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Dopo gli ultimi due viaggi nel mondo del ‘Surreale’, Hoffmann ci riporta bruscamente alla realtà con un racconto a dir poco ‘drammatico’.
La storiella del Daumenlutscher (ovvero “del bambino che si succhia i pollici”, Negri 2010: 15) viene narrata attraverso quattro strofe di diversa lunghezza, ciascuna accompagnata da un’illustrazione. Nella prima versione le illustrazioni appaiono collegate da un sottilissimo viticcio, ma già dalla seconda Hoffmann le inserisce in riquadri geometrici accuratamente separati (si notino le marcate linee nere di contorno che delimitano ogni vignetta). Entro ciascun riquadro, poi, l’autore disegna un portico, ben visibile in particolare nella terza immagine, nel quale si svolge l’intera vicenda.
Nella prima strofa, e nell’immagine che l’accompagna, viene presentato l’eroe, il piccolo Konrad, che, in posizione frontale rispetto al lettore-osservatore, mostra le proprie mani come a voler dimostrare la propria innocenza. Di fronte a lui, ma questa volta di spalle, la madre (o
Hoffmann 2008: 15-16.
meglio, la “Frau Mama” ), con il dito e l’ombrellino alzati e rivolti verso il 57
figlioletto. La posizione e i gesti di madre e figlio sembrano suggerire il rapporto che intercorre tra i due: il capo leggermente chino e lo sguardo avvilito del piccolo Konrad, ad esempio, rendono la sua intimidazione nei confronti della madre piuttosto evidente. Gli eleganti abiti di quest’ultima, poi, lasciano pensare a una donna signorile, qui colta mentre adempie ai propri doveri di madre. La sua autorità sembra poi essere ripresa dalla sua ampia gonna verde e blu che, allo stesso tempo, sembra richiamare quella sensazione di protezione e sicurezza comunemente associata alla figura materna.
Il rapporto madre-figlio, solo implicitamente rappresentato dall’immagine, viene poi confermato e concretizzato dal testo. Nei primi due versi, come di consuetudine, l’autore espone la situazione iniziale dalla quale prende il via l’intera vicenda: Konrad, sprach die Frau Mama,/Ich gehe aus
und du bleibst da . A differenza della storiella di Paulinchen che, con il suo 58
incipit Paulinchen war allein zu Haus,/Die Eltern waren beide aus, informava il lettore su qualcosa di già accaduto, qui è come se, nascosto dietro uno dei pilastri di quel portichetto, il lettore stesse ascoltando le parole della “Frau Mama” insieme al piccolo Konrad. In entrambi i casi il punto di partenza è comunque il medesimo: il bambino viene lasciato solo. Le parole della madre di Konrad, riportate nel testo sotto forma di discorso diretto, suonano particolarmente dure e severe; a questo effetto contribuiscono l’appellativo “Frau Mama”, come si è già accennato, ma soprattutto quell’und (corrispondente alla congiunzione italiana “e”) che crea un lapidario parallelismo tra le due frasi Ich gehe aus, und du bleibst da, senza lasciare alcuna possibilità di controbattere. L’evidente opposizione ich/du accentua
Questo era il titolo con cui all’epoca di Hoffmann ci si rivolgeva alla propria madre, segno
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di rispetto ma anche di intimidazione (Könneker 1977: 119). L’autore si sarebbe servito di questo appellativo fondamentalmente per ragioni di metrica e ritmica, e solo in secondo luogo per accentuare, anche sul piano testuale, la distanza madre-figlio esplicitata dall’immagine.
Letteralmente: “Konrad”, disse la Madre,/ “io esco e tu resti qui”.
poi la netta separazione tra i due, ribadendo allo stesso tempo la superiorità della figura autoritaria rispetto al bambino.
Dopo aver pronunciato queste dure parole, la madre si preoccupa subito di dettare precise regole di comportamento per il tempo della sua assenza, e lo fa dapprima in modo generico, con la classica formula Sei
hübsch ordentlich und fromm, per poi passare a un ordine ben più preciso,
ovvero quello di non succhiare più il pollice. La particolare rilevanza di quest’ultima esortazione la si evince da quel vor allem (“soprattutto”) e da quel hör! (“ascolta!”) che precedono il divieto vero e proprio: Lutsche nicht
am Daumen mehr (Hoffmann 2008: 15, prima strofa, v. 6); interessante è poi
il mehr (“più”), grazie al quale è chiaro che si tratta di un’azione piuttosto abituale, di un vero e proprio ‘vizio’ più che di un episodio isolato.
