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Contributi dalla letteratura sociologica ed economica allo studio della mobilità

CAPITOLO 3 La mobilità studentesca interregionale in Italia

3.6 Contributi dalla letteratura sociologica ed economica allo studio della mobilità

Le teorie sulle migrazioni interne fanno ampio riferimento alle teorie sulle migrazioni internazionali per cercare di capire quali meccanismi regolino i flussi migratori all’interno di un paese o di un’area. Secondo Affuso e Vecchione (2012) nello studio delle determinanti delle scelte migratorie, principalmente tre ambiti di variabili entrano in gioco nel processo decisionale del migrante:

Il primo è relativo alla sfera delle caratteristiche individuali: età, genere, famiglia, stato civile, preferenze, propensione al rischio, ecc.; il secondo alle scelte e ai risultati relativi al percorso d’istruzione: voto di laurea, corso di laurea, esperienze post lauream, scelta migratoria ante lauream, ecc.; il terzo alle dinamiche squisitamente economiche e al contesto socio-istituzionale delle aree di origine e di destinazione: ricchezza pro capite, tassi di disoccupazione, costo delle case, costi di trasferimento, qualità della vita, welfare, qualità delle istituzioni. Ognuno di questi tre ambiti impatta sulla scelta migratoria dell’individuo con intensità e direzione diversa generando, nel lungo periodo, flussi migratori capaci di condizionare lo sviluppo di intere aree geografiche (Affuso e Vecchione, 2012: 32).

Lo studio delle migrazioni interne della popolazione studentesca universitaria costituisce un campo d’analisi interdisciplinare che interessa diverse scienze sociali, dall’economia alla sociologia, dalla politologia alla demografia. L’interesse per questo particolare tipo di migrazioni è motivato dal fatto che gli studenti universitari rappresentino una particolare categoria di migranti qualificati (Affuso e Vecchione, 2012). La mobilità degli studenti universitari è da annoverare tra le skilled migration, tenuto conto delle dovute distinzioni spaziali e temporali. Infatti, al pari delle migrazioni internazionali, essa si caratterizza come migrazione temporanea (Dreher e Poutvaara, 2005).

Eppure, pur essendo una migrazione ‘a scadenza’, legata cioè alla durata del corso di studi, essa potrebbe influire sulle successive decisioni migratorie degli studenti fuori sede, come messo in evidenza tra gli altri da Ciriaci (2010; 2012). Infatti la decisione della mobilità ante lauream potrebbe rappresentare solo il primo step di un percorso migratorio più strutturato (Jahnke, 2001; Ciriaci, 2005; Piras, 2005; Viesti, 2005; Panichella 2009; Ciriaci, 2010; Ciriaci, 2012; Impicciatore, 2016). Viesti (2005) ha sottolineato come nel 2003, su 235 mila laureati in Italia, ben il 25% avesse studiato fuori dalla propria regione di residenza. In particolare, sono circa ventimila i laureati meridionali in Atenei del Centro-Nord, e Viesti (2005) stima che il 50% di questi si sia fermato fuori. Gli stessi Affuso e Vecchione (2012), riportando alcuni studi fatti da SVIMEZ, evidenziano come «solo un meridionale su quattro laureato al Centro Nord lavora in una regione del Sud, mentre per Almalaurea si tratterebbe di uno su cinque» (Affuso e Vecchione, 2012: 9), confermando dunque che la mobilità per studio possa agire come fenomeno di brain drain. In questo senso, quanto affermava Jahnke (2001) con riferimento ai laureati meridionali nella seconda metà degli anni Novanta, sembra essere ancora attuale:

L’altissima disoccupazione dei giovani laureati e il conseguente «spreco» delle conoscenze scientifiche, cui si aggiunge la «fuga» dei cervelli verso altre parti d’Italia o all’estero, riservano al Mezzogiorno il ruolo di regione fornitrice di risorse umane altamente qualificate che però trovano adeguato impiego al di fuori dell’area di provenienza (Jahnke, 2001: 761).

Tuttavia, il tema delle migrazioni interne trova crescente spazio principalmente negli ambienti economici, mentre sembra essere stato progressivamente abbandonato

dagli studiosi di Sociologia in favore dello studio delle migrazioni internazionali (Affuso e Vecchione, 2012). Le trasformazioni economiche e sociali che hanno accompagnato l’Italia nel passaggio da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione (Pugliese, 2006), hanno infatti determinato una nuova ondata di migrazioni sia all’estero sia interne che, rispetto agli anni precedenti, oggi interessano nuove categorie di migranti giovani e con livelli di istruzione più elevati (diploma, laurea e titoli post lauream) e presentano caratteristiche distintive rispetto a quelle che hanno riguardato l’Italia tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta (Bonifazi, 1999; Pugliese, 2006; Berti e Zanotelli, 2008).

