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Un quadro d’insieme sull’economia della Sardegna

CAPITOLO 4 La mobilità studentesca dalla Sardegna: il caso degli studenti sard

4.2 Un quadro d’insieme sull’economia della Sardegna

L’osservazione del mercato del lavoro permette di avere l’immediata percezione delle difficoltà in periodi di recessione, ma anche dei cambiamenti, anche minimi che avvengono nel corso della ripresa economica. I dati presenti in questo paragrafo sono frutto dell’elaborazione del 24° Rapporto sull’economia della Sardegna fatta dal CRENoS5. Già Zurru (2016c) nell’analizzare gli effetti della politica regionale sarda del Master & Back ha messo in evidenza le debolezze strutturali di un sistema storicamente fragile:

L’emigrazione ha ripreso la sua curva positiva perché il sistema produttivo (pubblico e privato) è rimasto deficitario sul piano degli investimenti, e la natura degli investimenti realizzati finora, e le loro caratteristiche, non hanno avuto quella continuità, coerenza, specificità e coordinamento tali da incidere in modo significativo sul livello dell’occupazione qualificata (Zurru, 2016c: 296).

Lo stesso Zurru (2016c) giustifica queste affermazioni facendo riferimento ai dati del CRENoS del 2015, in cui si mette in evidenza che il reddito pro-capite sardo nel 1995 era pari al 73% del dato medio italiano, mentre vent’anni dopo al 70,6%. Come vedremo in seguito, il dato non ha avuto grandi miglioramenti fino ad oggi. Su questo dato ha contato certo la crisi economica, da cui la Sardegna fatica ancora ad uscire. Il comparto industriale ha subito pesantemente questa crisi, riflettendo l’inadeguatezza della struttura produttiva dell’industria sarda. Zurru (2016c) individua alcuni fattori principali di questa debolezza, tra cui «la ridotta dimensione d’impresa, la struttura

5 Il Centro di Ricerche Economiche Nord-Sud (CRENoS) è stato istituito formalmente nel 1993 da un

gruppo di economisti dell’Università di Cagliari e Sassari. Dal 2000 è una sezione del Centro Interuniversitario Ricerche Economiche e Modibilità (CRIEM).

proprietaria di tipo tradizionale, l’insufficiente dotazione di capitale umano e le «vischiosità» del contesto istituzionale» (Zurru, 2016c: 298). Questo si traduce, secondo Zurru, anche nell’incapacità del sistema produttivo isolano di favorire un aumento dell’occupazione qualificata, preferendo assumere poco personale con titolo di laurea e molti diplomati o con scuola dell’obbligo (Zurru, 2016c).

Queste difficoltà emergono anche dal 24° Rapporto CRENoS per il 2017, in cui viene posto in evidenza come mentre per il Paese si osserva una seppur lenta ripresa, l’economia della Sardegna continua a decrescere, e il PIL pro capite, tornato ai livelli di 20 anni prima, diminuisce dello 0,5% tra il 2014 e il 2015. Il livello del PIL pro capite dopo sette anni di tassi negativi, nel 2015 ha toccato il livello più basso dal 1997. Il PIL pro capite passa dal 77 al 70% della media europea tra il 2011 e il 2015 e la regione, piazzandosi alla 212esima posizione su 276 regioni dell’Unione Europea, rientra tra le regioni considerate in ritardo di sviluppo. Il PIL pro capite si attesta sui 18.539 euro per abitante, di gran lunga inferiore alla media italiana (25.286 euro) e a quella del Centro-Nord (30.058 euro). Il dato sardo è comunque superiore a quello medio del Mezzogiorno (16.967 euro), ma la distanza tra i due valori si assottiglia perché la Sardegna è l’unica regione della circoscrizione ancora in fase recessiva. L'eccessiva frammentazione del tessuto imprenditoriale, la bassa produttività e la modesta internazionalizzazione sono gli elementi principali che sinora hanno impedito di avviare il processo di ripresa economica.