La madre, che uscendo di casa non può controllare lei stessa che il suo divieto venga effettivamente rispettato, minaccia allora il figlioletto evocando la figura del sarto che, con il suo “forbicione" (in tedesco Scher , 59 60
“forbici”, Hoffmann 2008: 15, prima strofa, v. 7), giungerebbe prontamente a tagliargli i pollici. L’immagine sarebbe già abbastanza terrificante e minacciosa, tuttavia Hoffmann sceglie di accentuarne l’aspetto orroroso specificando anche il modo in cui il sarto avrebbe tagliato i pollici del piccolo Konrad, ovvero “als ob Papier es wär” (“come se fossero carta”). L’incalzante ritmo degli ultimi due versi della prima strofa, suggerito prima da una serie di dentali e poi da quattro labiali una susseguente all’altra, sembra poi imitare il movimento ‘del tagliare’ (Könneker 1977: 120). i due versi restano così impressi nella mente del bambino come una melodia che proprio non si riesce a togliere dalla testa.
Nonostante tutto, non appena la madre esce Konrad si infila il dito in bocca, e l’autore ce lo descrive in soli due versi: Fort geht die Mutter und/
wupp! den Daumen in den Mund. Anche in questo caso Hoffmann rende in
modo onomatopeico un movimento, quello del pollice del bambino;
Traduzione in Negri 2010: 15, prima strofa, v.9.
l’enjambement con cui egli collega i due versi, invece, vuole forse compensare all’estrema brevità della strofa (se così la si può definire), contribuendo a dare maggior rilievo alla violazione del divieto.
La mera funzione di questi due versi, tuttavia, è semplicemente quella di mettere in relazione la prima e la terza immagine, quella in cui Hoffmann illustra la punizione. Qui fa la sua comparsa l’inquietante figura del sarto, un uomo snello e dalle gambe lunghe che insegue il bambino quasi a passo di danza, mentre tra le mani tiene delle enormi forbici con le quali gli taglia il pollice (più precisamente i pollici, come si vede nell’ultima immagine, Hoffmann 2008: 16). Il piccolo Konrad allora grida e si dimena, mentre dal pollice inizia a perdere sangue. Il suo dolore è evidente tanto nell’immagine quanto nel testo, grazie alle onomatopee Weh! (ivi: 16, terza strofa, v.5, “Ahimè!”) e Hei! (ivi: v.8, “Ahi!”). Con un’altra onomatopea (klipp und 61
klapp, ivi: v.5) l’autore cerca ancora una volta di imitare il movimento delle
forbici; il loro aspetto pauroso è invece accentuato dal climax ascendente ai versi 6 e 7 (Könneker 1977: 121): mit der Scher/mit der großen, scharfen
Scher. Particolarmente interessante è poi il fatto che nel testo l’esecuzione
della punizione venga espressa con un anonimo geht es (Hoffmann 2008: 16, terza strofa, v.5); l’identità dell’esecutore, infatti, viene rivelata solo dalle immagini. In questo senso, è come se l’autore volesse far cadere la responsabilità di un gesto così atroce sullo strumento piuttosto che sul sarto e sugli adulti in generale; nell’Europa centrale di metà ‘800, infatti, nessun adulto sarebbe mai ricorso a una punizione così sadica.
Al di là di ogni responsabilità, la punizione è sicuramente efficace: senza più i suoi pollici, il piccolo Konrad non potrà mai più ricadere nel suo piacevole vizio. Proprio da questa impossibilità deriva il suo dolore, che è dunque innanzitutto emotivo e solo in secondo luogo anche fisico. Lo stesso sembrano suggerire gli ultimi due versi di questa drammatica storiella Ohne
Daumen steht er dort,/die sind alle beide fort (ivi: 16, quarta strofa), dove il
richiamare l’ultima parola del racconto, ovvero quello stesso fort con cui se ne era andata e con il quale ora ‘se ne vanno’, per così dire, i pollici di Konrad.