Le migrazioni interne che dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Settanta hanno interessato l’Italia, hanno rappresentato un ambito di studi particolarmente prolifico per la sociologia. In particolare lo studio di questo fenomeno interessava due filoni di ricerca, legati agli effetti sulle aree di destinazione dei migranti, alla loro integrazione nelle aree di arrivo, e agli effetti sulle aree di partenza, in termini di dispersione di risorse e impoverimento nel capitale sociale e umano dei territori di partenza (Affuso e Vecchione, 2012).

L’attenzione nel corso degli anni Ottanta e Novanta si è tuttavia spostata maggiormente sul tema dell’immigrazione in Italia. Solo negli anni Novanta, grazie anche al contributo dello SVIMEZ e di alcuni autori come Bonifazi (1999), Jahnke (2001) e altri, il tema delle migrazioni interne riemerge, in corrispondenza della ripresa del dualismo socioeconomico tra Mezzogiorno e Centro Nord. In questa direzione muove anche l’analisi di Cannari e Franco (2011), che nel divario fra Nord e Sud del paese vedono una nuova questione meridionale dopo gli anni di convergenza seguiti al secondo dopoguerra. Dotti e colleghi (2013) sottolineano invece come il deflusso di capitale umano dalle regioni del Mezzogiorno verso quelle del Centro-Nord piuttosto che agire come meccanismo di riequilibrio tra le due aree del paese, non fa altro che contribuire ad aumentare il divario.

In questo quadro cambia anche la composizione, la durata e il progetto migratorio, che appaiono sostanzialmente diversi rispetto al passato. A differenza delle migrazioni interne del ventennio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Settanta destinante a essere definitive, è adesso il progetto migratorio in sé a divenire precario, spesso concepito come un’esperienza destinata a concludersi nell’arco di pochi mesi, anche

perché condizionata dalla durata temporale delle nuove tipologie contrattuali del lavoro atipico. I fenomeni migratori interni si caratterizzano dunque per la loro precarietà (Berti, 2008), ma questo a maggior ragione investe anche la popolazione studentesca, il cui progetto di mobilità è ‘a scadenza’, legata cioè al periodo necessario al conseguimento del titolo di studio, sebbene come confermato da numerosi studi (Ciriaci, 2005; Ciriaci, 2010; Ninfo e Vecchione, 2012; Impicciatore, 2016; Vecchione, 2017), la scelta di mobilità ante lauream è altamente e positivamente correlata ai successivi comportamenti migratori post lauream. Gli studenti meridionali che si laureano nelle Università del Nord hanno infatti una bassa probabilità di ritornare nelle regioni del Sud (Ciriaci, 2005; Dotti et al., 2013, Impicciatore, 2016). L’analisi di Dotti, Fratesi, Lenzi e Percoco (2013) si concentra in particolare sul ruolo fondamentale svolto dalle Università, rappresentando a tutti gli effetti un canale per il

brain gain, ovvero aiutando le regioni ed il mercato del lavoro locale ad attrarre ed

eventualmente mantenere gli studenti dopo la laurea. In questo senso, secondo gli autori, la qualità dell’Università gioca un ruolo importante, al pari però delle opportunità e condizioni garantite dal mercato del lavoro locale (Dotti et al., 2013). Anche Impicciatore (2016) si muove seguendo questo filone e, riprendendo la strategia adottata da Faggian e Franklin (2014 in Impicciatore, 2016) per il contesto statunitense, confronta la mobilità di fonte anagrafica con la mobilità studentesca al fine di verificare se vi sia sovrapposizione fra i due flussi. Dal confronto operato da Impicciatore (2016) per il periodo 2009-2014 emerge una sostanziale sovrapposizione che ricalca la traiettoria Sud-Nord, validando così l’ipotesi che la mobilità studentesca sia determinata anche dalla capacità di attrazione del mercato del lavoro del territorio di destinazione e dalla possibilità di far fruttare il proprio capitale umano.

Le diverse analisi di Ciriaci (2005; 2010; 2012; 2014) si concentrano invece sul ruolo della qualità dell’offerta formativa nel delineare la scelta di mobilità degli studenti:

La presenza, al di fuori della propria regione di origine, di strutture e istituzioni d’istruzione universitaria migliori rispetto a quelle presenti nella propria, possano indurre i diplomati che hanno deciso di proseguire i propri studi a migrare per ottenere un’istruzione relativamente migliore e, in seguito alla laurea, influenzarne nuovamente la scelta migratoria. Dopo la laurea, infatti, la qualità dei propri studi potrebbe agire da «segnale» per le aziende, e

aumentare la probabilità di trovare un’occupazione nella stessa regione/ provincia dove si è studiato limitando la necessità di spostarsi (Ciriaci, 2012: 165).

