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2. Der Struwwelpeter

2.10 Temi

da ragioni semantiche o semplicemente ritmiche; in ogni caso, esso contribuisce a rendere più dinamiche le storielle, garantendo così il coinvolgimento emotivo di chi le legge o le ascolta.

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2.10 Temi

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Tutte le storielle dello Struwwelpeter sono storie dell’infanzia che riflettono conflitti intimi e profondi sui quali i bambini spesso si interrogano.

Nel loro inconscio i bambini si chiedono, infatti, se siano buoni o cattivi e, soprattutto, se siano realmente amati oppure no; a queste domande il bambino che legge o ascolta le storielle di Hoffmann troverà una risposta nell’indirizzare tutto ciò che percepisce di negativo su qualcun altro, ovvero ai protagonisti dei singoli racconti (Eckstaedt 1998: 9). Nel caso di Struwwelpeter, per esempio, il piccolo lettore avrà l’impressione che a essere disordinato e brutto sia solo quel pupazzetto e non lui; ecco così introdotta una prima grande tematica, ovvero quella dell’odio verso ciò che non conosciamo. Il problema dell’odio per l’ignoto o per quello che comunemente si definisce ‘straniero’, è una tematica centrale nella nostra società, spesso discussa accanto a problematiche ad essa strettamente correlate come quella del razzismo; nello Struwwelpeter tutto ciò emerge chiaramente nella storiella degli schwarzen Buben. Tale problematica viene spesso risolta con l’esclusione di quel qualcosa o qualcuno che non si conosce e che, per questo, fa paura; lo stesso sembra accadere al lettore del libricino che, incontrando il personaggio di Struwwelpeter, proverà disgusto per il suo aspetto e di certo non lo assumerà come modello da imitare considerando la derisione di cui è vittima. Nella maggior parte dei casi il bambino tenderà così ad escludere quel personaggio, bambino come lui, senza indagare le ragioni del suo aspetto o il suo stato d’animo. Secondo la Eckstaedt (ibid), l’esclusione a cui il

libricino induce sarebbe una delle ragioni per cui, ancora oggi, adulti e bambini continuano a leggere e ad ascoltare le storielle del dottor Hoffmann.

Se da un lato lo Struwwelpeter sembra tradire un atteggiamento razzista, dall’altro dimostra anche una certa sensibilità per quelle minoranze generalmente discriminate. Si è già accennato sopra alla storia del Mohr (moretto), forse il caso più emblematico, ma non mancano anche altri esempi.

Tra questi emerge, innanzitutto, la storia del bösen Friederich, dove a rappresentare i più deboli non è una persona, ma un cane. Quest’ultimo, dopo essere stato colpito più volte con una frusta dal bambino dispettoso, lo morsica ad una gamba, costringendolo a letto e ad assumere medicine dal sapore disgustoso. Fin qui niente di strano; a trasmettere il vero significato dell’intera storiella sono l’ultima strofa e la relativa illustrazione. Qui, infatti, vediamo il cane che per un momento prende il posto del dominatore, e anche se i suoi modi di porsi a tavola sono piuttosto rudi e ‘proletari’, il tovagliolo che indossa intorno al collo e che apparterrebbe a Friederich è un chiaro simbolo della sua vittoria (Si veda http://www.zeit.de/2009/25/Boeser-Friedrich). Dietro il cane, appeso alla sedia, troviamo persino quello che era stato l’oggetto del suo castigo (“Die Peitsche hat er mitgebracht / Und nimmt sie sorglich sehr in acht.”, Hoffmann 2008: 5). Tuttavia, a catturare la sua attenzione sono ora le leccornie che giacciono sul tavolo (un grande dolce, una salsiccia e del vino, ibid) pronte per essere divorate: il cane può così festeggiare non solo il dolore che ora affligge il bambino (una sorta di ‘pareggiamento dei conti’), ma anche il coraggio con cui è riuscito a difendersi da quell’ingiustizia.

Nella storiella di Paulinchen, unica bambina del libricino, l’autore rivendica poi il sesso femminile, generalmente escluso o considerato ‘inferiore’. A differenza degli altri bambini aggressivi, sprezzanti, incapaci di concentrarsi, infantili e trasognati, la bambina si distingue per il suo innocente desiderio di scoprire il mondo e la sua ingenua prontezza al rischio. Con il suo entusiasmo e la sua curiosità per l’ignoto, Paulinchen rappresenta

un’eccezione anche rispetto a quell’atteggiamento di esclusione cui si faceva riferimento sopra.