Il comparto agricolo si conferma come uno dei più attivi, mentre i settori industriali contribuiscono appena allo 12,8% del valore aggiunto complessivo mentre un terzo circa è creato da attività svolte prevalentemente nell’ambito pubblico e dei servizi non destinabili alla vendita, evidenziando la limitatezza delle capacità produttive del sistema economico regionale.

Il tasso di disoccupazione resta ancora alto, attestandosi al 17,3%, ben al di sopra del dato medio italiano dell’11,7%, evidenziando peraltro un forte gender gap nei tassi di occupazione, infatti il tasso di attività femminile si attesta al 51,6% al di sotto di venti punti percentuali rispetto a quello maschile. Il dato è comunque in netto miglioramento, passando dai 26 ai 19 punti percentuali tra il 2007 e il 2016. Il gap si riduce all’aumentare del titolo di studio: per i diplomati è pari al 16%, mentre del 7% per i laureati. All’aumentare del titolo di studio i tassi di attività aumentano, a

prescindere dal genere. L’occupazione nei primi sei mesi del 2017 è calata dello 0,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a fronte di un aumento per l’Italia dell’1,1%. Questo è quanto emerge dal rapporto sulle Economie Regionali della Banca d’Italia (Banca d’Italia, 2017). I tassi di attività aumentano all’aumentare del titolo di studio indipendentemente dal genere, e il gap fra uomini e donne si riduce notevolmente se si considerano i titoli di studio più elevati, come il diploma e la laurea. Dal 2008 si è ridotta la partecipazione degli uomini con bassi titoli di studio, mentre il parametro rimane pressoché invariato per diplomati e laureati. Tra le donne il tasso di attività delle laureate è più alto che nel resto di Italia.

Tuttavia la Sardegna presenta ancora forti ritardi per quanto riguarda il capitale umano rispetto alle altre regioni dell’Unione Europea e al resto del paese. La quota di laureati di 30-34 anni in Sardegna nel 2015 è una delle più basse d’Europa e inferiore alla metà rispetto all’obiettivo del 40% fissato dalla Commissione Europea. Nel 2014 la Sardegna risultava penultima fra le regioni europee per numero di laureati fra i 30 e i 34 anni col 17,4%, preceduta solo dalla Severozápad, regione della Repubblica Ceca (Viesti, 2016). Questo dato appare in miglioramento, attestandosi al 18,6% nel 2015, con un aumento di 1,5 punti percentuali rispetto al 2011 ma piazzandosi terzultima fra le regioni italiane, preceduta solo da Sicilia e Campania. Peraltro, le donne superano gli uomini, attestandosi al 24,1% contro il 13,3% degli uomini. Il dato medio italiano è del 25,3%, contro la media dei 28 Stati europei del 38,7%, con quote superiori al 50% in Lituania, Cipro, Lussemburgo, Irlanda e Svezia.

Inoltre, la percentuale di laureati nelle discipline tecnico-scientifiche (STEM, Science, Technology, Engineering and Mathematics) è poco più della metà rispetto alla media europea (17,8% contro il 32%), dimostrando un ulteriore preoccupante ritardo, piazzandosi al 266esima posizione tra le 276 regioni europee, e preceduta in Italia solo da Veneto, Sicilia, Puglia e Valle d’Aosta. In generale l’Italia presenta forti ritardi nella quota di laureati in discipline tecnico scientifiche rispetto alla popolazione attiva, attestandosi su un valore del 19,9% contro una media europea del 32%.

La Sardegna inoltre è al penultimo posto nella classifica delle regioni italiane per quota di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente il proprio percorso scolastico o formativo, attestandosi al 22,9%, seguita solo dalla Sicilia, e al 240esimo su 254 regioni europee per le quali si dispone del dato confrontabile. Questo

dato tuttavia risulta in lieve miglioramento rispetto agli anni precedenti, e non può che rappresentare un segnale positivo. Tuttavia risulta molto lontano sia dall’obiettivo fissato dalla strategia Europa 2020 del 10%, che al target italiano fissato al 16%.

