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CAPITOLO 4 La mobilità studentesca dalla Sardegna: il caso degli studenti sard

4.7 Considerazioni conclusive

Dalle analisi delle interviste è evidente che la scelta della mobilità per studio non sia certo facile per gli studenti. Tuttavia, le forze di repulsione appaiono maggiori di quelle che spingerebbero a restare. Come ampiamente detto, l’offerta didattica e la qualità della stessa spesso sono il motivo apparente della scelta di mobilità, dietro cui si cela però anche la volontà di liberarsi dai vincoli della propria realtà familiare, cittadina o dal contesto regionale, spesso descritto come isolato, chiuso e quasi soffocante. La voglia di una prima indipendenza, in un’epoca in cui la transizione dall’ambiente familiare alla vita indipendente è sempre più spostata in avanti e in cui anche i progetti di vita faticano a trovare una concreta realizzazione. La curiosità e l’esigenza di fare nuove esperienze, incontrare nuove persone, scoprire nuove città è certamente uno dei motori fondamentali della scelta degli intervistati, sia nell’ottica di una crescita personale a livello esperienziale, sia con l’obiettivo di cercare di tessere una rete di contatti, amicizie, situazioni utili al futuro ingresso nel mondo del lavoro.

In pochi hanno detto con assoluta certezza di voler tornare in Sardegna, la maggior parte non lo esclude a priori ma non è in grado di progettare un rientro immediatamente dopo gli studi. Qualcuno invece ammette candidamente che in Sardegna proprio non prevede di tornarci, dopo aver visto altre realtà e le opportunità che offrono, aver tessuto nuove reti di relazioni e di affetti. La voglia di fare ulteriori esperienze anche all’estero e di arricchire il proprio curriculum è predominante, nella speranza che questo possa aiutare poi gli studenti ad accedere in maniera più facile e veloce al mondo del lavoro. Chi vuole tornare è ben conscio delle difficoltà, in particolare in una regione in cui la disoccupazione giovanile interessa quasi un giovane su due. Tuttavia non si abbandonano le speranze, e anzi, si progetta di tornare con la speranza di fare qualcosa per il proprio territorio e mettere le proprie conoscenze a disposizione della comunità.

Allo stesso modo anche il fenomeno della mobilità e delle migrazioni è percepito come un problema, perché tanti se ne vanno e spesso non tornano, e per contro, nessuno arriva a sostituirli. In questo, spesso sotto accusa sono i mancati investimenti e la politica, che non è in grado di valorizzare un territorio che nelle parole degli intervistati avrebbe tutte le potenzialità per poter competere con altre aree del paese.

In questo senso, emerge anche nelle parole di chi potrebbe tornare la volontà di non tornare nel proprio paese, ma di essere orientato verso i poli urbani, maggiormente attrattivi, più ricchi di opportunità per i giovani e più aperti al confronto. Avere l’opportunità di confrontarsi con altre situazioni e altre realtà ha dato sicuramente modo agli intervistati di rivedere o sedimentare la propria visione della Sardegna e del rapporto con essa. Dover spiegare una Sardegna diversa, che non è solo mare, in un contesto in cui la visione dell’Isola appare molto stereotipata. E soprattutto rapportarsi in misura ancora maggiore con le problematiche legate ai trasporti, un elemento che è emerso in quasi tutte le interviste come problematico.

E poi c’è chiaramente la nostalgia, descritta come “un vuoto”, o come nelle parole di S. P., anche come il peso di non poter parlare in sardo:

Stando qua, ho dei momenti in cui devo prendere l’aereo e tornare. Non so quanto possa essere spiegabile in maniera razionale, ci sono dei giorni in cui mi pesa non poter parlare in sardo (S. P.).

Emerge dunque un senso di smarrimento, stretti talvolta tra la volontà di tornare e l’impossibilità di divincolarsi in una realtà descritta come poco dinamica in molti suoi aspetti, chiusa e isolata in altri, ma pur sempre un porto sicuro.

