2. Der Struwwelpeter
2.7 Caratterizzazione dei personaggi
racconto che non raggiunge un vertice, un momento cruciale, ma piuttosto il punto più basso in assoluto (in tedesco: “Tiefpunkt”), ovvero la morte (Könneker 1977: 88).
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2.7 Caratterizzazione dei personaggi
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Ogni storia dello Struwwelpeter ha come protagonista un bambino, eccetto le storie degli “schwarzen Buben” e del “wilden Jäger”. Non mancano, naturalmente, anche figure di adulti che se ne stanno lì senza fare nulla (“dabei stehen” ), come ad esempio i genitori di Filippo, o che, come il 21
sartore o Nicola, intervengono a punire il bimbo capriccioso e disubbidiente. In generale, tuttavia, si può dire che la vera protagonista dell’intero libricino sia la piccola famiglia borghese tedesca della prima metà del XIX secolo. In un clima di generale progresso e di cambiamenti epocali in seguito alla Rivoluzione industriale, la famiglia patriarcale viene presto sostituita da una famiglia di tipo nucleare, composta unicamente dai genitori e dalla loro prole.
Se la famiglia patriarcale, nella sua struttura, era la stessa in tutte le classi sociali, si viene ora a creare una differenza sostanziale tra i costumi di vita borghesi e quelli aristocratici. Per quanto concerne la sfera famigliare, la famiglia di tipo aristocratico appare caratterizzata da rapporti freddi e distaccati; tale distanza emotiva si riflette anche nella struttura fisica dei castelli aristocratici. Quella borghese è, al contrario, una classe ben più affezionata alla propria sfera privata, di cui custodisce gli intimi rapporti tra i suoi membri, in particolare di quello tra adulti e bambini. Nonostante il suo attaccamento alla sfera privata, la borghesia non rinuncia alla propria ascesa
Si tratta dell’espressione con cui più volte Hoffmann si riferisce ai genitori dei protagonisti
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economico-sociale, pur continuando ad essere esclusa dai privilegi della potente aristocrazia e dall’intera vita politica (Könneker 1977: 16-7).
La disparità tra borghesia e aristocrazia si riflette dunque su più piani: la famiglia, la sfera politica e sociale, l’aspetto economico ecc. Non mancano, inoltre, notevoli differenze nel sistema di valori: alla prodigalità, alla leggerezza e alla freddezza nei sentimenti dell’aristocrazia si contrappongono la parsimonia, le virtù e la profondità di sentimenti tipici della classe borghese (ivi: 17).
Tutto ciò si riflette poi nella diversità dei ruoli attribuiti ai due sessi, in particolare nella famiglia borghese. L’uomo borghese, considerato come individuo autonomo e indipendente, è perfettamente inserito nel sistema produttivo, e con il suo lavoro deve contribuire al benessere della propria famiglia. I suoi doveri nella sfera privata si limitano, al contrario, alla sola riproduzione: tutto il resto spetta alla moglie. La vita della donna è così limitata all’interno della casa e della vita famigliare, nella quale occupa, peraltro, una posizione intermedia tra il marito e i figli; tale posizione si riflette, ad esempio, nella storiella di Zappel-Philipp, in cui la madre assiste passivamente a ciò che accade davanti ai suoi occhi tra il marito e il figlioletto (ivi: 19). A lei non spetta, inoltre, alcun riconoscimento sociale, e anche nella sfera privata la sua importanza tende a diminuire con l’avvento delle nuove apparecchiature che in parte la sostituiscono nel suo lavoro domestico (ivi: 17-8).
Se da un lato il riconoscimento del ruolo sociale della donna nella vita pubblica così come in quella privata è sempre più marginale, dall’altro è proprio grazie all’agevolazione dei lavori domestici che le donne possono finalmente dedicarsi alla lettura di libri e giornali. Più istruite e con più tempo libero a disposizione, devono ora occuparsi anche dell’educazione dei propri figli; occorre tuttavia precisare che l’educazione del sesso femminile veniva gestita esclusivamente da uomini che selezionavano per loro letture ben precise per educarle, sin da bambine, all’obbedienza e alla sottomissione (ivi: 18-9).