Anche per quanto riguarda i NEET (Not in Education, Employement nor Training), cioè i giovani tra i 15-24 non più inseriti in un percorso scolastico formativo né in una attività lavorativa, la Sardegna col 26,8% si posiziona ben al di sopra della media italiana 21,4% ed europea 12%, seguita solo da Campania, Calabria e Sicilia. Peraltro, ancora più preoccupante è il fatto che la percentuale sia aumentata di 2,8 punti percentuali nell’ultimo quinquennio.

Un altro fattore fondamentale è quello che riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S). I dati per la Sardegna mostrano una percentuale rispetto al PIL (0,8%) ancora molto distante sia dalla media nazionale (1,4%) sia da quella europea (2%). Un dato di particolare interesse è quello che riguarda il contributo dei privati agli investimenti in ricerca e sviluppo. Il dato italiano risulta piuttosto basso rispetto alla media europea, attestandosi al 58,3%, contro una media europea del 64,6%. In Sardegna la percentuale degli investimenti privati in ricerca e sviluppo si ferma al 5,4%, il dato più basso tra le regioni italiane, mentre il restante 94,6% proviene dal settore pubblico, in particolare dalle Università.

Le imprese ad alta tecnologia (high-tech), rappresentano le unità che meglio esprimono le capacità innovative di un territorio, rendendo l’innovazione disponibile ad altri settori e generando il know-how utile all’intero sistema produttivo. L’occupazione in questi settori costituisce una misura indiretta del peso che hanno all’interno del territorio. La Sardegna da questo punto di vista ha una delle peggiori performance in ambito regionale, nazionale e internazionale con solo l’1,6% di occupati in questo settore, meglio solo di Calabria e Puglia, ma con valori nettamente inferiori alla media europea (4%) e nazionale (3,4%). Il Lazio è al vertice tra le regioni italiane (6,5%) mentre la Puglia è il fanalino di coda (1,4%).

Nel 2016 il tasso di occupazione in Sardegna arriva al 50,3%, segnando un +0,3% rispetto al 2015, ben al di sopra del dato del Mezzogiorno, che si ferma al 43,4%, ma nettamente al di sotto di quello italiano (57,2%) e in particolare del Centro- Nord (64,7%). Ad un calo degli occupati di circa 2,4mila unità, è corrisposta anche una riduzione più che proporzionale della popolazione tra i 15 e i 64 anni (-8,1mila

unità). Nel 2016 il tasso di occupazione degli uomini in possesso di titoli di studio medio-bassi aumenta di 3,4 punti percentuali, attestandosi al 52,9%, mentre per le donne con gli stessi titoli c’è un calo dello 0,3% (in contrasto col dato italiano del +0,5%). Per i diplomati e i laureati il 2016 registra una tendenza inversa rispetto a quanto verificatosi in territorio italiano: il tasso di occupazione dei diplomati si attesta al 60,7%, in calo di 4 punti percentuali, contro l’aumento di un punto del resto d’Italia, mentre quello delle diplomate è pari al 46,4%, inferiore rispetto al dato nazionale (54%). Il tasso di occupazione degli uomini sardi in possesso di titoli di laurea passa al 78,9%, in calo dello 0,9% rispetto all’anno precedente, mentre per le donne questo si ferma al 68,1%, in calo rispetto all’anno precedente e in controtendenza rispetto al dato medio nazionale. Per ciò che concerne il tasso di disoccupazione dei laureati sardi, tra gli uomini questo scende al 5,9% rispetto al 7,6% del 2016, mentre per le donne la diminuzione è meno netta, passando dal 12,7% al 12%.

Indubbiamente questi dati non contribuiscono a restituire un’immagine della Sardegna del tutto positiva, nonostante alcuni segnali evidenzino una parziale ripresa rispetto agli anni della crisi economica, che tuttavia ha lasciato delle profonde ferite in un territorio debole che stenta a trovare un modo per ripartire. Lo studio dei fenomeni migratori e di mobilità si inserisce in questo quadro sociale ed economico che emergerà poi anche dalle interviste e dalla percezione che gli studenti sardi intervistati hanno dell’isola e della sua situazione attuale.