CONCLUSIONI

Come abbiamo avuto modo di vedere nel corso dell’esposizione, il momento di massima portata dei flussi migratori interni è quello che ha riguardato gli anni a cavallo tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta. In quegli anni milioni di persone si spostarono, percorrendo in particolare la direttrice che da Sud portava al Centro-Nord e dalla campagne portava alle città e alle fabbriche, in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori. Gli anni Ottanta vengono invece generalmente considerati come un periodo di stasi nei movimenti interni della popolazione, mentre l’attenzione degli studiosi e dell’opinione pubblica si volge verso il fenomeno immigratorio, assoluta novità per l’Italia di allora. È dalla metà degli anni Novanta che si torna a parlare di migrazioni interne. La fine del secolo ha rappresentato, secondo parte della letteratura, un punto di svolta nell’evoluzione dei flussi migratori interni in Italia. Difatti, non solo i flussi sembrano essere ripresi con una certa intensità dopo lo stallo degli anni Ottanta e dei primi Novanta, ma anche con nuove caratteristiche rispetto al passato. La quota di diplomati e laureati che lasciano le regioni del Mezzogiorno per spostarsi verso il Centro-Nord sembra aumentata, determinando un deflusso importante di capitale umano dalle regioni più svantaggiate e contribuendo ad allargare il divario fra le due zone del paese. Dai dati presentati da Vecchione (2017) dal 1980 al 2015 il peso dei migranti laureati che si sono spostati dal Mezzogiorno al Centro-Nord è passato dal 5% al 25% del totale degli emigrati, assumendo proporzioni veramente importanti. Vecchione (2017) stima la perdita secca per il Mezzogiorno in circa 30 miliardi di euro in 15 anni dal 2000 al 2015, calcolando il costo per ogni anno di istruzione per le regioni meridionali moltiplicato per il numero di laureati emigrati ogni anno.

Al fenomeno delle migrazioni post-lauream va a sommarsi poi quello della mobilità per studio, che sembra talvolta configurarsi come un’anticipazione del percorso migratorio che invece da molti inviene intrapreso dopo la laurea conseguita nella regione di residenza. Il fenomeno della mobilità studentesca non è una questione di certo nuova nel panorama della mobilità interna in Italia, ma in progressivo aumento negli ultimi anni. Difatti, nonostante il calo generale delle immatricolazioni che ha

investito tutto il Paese negli ultimi dieci anni, con una maggiore accentuazione al Sud e nelle Isole, la quota degli studenti fuori sede residenti nel Mezzogiorno e immatricolati in Atenei del Centro-Nord è progressivamente aumentata relativamente al totale degli immatricolati, soprattutto con riguardo agli iscritti al biennio dei corsi di laurea magistrale. Come evidenziato da Vecchione (2017), la percentuale di studenti residenti al Sud ma immatricolati in un Ateneo del Centro-Nord in un corso di laurea triennale o a ciclo unico è passata infatti dal 18% del 2004 al 26% del 2015, mentre per quanto riguarda i corsi di laurea magistrale questa percentuale si attesta al 38%, con una distribuzione disomogenea tra le stesse regioni del Mezzogiorno.

Come giustamente scritto da Viesti (2016), la mobilità studentesca non costituisce un problema di per sé, e anzi nel breve periodo potrebbe essere finanche d’aiuto per le regioni del Mezzogiorno. Tuttavia, la costanza e la direzione dei flussi esclusivamente orientati da Sud verso il Centro-Nord nel lungo periodo possono avere degli effetti deprimenti sulle economie delle regioni del Mezzogiorno. Oltre a costituire un flusso di denaro in uscita di importanti proporzioni in termini di costi sostenuti dalle famiglie tra alloggio e tasse, come messo in evidenza nei capitoli precedenti, la scelta dell’Università in cui studiare è spesso correlata al futuro progetto migratorio e di vita. La possibilità che dopo la laurea si decida di restare nella stessa regione dove si è preso il titolo, o comunque in una regione diversa da quella di residenza è piuttosto alta. Chiaramente sarebbe impensabile e assurdo cercare di fermare questi flussi, tuttavia occorrerebbe capirne le cause profonde e cercare delle soluzioni politiche che siano in grado di arginare il fenomeno. Difatti, uno degli elementi che va maggiormente a detrimento delle regioni del Sud è il fatto che non vi sia alcun ricambio, cioè che i flussi in senso inverso appaiono assolutamente risibili. La percentuale di studenti residenti nel Centro-Nord che si immatricola in Atenei del Sud era appena del 3,1% nel 2015, principalmente residenti nel Centro Italia (2,7%). In questo senso sarebbe utile implementare l’attrattività degli Atenei meridionali sia nei confronti degli studenti delle altre regioni sia nei confronti degli studenti stranieri. Tuttavia la distribuzione dell’offerta didattica e l’attrattività degli Atenei e del mercato del lavoro del Centro-Nord non giocano certo a favore delle regioni meridionali. La letteratura sul fenomeno infatti si è concentrata in particolare su due aspetti riguardanti principalmente la qualità dell’offerta didattica e il disequilibrio nel mercato del lavoro