Accanto a bambini disubbidienti e dispettosi ci sono poi bambini che muoiono. Quello dell’infanticidio, infatti, è un altro grande tema del libricino di Hoffmann e lo ritroviamo nella storiella della stessa Paulinchen e, forse ancora più evidente, in quella di Kaspar. Qui il piccolo si rifiuta di mangiare la minestra, cosa assolutamente normale se non fosse che, anziché presentargli un appetitoso “Butterbrot” (pane al burro), lo si lascia morire di fame.

Nessuno sembra assistere o interessarsi a ciò che accade ai piccoli protagonisti, che molto spesso sono a casa da soli (si pensi a Paulinchen o a Konrad) oppure agiscono sotto gli occhi di genitori distaccati (come nel caso di Philipp, unica storiella in cui compare l’intera famiglia). Ecco dunque emergere un altro tema non meno rilevante e di grande attualità: la solitudine dei bambini.

Un’altra tematica centrale del libricino è quella della fiducia, o meglio, della mancanza di fiducia. Tale questione emerge da due diversi punti di vista: innanzitutto quello degli stessi protagonisti delle storielle che, disubbidendo o non ascoltando i consigli dei genitori o di altre figure autoritarie, dimostrano una totale mancanza di fiducia nei loro confronti. Si prenda, ad esempio, la storiella di Paulinchen: nonostante i gattini, ricordandole le parole dei suoi genitori, la mettano in guardia e la preghino di lasciar stare i fiammiferi, l’eroina sembra ignorarli e continua nelle sue intenzioni. Il finale drammatico della storiella sembra così trasmettere una duplice morale: non solo i bambini non devono giocare con il fuoco, ma devono anche ubbidire ai propri genitori e fidarsi dei loro ordini e consigli (lo stesso vale anche per la storia del Daumenlutscher e di Zappel-Philipp).

Se i genitori devono conquistarsi la fiducia dei propri figli, così anche l’autore deve conquistare la fiducia dei propri lettori. Con il suo libricino, infatti, Hoffmann crea un mondo tutto suo, inventandosi pupazzetti e vicende che possano essergli innanzitutto utili nella sua professione. Tuttavia, l’autore può riuscire nel suo intento solo se il bambino, leggendo quelle storie, le

prenderà come vere, fidandosi di colui che le ha scritte e disegnate. La fiducia però non è un qualcosa che si può esigere a tutti i costi, bensì qualcosa che può essere possibile o che può essere resa tale, nel nostro caso, solo dai bambini. Se questi non dimostrano fiducia nei confronti dell’autore, allora l’intero mondo da lui creato apparirà privo di senso e continueranno a comportarsi secondo le proprie regole. 


3. Analisi testo di partenza

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In questo capitolo si analizzerà il testo originale di Hoffmann. Dopo averne delineato le principali caratteristiche linguistiche e lo schema metrico e ritmico, si procederà all’analisi più dettagliata di ciascuna storiella, cercando di fornire possibili interpretazioni dei testi e, trattandosi di un

Bilderbuch (o libro illustrato), delle relative illustrazioni.

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3.1 Caratteristiche linguistiche generali

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In generale, ciascuna storiella è composta da una serie di versi a quattro arsi, giambi o trochei, a rima baciata. Ciascuna coppia di versi forma così una sorta di unità indipendente che permette di essere memorizzata con facilità. Lo stesso vale anche per le frasi e gli enjambements, che non superano mai i due versi di lunghezza. Si tratta pertanto di ‘versi distici’ la cui peculiarità, nel caso dello Struwwelpeter, risiede nelle numerose inversioni di elementi avverbiali che l’autore impiega per mettere in evidenza certi versi piuttosto che altri, collocandoli in posizioni inusuali di inizio o fine frase (“Jedoch nach Hause lief der Hund”, Hoffmann 2008: 4, “Ins Bett muß Friedrich nun hinein”, ivi: 5, “In Feuer steht das ganze Kind!”, ivi: 7, ecc.).

Per quanto riguarda la tipologia testuale, lo Struwwelpeter riprende chiaramente il modello della fiaba e dei primi libri illustrati. Al primo rimandano soprattutto le abbondanti assonanze e allitterazioni utilizzate da Hoffmann non solo per ragioni puramente ritmiche o metriche, ma anche per rendere più incisivi certi passaggi del testo. La ripetizione di rime, assonanze e allitterazioni contribuisce poi a collegare tra loro le coppie di versi, creando al contempo analogie e contrasti anche sul piano dei contenuti all’interno della stessa strofa o persino dell’intera storiella. Nella seconda strofa del