Questo fattore è confermato anche dall’analisi che Cersosimo e colleghi (2016) compiono utilizzando i micro-dati dell’indagine Istat sull’inserimento dei laureati realizzata nel 2011 e riferita agli studenti che hanno concluso l’Università nel 2007. Il campione comprende 47.455 studenti, ai quali l’indagine chiedeva «Perché scegliere di studiare in un Ateneo di una provincia diversa da quella di residenza?». Le prime due risposte date dagli studenti fanno riferimento all’offerta formativa e alla comodità della sede di studio, dove per comodità, come evidenziano Cersosimo e colleghi si intende l’ospitalità urbana, la vivibilità della città e l’insieme di opportunità culturali e per il tempo libero, cioè quelle che vengono comunemente chiamate amenities. Le altre risposte più comuni riguardano invece il prestigio dell’Università, la qualità dei servizi e/o delle strutture offerte dall’Ateneo, la possibilità di fare esperienze in un contesto territoriale diverso da quello di origine e l’impossibilità di fare scelte diverse. Come fanno notare gli autori, tra le opzioni possibili non figura l’effetto attrattivo del mercato del lavoro e dell’eventuale possibilità di stabilizzarsi nel territorio dove si è studiato dopo la laurea. Per quanto questa possibilità possa apparire ovvia, essa non emerge dalle risposte date dagli intervistati.

Cersosimo e colleghi (2016b) inoltre, sempre tramite l’analisi sui micro-dati Istat, cercano di capire se e quanto il background familiare possa influire sulle scelte di mobilità degli studenti. La decisione di studiare in una provincia diversa da quella di residenza sembra essere più probabile per quegli studenti che abbiano genitori in possesso di un titolo di studio inferiore al diploma. Mentre per i figli di donne diplomati o laureato e per gli studenti con il padre laureato sembra aumentare la probabilità di rimanere nella provincia di residenza. Questo risultato potrebbe in parte riflettere il desiderio di mobilità sociale percepito soprattutto da chi vive in condizioni meno agiate. L’istruzione infatti riveste ancora un ruolo cruciale quale strumento di ascesa sociale tramite l’acquisizione di abilità individuali.

Tuttavia, come già accennato in precedenza e come emerge anche dalla letteratura riportata sopra, il campo di indagine della mobilità per studio ha interessato soprattutto gli economisti e poco i sociologi. Come evidenziato da Affuso e Vecchione (2012), le ricerche sociologiche si sono concentrate principalmente sulla mobilità dei

lavoratori e meno sulle migrazioni degli studenti universitari, mentre è stata la letteratura economica ad occuparsene più diffusamente, secondo due direttrici:

La prima indaga le caratteristiche individuali e del background familiare come fattori di spinta (push) alla migrazione. La seconda invece si concentra sulle caratteristiche locali del territorio (in primis i differenziali di PIL delle aree considerate, ma anche qualità della vita, livello di civicness etc.) e delle sedi universitarie come fattori d’attrazione della platea studentesca (Affuso e Vecchione, 2012: 11).

Il ruolo del capitale sociale invece, rappresenta, secondo Affuso e Vecchione, un punto di incontro fondamentale tra la prospettiva sociologica e quella economica, anche se resta un ambito tutt’ora probabilmente inesplorato, perlomeno con riguardo alla mobilità studentesca. L’introduzione del livello intermedio, delle reti sociali, permette di vedere i flussi migratori non solo dalla prospettiva dell’individuo o dell’aggregato territoriale, ma della relazione sociale, dei gruppi o network nei quali l’individuo è inserito, ponendo l’accento sulla migrazione come processo a lungo termine e sulle relazioni che legano il processo migratorio ai luoghi d’origine e di destinazione (Affuso e Vecchione, 2012):

Attraverso la prospettiva dell’analisi delle reti è possibile indagare i processi di formazione, socializzazione, inserimento nel mercato del lavoro e insediamento abitativo, le reti di supporto formale e informale, i legami d’origine, ossia, in ultima istanza, l’impatto sui luoghi di destinazione e sui luoghi d’origine. Si tratta di dimensioni cruciali per analizzare i movimenti migratori legati a motivi di studio, dove particolarmente forti appaiono i legami con i gruppi e le reti di supporto sociale dei luoghi d’origine che forniscono sostegno (Affuso e Vecchione, 2012: 12-13).