fra Nord e Sud del paese. Da soli questi due fattori non sono in grado di spiegare interamente il fenomeno, tuttavia sembrano essere gli aspetti maggiormente determinanti della mobilità studentesca.

La Sardegna

Anche per la Sardegna gli anni Cinquanta e Sessanta hanno rappresentato il momento di massima espansione dei flussi migratori, e come abbiamo visto, generando anche degli effetti perversi sul lungo periodo in una regione che ha sempre sofferto di un cronico sotto popolamento e spopolamento di certe aree, in particolare quelle interne. Nel corso del secondo capitolo abbiamo posto in evidenza anche gli elementi di rottura di un sistema economico che si è trovato davanti ad un processo di modernizzazione che abbiamo definito come eterodiretto, e che ha visto una fase di industrializzazione che non è riuscita ad avere seguito, facendo in modo che la Sardegna diventasse post- industriale senza essere mai stata veramente industriale (Bottazzi, 1999). Questo ha lasciato degli evidenti strascichi sull’assetto del tessuto industriale e produttivo sardo, di cui ancora oggi si paga lo scotto.

Gli anni Novanta hanno rappresentato anche per la Sardegna un passaggio importante nella ripresa dei flussi migratori, interessando come nel resto d’Italia le fasce di popolazione più qualificata. Un caso particolarmente interessante da questo punto di vista è rappresentato dalla politica del Master & Back, varata dalla regione Sardegna nel 2005 e che nasceva proprio con l’obiettivo di arginare la “fuga dei cervelli”. Tuttavia, nell’analisi della politica compiuta da Zurru (2016c), emergono gli effetti perversi di una politica nata in un contesto istituzionale in cui si è lavorato bene dal punto di vista dell’offerta, garantendo a migliaia di giovani di formarsi attraverso percorsi di alta formazione, ma non si è agito altrettanto bene dal punto di vista della domanda, facendo in modo che si creassero le condizioni per assorbire questo capitale umano altamente qualificato. Questo ha dato esito al fatto che parte dei borsisti abbia deciso di non tornare in Sardegna, oltre il 55% fra quelli coinvolti nell’analisi di Zurru. Inoltre, come lo stesso autore ha messo in evidenza, la fuga è stata effettivamente premiante per chi ha deciso di rimanere nella Penisola o all’Estero, trovando maggiore stabilità e dunque migliori condizioni contrattuali e stipendi più alti.

In questo senso il mercato del lavoro sardo non rappresenta certo l’eldorado per i giovani sardi. Nonostante la disoccupazione giovanile sia in leggero calo in Sardegna, questa continua ad interessare ancora circa un giovane su due. Un altro indicatore dello stato di malessere della società sarda è legata al numero elevatissimo di giovani NEET che si attesta al 26,8%, uno dei risultati peggiori fra le regioni italiane. Inoltre fra gli altri risultati negativi vi è quello del numero dei laureati nella fascia d’età 30-34 anni, in cui la Sardegna si piazzava penultima fra le 276 regioni europee nel 2015, con una percentuale di meno della metà dell’obiettivo fissato dalla Strategia Europa 2020. Inoltre anche il numero di giovani che abbandonano precocemente il percorso formativo è anche molto alto e lontano dai target europei, anche se in leggero miglioramento rispetto agli anni precedenti.

