lunga, dall’Emilia Romagna in su:

Sembra dunque che negli ultimi anni rispetto al passato pesino di più nella scelta della sede di immatricolazione le prospettive occupazionali e retributive post-laurea dei contesti territoriali di destinazione, come se famiglie e studenti anticipassero al momento dell’immatricolazione le scelte «di vita» future. Sotto questa luce potrebbe spiegarsi, da un lato, il forte aumento di interesse recente per gli atenei lombardi e piemontesi e, dall’altro, il contemporaneo ridimensionamento della propensione per le università laziali e, in parte, emiliane e toscane (Cersosimo et al., 2016b: 124).

La stessa mobilità interna al Mezzogiorno è piuttosto bassa, sono solo 5600 gli immatricolati meridionali in una regione diversa da quella di residenza ma della stessa ripartizione nel 2014-2015.

Tuttavia calando l’analisi ad un livello ancora più basso rispetto a quello regionale, si nota come le strategie mutino anche all’interno delle stesse regioni. Infatti dall’analisi condotta da Cersosimo e colleghi, emerge come la presenza nel proprio territorio di uno o più Atenei grandi e la posizione geografica della provincia siano due dei fattori che maggiormente influenzano la decisione di migrare. Subentrano poi altri fattori legati all’offerta didattica garantita dall’Ateneo del proprio territorio e ai collegamenti fra il territorio di provenienza e l’Ateneo. Questo dato è particolarmente evidente nelle province del Sud più remoto, come nel caso dei ragusani o dei trapanesi, di cui il 50% degli immatricolati ha scelto di iscriversi in un Ateneo del Centro-nord, o nel caso di Siracusa, Agrigento e Caltanissetta, con percentuali attorno al 40%. Tutte province in cui non è presente un proprio Ateneo (Cersosimo et al., 2016b). In questo senso il sistema dei trasporti gioca un ruolo fondamentale nel delineare le scelte degli studenti. Infatti, paradossalmente, per uno studente meridionale è talvolta più facile raggiungere un Ateneo del Centro-nord che un altro Ateneo del meridione.

Sono cresciute di gran lunga in termini di attrattività le Università torinesi e milanesi, a discapito degli Atenei toscani e in parte anche romani, anche se questi ultimi continuano ad esercitare una forte attrazione per gli studenti del Sud residenti nelle regioni più vicine (Cersosimo et al., 2016b). Sembrerebbe dunque che gli studenti e le famiglie siano portati a scegliere gli Atenei qualitativamente migliori, localizzati in città con mercati del lavoro dinamici e migliori sbocchi professionali per i laureati (Ciriaci, 2012). In questa direzione va anche la ricerca condotta da Ciani e Mariani (2014), secondo cui gli studenti meridionali in misura sempre maggiore scelgono

Atenei lontani ma caratterizzati da più alte prospettive di occupazione e di reddito. In questo senso si spiega la scelta del Politecnico di Torino, dell’Ateneo bolognese, soprattutto per le facoltà di Giurisprudenza ed Economia, e gli Atenei milanesi per le discipline sociali (Cersosimo et al., 2016b). Le Università funzionano dunque da attrattori di persone qualificate:

L’attrazione di risorse umano qualificate rappresenta un’ulteriore funzione dell’università, che si aggiunge alle altre ormai note (accumulazione di capitale umano, creazione e trasferimento della conoscenza, miglioramento della qualità delle economie locali e sistemi politici) che consentono di qualificarla come un key-driver dello sviluppo economico

(Cersosimo et al., 2016b: 132).

I legami tra Università e sistema locale delle imprese giocheranno un ruolo sempre maggiore, accrescendo l’importanza delle Università come fattore di sviluppo locale. Le città con una buona Università saranno quelle più in grado di crescere, attraendo manodopera qualificata e attività economiche innovative (Sestito e Torrini, 2017). Infatti, come sottolinea Bianchi (2009), a partire dalla metà degli anni Novanta emerge da parte delle città storicamente più periferiche la richiesta politico- istituzionale di una sede universitaria: «L’Università viene vista come mezzo per permettere alla città di realizzare un salto di rango, ma anche come strumento per interrompere lo storico depauperamento dei talenti locali» (Bianchi, 2009 in Affuso e Vecchione, 2012)