In generale, il sistema educativo della famiglia borghese ai tempi dello
Struwwelpeter cambia rispetto a quello che si era seguito dal 1600. Si
trattava di un rigido insieme di regole tramandato di generazione in generazione che doveva regolare ogni aspetto della vita pubblica e privata: usi e costumi, cerimonie e riti religiosi ecc. Tutte le istituzioni (chiesa, famiglia, autorità, corporazioni ecc.) dovevano rispettare tali regole, percepite come vere e proprie leggi, e far sì che fossero rispettate da tutti. Per quanto riguarda la letteratura pedagogica, in essa si riflette chiaramente quella evoluzione in senso economico che, nel corso dei secoli, aveva profondamente cambiato quei valori fondamentali dell’intera società. Mentre i testi scolastici agli albori del capitalismo, tra il XV e il XVI secolo, contenevano modelli di lettere commerciali, fatture e altri esempi pratici, successivamente, intorno alla metà del 1500, riportano unicamente testi religiosi. Le cose cambiano di nuovo alla fine del XVIII secolo con l’inserimento della borghesia nel sistema produttivo e la sua rapida ascesa; da lì in poi, infatti, quelle conoscenze pratiche che si era tentato di impartire attraverso i libri, dovevano essere apprese dalla propria famiglia, direttamente sul campo (ivi: 21).
Nella società borghese, dunque, il bambino deve imparare non dai libri, ma dall’imitazione del lavoro e dei comportamenti dei propri genitori. Ecco, dunque, che adulti e bambini si muovono, per la prima volta, sempre insieme, partecipando alle attività quotidiane della famiglia e agli eventi della vita sociale (ivi: 22-3). In realtà l’apprendimento diretto all’interno della famiglia, in particolare dei lavori più manuali, esisteva già da molto tempo, soprattutto se pensiamo a secoli in cui l’alfabetizzazione era ancora assai limitata. Tuttavia, se prima si trattava di qualcosa di spontaneo, verso la fine del 1700 quello stesso processo viene regolamentato: in sostanza, ci si doveva impegnare a spiegare il perché delle cose e a educare i bambini attraverso un metodo pedagogico preciso (ivi: 24). Di qui deriva anche una revisione dei contenuti dei testi scolastici, che non dovevano più limitarsi a fornire rigide formule da imparare a memoria, ma erano tenuti a spiegare i concetti, a giustificarli alla luce di un ragionamento razionale o sulla base di dati
empirici. Di qui deriva anche la maggior libertà di esprimere la propria individualità sia da parte degli insegnanti che dei bambini stessi. D’altro canto, bisogna ricordare che si tratta ancora di testi, scritti per essere letti insieme ad una figura adulta che possa aiutare il bambino a comprenderne gli insegnamenti (ivi: 24-5).
In questo contesto non stupisce l’importante novità delle enciclopedie illustrate (ivi: 25), grazie alle quali il bambino poteva apprendere in modo attivo, impegnandosi a mettere in relazione il testo con le immagini che lo accompagnavano. Lo stesso vale, naturalmente, anche per i libri illustrati della Bilderliteratur di cui il nostro Struwwelpeter fa parte.
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2.8 Il ruolo degli animali
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Adulti e bambini non sono, tuttavia, gli unici personaggi del libro del dottor Hoffmann. In quattro delle dieci storielle anche gli animali rivestono un ruolo importante, e di una di queste sono addirittura i protagonisti. Negli altri racconti, dove sono presenti genitori o altre figure autorevoli, gli animali non compaiono, e non è un caso: l’autore, infatti, sembra avvalersi volutamente di animali per evitare il confronto diretto tra adulti e bambini (ivi: 89).
La prima storiella in cui incontriamo degli animali è quella del “bösen Friederich”. Qui fanno la loro comparsa (nel testo come nelle illustrazioni) mosche, uccelli, gatti, galline e cani; un cane lo ritroviamo anche in “Hanns Guck-in-die-Luft”, dove il bambino finisce per inciamparci sopra, mentre i gatti torneranno nella storiella di “Paulinchen”. Anche gli animali, oltre ai vari protagonisti, sembrano dunque creare importanti collegamenti tra le varie storie: così il piccolo lettore, leggendo la storiella di Hanns che inciampa su un cane, richiamerà alla mente l’altro cane (“der große Hund”, Hoffmann 2008: 4) che, poche pagine prima, aveva morsicato il cattivo Friederich. Allo stesso modo, leggendo dei due gattini che minacciano Paulinchen con le zampe (“Sie drohen mit den Pfoten”, ivi: 6), si ricorderà di