Il fenomeno della mobilità studentesca si inserisce all’interno di questo quadro complicato, che la Sardegna condivide con le altre regioni del Mezzogiorno. Sebbene non vi siano dati precisi riguardo gli studenti sardi, secondo la letteratura i flussi di mobilità studentesca potrebbero rappresentare il primo passo di un percorso migratorio più lungo e strutturato, che può portare a stabilizzarsi nella regioni in cui ci si è laureati o a spostarsi in altre regioni oppure a spostarsi all’estero. Dai dati AlmaLaurea riportati da Vecchione (2017), sembra che solo il 20% degli studenti meridionali faccia ritorno nella propria regione dopo aver conseguito il titolo in un Ateneo del Centro-Nord o essersi spostato lì per lavoro.

In questo senso, i fenomeni di mobilità studentesca si inseriscono in un quadro socio-economico e demografico in forte difficoltà come quello sardo. La Sardegna infatti oltre ad essere particolarmente esposta al rischio di spopolamento, specie in alcune aree, è anche la regione in cui il tasso di fecondità totale è più basso tra tutte le regioni italiane, attestandosi ad 1,07 figli per donna (ISTAT). Questo comporta un progressivo spostamento della piramide demografica verso le fasce di popolazione più anziana e meno produttiva, gravando così ulteriormente su un sistema economico ancora debole.

Questo indubbiamente rappresenta una futura pista di indagine, soprattutto in relazione all’insediamento dei giovani che decidessero di tornare dopo il percorso di mobilità per studio. Infatti, se come abbiamo visto dal livello dell’analisi sub-regionale dei dati MIUR i più propensi a spostarsi fra gli studenti sardi sono proprio quelli

residenti nelle province più remote, e in cui non è presente neanche uno dei due Atenei sardi, sarebbe interessante indagare se, qualora questi studenti dovessero decidere di tornare in Sardegna, dove andrebbero ad insediarsi, e se quindi anche questo fenomeno possa contribuire o meno allo spopolamento delle aree interne. Quanto accaduto negli anni Settanta e Ottanta con i primi ritorni, sembrerebbe suggerire una maggiore propensione degli emigrati a reinsediarsi nelle zone costiere, cioè in prossimità dei principali poli urbani sardi, tutti situati lungo il perimetro dell’Isola. Sicuramente questo aspetto è meritevole di ulteriori approfondimenti della ricerca. In parte anche le interviste effettuate sembrano suggerire un orientamento in tal senso, ma appunto occorre valutare dati alla mano quanto e se questo problema sia reale.

Il fenomeno della mobilità studentesca, come detto in precedenza, non sarebbe preoccupante in sé, ma lo diventa quando le regioni da cui partono i flussi maggiori non sono in grado di attrarre risorse dall’esterno. Questo appare particolarmente vero per la realtà della Sardegna, che come abbiamo mostrato nei dati ha una capacità attrattiva irrisoria nei confronti sia degli studenti delle altre regioni che degli studenti stranieri. Infatti, gli studenti residenti in altre regioni ma iscritti ad un corso di laurea in Sardegna sono appena il 2,2% del totale degli iscritti nelle due Università sarde nell’anno accademico 2016-2017, mentre gli studenti stranieri rappresentano appena l’1,2% del totale degli iscritti in Sardegna sempre nell’anno accademico 2016-2017.

Allo stesso modo, il fenomeno della mobilità studentesca, per quanto contenuto rispetto ad altre realtà del Mezzogiorno, sta assumendo in Sardegna proporzioni sempre più importanti. Il peso degli studenti fuori sede è aumentato sia in termini assoluti che relativi nel corso del decennio da noi preso in considerazione, con un aumento più marcato per le iscrizioni alle lauree specialistiche. Il calo generale degli immatricolati ha coinvolto anche i due Atenei sardi, ma nonostante tutto il numero degli studenti fuori sede immatricolati in altre regioni si è mantenuto costantemente sopra le mille unità in tutto il decennio considerato, con un aumento tendenziale a partire dall’anno accademico 2012-2013. Dall’elaborazione dei dati dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti del MIUR emerge come il peso delle immatricolazioni fuori sede ai corsi di laurea triennale e a ciclo unico sia passato dal 13,2% dell’anno accademico 2007-2008 al 19,5% dell’anno accademico 2016-2017. Con riguardo invece agli iscritti sardi ai corsi di laurea specialistica, la percentuale si attesta

nell’anno accademico 2016-2017 al 40,6% contro il 30% dell’anno accademico 2007- 2008.

