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CAPITOLO 4 La mobilità studentesca dalla Sardegna: il caso degli studenti sard

4.6. Gli studenti sardi nell’Ateneo di Pisa Risultati dell’analisi qualitativa

4.6.3. Interconnessi, mobili, isolati

In alcune delle interviste è emersa tra le altre ragioni della mobilità quella legata al sentimento di isolamento. Secondo G. P., studente di Ingegneria Gestionale, il tessuto economico e produttivo sardo non sarebbe in grado di offrirgli delle reali opportunità:

Facendo ingegneria gestionale, pensavo a realtà di aziende più grandi ed effettivamente mi sembra che per la mia categoria ci sia più opportunità di trovare lavoro in “continente” piuttosto che in Sardegna. (G. P.).

In questo caso la questione dell’isolamento non emerge direttamente, ma nell’espressione “in continente”, spesso usata nel linguaggio gergale sardo per indicare il resto d’Italia, è come racchiusa una sorta di distanza psicologica che si aggiunge a quella geografica dell’Isola dalla Penisola. Bachisio Bandinu nel condurre delle interviste ad alcuni studenti sardi partiti per l’esperienza di Intercultura durante la scuola superiore scriveva:

Un difficile rapporto col mare, vissuto come nemico e come invasione, ha alimentato e rinforzato un attaccamento profondo alla terra, a una terra tutta circondata dal mare. Anche per i giovani di oggi che pure navigano nelle rotte elettroniche, la Sardegna è sempre un’isola che suscita un segreto sentimento di orfanità. E basta uno sciopero degli aerei e delle navi per sperimentare la paura dell’isolamento, dell’essere “tagliati fuori dal mondo (Bandinu, 2012: 3).

Questo aspetto, che pare particolarmente interessante, emerge, seppure in una diversa prospettiva anche in altre interviste. Difatti, il senso di isolamento, sembra svolgere un ruolo ricorrente in alcuni passaggi, seppur declinato di volta in volta in maniera diversa, come per esempio nell’intervista di S.M. P.:

Mi viene in mente un episodio: diversi anni fa sono andata a sentire una conferenza tenuta da Carmen Consoli all’Università, io stavo ancora alle superiori, e lei parlò di “Isolitudine”. Ecco, secondo me in Sardegna si soffre parecchio di

“isolitudine”. Si vive in un’isola e siamo da soli… in Sardegna siamo, siamo come dire reclusi all’interno di un ambiente e di un territorio troppo circoscritto, non abbiamo la possibilità di avere troppi scambi con l’esterno, anche se in questi ultimi anni soprattutto, col fenomeno delle migrazioni, diciamo che sta cambiando… per me è un fattore positivo, perché comunque i popoli e le persone che stanno arrivando ora, non fanno altro che arricchire dal punto di vista culturale… anche se la cultura sarda è una cultura ricchissima, in un’epoca come la nostra abbiamo più bisogno di scambi culturali ecco (S.M. P.).

Andare via dalla Sardegna nelle parole degli intervistati significa anche aprirsi a nuovi stimoli e a nuove esperienze. In un mondo sempre più interconnesso, la mobilità è un elemento centrale nel definire e trasformare le vite familiari, la vita sociale e educazionale dei giovani e altro ancora, connettendo persone distanti attraverso “legami deboli” (Hannam et al., 2006: 2). Nonostante la mobilità ormai si eserciti in tanti modi diversi, anche tramite la tecnologia e le infrastrutture (Urry, 2006), la necessità di partire per esplorare nuove realtà e incontrare nuove persone è ancora forte, «nasce così la fantasia del viaggio: la prospettiva è l’altrove, l’altro, lo sconosciuto, la differenza, ma l’impresa è carica di tensione e di timore.» (Bandinu, 2012: 3):

Non ero mai uscita da casa, e avevo paura di lasciare tutto. Sono arrivata qui che non conoscevo nessuno, neanche una persona, proprio sola. E quindi pensavo “ma quando mai riuscirò ad adattarmi lì al punto tale che vorrò rimanerci?”. Adesso mi sono ambientata, ho stretto una bella rete di relazioni che mi piace e mi stimola molto. Probabilmente resterei anche a Pisa, se ci fossero dei validi motivi per restare.

(S. M.).

Paura e speranza si fondono, ma anche voglia di nuove esperienze e stimoli, che la Sardegna spesso non sembra in grado di dare, proprio perché “isolata”:

Io sono uscito anche per altro, avevo voglia di scoprire le altre città, vedere come pensavano le altre persone, come si rapportavano, altre culture. Sapevo che se fossi andato a Pisa o a Torino avrei trovato sicuramente altre persone che venivano anche da fuori, culture diverse e più diversità, ed ero curiosissimo… volevo andare a

vedere Firenze, Milano, Roma, tutte le città possibili, e sapevo che se fossi andato a Cagliari, anche il solo fatto di prendere un aereo, mio padre mi avrebbe detto che stavo spendendo troppo, invece il treno è diverso… anche solo questo fatto mi ha condizionato molto (E. P.).

Talvolta invece è la paura di restare indietro a spingere a partire. In un mondo sempre più mobile, in cui la mobilità si è imposta come “norma sociale” (Gherardi, 2011), partire diventa quasi un obbligo. L’esperienza di mobilità è considerata un valore a prescindere dai costi, come emerge dalle parole di M.I. che a Pisa è venuta per la laurea specialistica:

Sembra quasi di rimanere in un ambiente di livello più basso, anche se poi magari nei fatti non è così. Di restare quasi vincolati a certi modi di pensare e di vedere il mondo. Il fatto di vedere gli altri partire non è stato determinante ma ha comunque influito, sia fra quelli che son partiti prima sia tra i miei colleghi che hanno deciso di partire come me dopo la laurea. Però questo dipende forse dalla cultura generale della società, per cui sembra che per essere cittadini del mondo si debba per forza vedere il mondo intero, la cosiddetta “Era Erasmus”. La globalizzazione è stata anzitutto una globalizzazione dei mercati, e poi per forza di cose si è creata la scia anche delle conoscenze umane e delle politiche volte in questo senso. E’ la società globalizzata, e non ne puoi fare a meno. Devi farne parte, e se tu provieni da un contesto quale quello sardo, che per natura, ma non solo per natura, è isolato, come ad esempio nei collegamenti aerei, chiaramente per un sardo vivere il contesto internazionale ha un altro significato. Però sempre all’interno del contesto di un mondo globalizzato. Cioè, ne devi far parte per forza e di conseguenza hai bisogno di capire di cosa si tratta per te stesso in primis, e in secondo luogo perché sei quasi obbligato a farlo, anche se non è per forza una cosa negativa. Il problema è la logica di fondo del sistema, perché io potrei andare a scoprire il mondo anche al di là di tutto questo, solo perché mi interessa, e invece tutto il resto del mondo lo fa perché è richiesto, dall’ambiente lavorativo e da quello universitario (M. I.).