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CAPITOLO 3 La mobilità studentesca interregionale in Italia

3.2 La mobilità nella società post-industriale

Il passaggio da una società industriale ad una post-industriale (Bell, 1976), caratterizzata da uno slittamento verso la società della conoscenza e verso un ruolo centrale del capitale umano, è ampiamente accettato dalla comunità degli studiosi (Van Mol, 2014). Questo cambiamento ha portato allo sviluppo di un mondo sempre più incerto e imprevedibile (Van Mol, 2014) che Beck (1992) definisce come ‘risk

society’, con un accento più forte sulla responsabilità individuale (Van Mol, 2014), in

un percorso biografico sempre meno lineare e sempre più segnato dalla frammentarietà e dalla complessità delle scelte (Van Mol, 2014).

La mobilità ha assunto un ruolo determinante nel delineare le nuove geografie sociali ed economiche, a volte sembra che tutto il mondo sia in movimento, come dice Urry (2006). In questo quadro opera «la pressione del dispositivo neoliberista alla prestazione-competenza-imprenditorialità» (Tomei, 2017a: 13), in cui il neoliberismo ha imposto un senso di responsabilità e disciplina tramite processi culturali e morali interiorizzati dagli stessi soggetti (Tomei, 2017a). Torna quindi utile l’analisi del pensiero di Foucault, per il quale, come spiega Tomei (2017a), anche la migrazione è parte integrante del regime neoliberale nella misura in cui opera come meccanismo di autoimprenditorialità i cui benefici sono espropriati agli individui cui sono tuttavia affibbiati i costi:

Tra gli elementi costitutivi del capitale umano, occorre considerare la mobilità, vale a dire la capacità di un individuo di spostarsi, e in particolare la migrazione. […] La migrazione rappresenta un costo: ma qual è la sua funzione? Quella di ottenere un miglioramento di status, di remunerazione ecc. Si tratta cioè di un investimento. La migrazione è un investimento, e il migrante un investitore (Foucault, 2012: 190-91).

Questo tratto emerge compiutamente nell’analisi di Laura Gherardi (2011), che struttura la sua ricerca sulla base di oltre duecento interviste in profondità a espatriati di alto profilo come manager, artisti o accademici, provenienti da tre centri fondamentali di produzione del potere, cioè Milano, Londra e Parigi.

Nella definizione che ne dà la Gherardi la mobilità degli individui è un oggetto di studio tutt’altro che neutro:

Combinando paure, aspettative, desiderio, scioglimento e costruzione di legame sociale, accade che soggetti diversi, ma anche una stessa persona in diverse fasi della vita, parlino della propria mobilità – a partire dalla mobilità geografica richiesta dalla professione – come di un fattore salvifico, come di un tratto strutturante della propria identità o, al contrario, come di un fattore di depressione e come un prezzo da pagare, a volte entrambe le cose allo stesso tempo (Gherardi, 2011: 3).

Il lavoro della Gherardi pone l’analisi su un piano internazionale, ma lo sviluppa secondo parametri flessibili che ben si adattano alla comprensione dei fenomeni di mobilità su scale diverse, in particolare nel momento in cui parla della

mobilità nel contesto delle trasformazioni strutturali e ideologiche del capitalismo avvenute negli ultimi anni e che «hanno fatto assurgere la mobilità delle persone al rango, oltre che di risorsa strategica, di valore in sé, ovvero di norma sociale. […] Accompagnata ad un rincaro dei vincoli temporali e del controllo, la mobilità diventa una norma etica che pone in modo inedito la tensione tra vincoli e chances, tra fiducia e necessarie anestesie affettive» (Gherardi, 2011: 3). La mobilità, secondo l’autrice è passata dall’essere risorsa, ad essere imperativo:

Parlare di mobilità come imperativo, oltre che come vettore di potere, può suonare straniante perché negli ultimi tre decenni in particolare, ovvero da quanto la mobilità degli individui è diventata una posta sempre più strategica nella riorganizzazione del capitalismo, i discorsi di diverse parti sociali – a partire dalla letteratura manageriale internazionale, ma anche da alcune teorie che fanno il gioco del nuovo spirito del capitalismo – hanno cristallizzato nell’immaginario collettivo l’immagine dimezzata di una mobilità totalmente positiva e priva di costi personali. Infatti, la riorganizzazione spaziale e strutturale della produzione, nel passaggio al post-fordismo, è stata accompagnata dall’elaborazione di una nuova etica, di cui la mobilità è un pilastro (Gherardi, 2011: 6-7).

Nella contrapposizione tra mobili e immobili si è tradotta in termini culturali la ristrutturazione spazio-temporale che è alla base della trasformazione del capitalismo mondiale, come messo in evidenza da Magatti (2011) nella prefazione del libro della Gherardi, spiegando come gli sviluppi del sistema produttivo abbiano reso necessaria la mobilità di tutti i fattori di produzione, compresa la risorsa umana. L’impressionante sviluppo del sistema produttivo nel passaggio dal modello fordista- taylorista al modello post-fordista ha comportato un rapidissimo aumento della mobilità di capitali, merci, simboli e persone, favorita anche dallo sviluppo nei sistemi dei trasporti e dallo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche, in un «processo così potente da rendere irresistibile il fascino della mobilità che, nel giro di pochissimi anni, è diventata una componente saliente – e, proprio per questo, pressoché invisibile – della cultura delle società avanzate.» (Magatti, 2011: VIII).

Questi passaggi si esplicano nel processo di riconcettualizzazione dell’esperienza del tempo e dello spazio (Gherardi, 2011), accompagnata dalle trasformazioni che il capitalismo ha subito in questi ultimi anni e al cui centro sta la

mobilità dei beni, delle informazioni e delle persone, considerata come un indicatore del cambiamento in atto nella sua immagine interamente positiva che le è oggi attribuita (Gherardi, 2011).

È chiaro che l’analisi della Gherardi fa, operi su un piano lontano da quello strettamente connesso al fenomeno della mobilità studentesca. Tuttavia, nella retorica dei discorsi dominanti, la figura del manager di successo, dell’artista o comunque del professionista cosmopolita, rappresentano un obiettivo da raggiungere o un modello sociale a cui ispirarsi. È lì che la mobilità diventa fattore di attrazione e imperativo per i soggetti mobili, introiettandone una visione assolutamente positiva.