Il totale degli iscritti sardi fuori sede è dunque del 21,7% sul totale degli iscritti sardi su tutto il territorio nazionale. Principalmente le traiettorie della mobilità sono orientate verso il Centro-Nord, che assorbe oltre il 95% degli iscritti fuori sede. I principali poli di attrazione sono rappresentati dal Lazio, dalla Toscana, dal Piemonte, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, tutte regioni con più di mille iscritti, mentre al Sud è la Campania ad attrarre maggiormente gli studenti sardi.

Tra le città più attrattive per i sardi, Roma conferma la prima posizione, seguita da Torino, che in questi ultimi anni ha raddoppiato il numero degli iscritti, seguita poi da Pisa, che per tutta la durata dei dieci anni da noi presi in considerazione si conferma tra le prime tre città per numero di iscritti. Proprio per questo, al fine di esplorare più a fondo alcune delle dimensioni legate alla mobilità studentesca degli studenti sardi, si è deciso di condurre delle interviste semi-strutturate ad un gruppo di venti studenti sardi iscritti nell’Ateneo pisano.

L’obiettivo delle interviste era quello di esplorare ulteriori piste di indagine con riguardo alle dimensioni non emerse in letteratura e dall’analisi dei dati, con un occhio rivolto alla specificità della Sardegna e alla scelta di studiare nell’Ateneo pisano. Principalmente le dimensioni dell’indagine hanno riguardo alcune macro-tematiche legate in primo luogo alla genesi della scelta di mobilità, quindi quali motivi avessero originariamente spinto gli studenti ad iscriversi in un Ateneo esterno all’Isola. In secondo luogo la scelta della città e l’importanza dei fattori come i network migratori o le reti amicali o parentali, il ruolo dei trasporti e l’attrattività della città, intesa come contesto ecologico e ambientale, quindi ciò che abbiamo definito come amenities. In terzo luogo il ruolo della cultura migratoria e quindi la pressione esercitata dal discorso pubblico sull’importanza dell’esperienza e della mobilità come canale d’accesso preferenziale al mondo del lavoro. In ultima analisi il rapporto con la Sardegna, la visione della stessa dall’esterno e a seguito del confronto con altre realtà, e soprattutto le prospettive per il futuro.

La scelta della mobilità per studio si caratterizza per la sua ambiguità, in particolare in una fase della vita che potremmo definire di transizione e in un periodo storico come questo di grandi incertezze, che abbiamo definito come “risk society”, in

cui la responsabilità è posta sempre più a carico degli individui e sempre meno sulle comunità. In questo senso, le spinte macro-strutturali operano prepotentemente come motore propulsivo nella scelta della mobilità, esplicandosi in diverse forme. In questo senso agiscono i rapporti economici fra le varie aree del paese, che si estrinsecano nella diversa qualità dell’offerta didattica degli Atenei, nelle migliori opportunità garantite dal mercato del lavoro delle regioni del Centro-Nord, nella maggiore ampiezza dei servizi allo studio o della qualità della vita e dei servizi nelle città del Centro-Nord, di cui abbiamo avuto modo di parlare ampiamente nei primi tre capitoli. A questo aspetto si aggiungono poi le dinamiche legate alle biografie personali, quindi ciò che intendiamo come micro-soggettive, legate cioè alla volontà di indipendenza, di liberarsi da un sentimento di isolamento, nel caso degli studenti sardi da noi intervistati, di rispondere anche alle pretese di un discorso pubblico per cui la mobilità si configura come “norma sociale” (Gherardi, 2011) e allo stesso sistema neoliberista che fa della mobilità un valore in assoluto, senza considerarne i costi. Ma allo stesso tempo legati alla propria terra e alla voglia di alcuni di poter rimettere le proprie competenze a disposizione della propria comunità, quindi resistendo a questa forza centripeta che spinge sempre più verso l’esterno.

È una scelta che racchiude in sé delle dinamiche cariche di tensione e di