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La storia del fiero cacciatore (così la intitola Negri) è quella che più si

distingue da tutti gli altri racconti dello Struwwelpeter. Di bambini, dei loro capricci e delle loro cattive azioni non c’è alcuna traccia, e anche l’ambiente si distingue, almeno inizialmente, da quello delle altre storielle, rappresentato perlopiù dall’ambiente domestico-famigliare o, come in Hanns

che guarda in aria e in Roberto che vola, dalla piccola città. Quella del

cacciatore è la storia del trionfo del debole sul più forte, dell’intelletto sulla forza bruta; in essa si riflette ancora una volta quel ‘mondo alla rovescia” che Hoffmann crea e, con altrettanta semplicità, subito tenta di correggere (in questa storiella, con il ritorno del cacciatore e della lepre verso la casa del primo).

Il tutto è raffigurato da quattro immagini disposte su tre pagine.

!

Le prime due vignette, disposte esattamente l’una sotto all’altra nella prima pagina, mostrano l’azione dei due protagonisti: un cacciatore e una lepre. Il primo sta camminando velocemente (come suggerisce il suo piede rialzato e l’avverbio “geschwind” al quarto verso della prima strofa) con un enorme 50

Hoffmann 2008: 12-14.

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In italiano: “velocemente”.

fucile sulla spalla che, per le sue dimensioni spropositate, sembra richiamare il calamaio di Nikolas nella storiella precedente. Dietro il cacciatore il leprotto ‘siede’ in mezzo a delle foglie (“Blätterhaus” ), come se questi gli 51

fosse passato davanti senza accorgersene (Eckstaedt 1998: 89). Con le zampette anteriori, che qui appaiono come vere e proprie mani, rivolge una pernacchia al cacciatore, come a volergli dire: “ben ti sta!”. Nella seconda vignetta il cacciatore riposa sdraiato sull’erba, sotto i raggi del sole, mentre il leprotto, senza farsi né vedere né sentire, gli prende il fucile e gli occhiali. Il solo che può vederlo è il bambino che osserva i disegni, al quale sarà lecito temere che, da un momento all’altro, il cacciatore possa svegliarsi e scoprire l’animaletto. La terza immagine mostra poi lepre e cacciatore intenti nella stessa attività, quella della caccia. Tra i due, la canna del lungo fucile che il leprotto punta verso il cacciatore, e che traccia precisamente l’asse orizzontale. Nell’ultima scena, infine, lo stesso fucile e la traiettoria dello sparo (una semplice linea nera diritta che termina con un piccolo punto nero) uniscono tra loro quattro azioni diverse ma simultanee.

In tutti i casi il testo riprende fedelmente le illustrazioni. Nell’ultima pagina, ad esempio, i versi descrivono dapprima ciò che sta al centro dell’immagine, ovvero il cacciatore dentro il pozzo, per poi spostarsi verso destra, dove si vede la lepre sparare da un punto più alto. Considerando i suoi tratti umani (le ‘mani’, i gesti, la posizione eretta ecc.) e la posizione sopraelevata dalla quale Hoffmann la raffigura, si può evincere che il vero eroe di questa storiella sia proprio l’astuto animaletto.

Sempre nell’ultima immagine, Hoffmann dimostra ancora una volta la sua minuziosa attenzione per le illustrazioni. Come suggerisce la Könneker (1977: 116), egli costringe infatti l’osservatore a ‘leggere’ l’immagine al contrario, ovvero da destra verso sinistra; lo sguardo dell’osservatore si sposta così dalla lepre alla tazzina della moglie del cacciatore per poi incontrare, da ultimo, il piccolo leprotto che, con un cucchiaio in mano,

Con l’aggiunta del sostantivo “Haus” Hoffmann introduce, almeno nel testo, il consueto

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ambiente domestico, anticipando anche l’immagine della casa del cacciatore dell’ultima scena (Hoffmann 2008: 12).

viene bagnato sul naso dal caffè che fuoriesce dalla tazza . Quest’ultima 52

immagine dunque, forse più simile a una vera e propria ‘istantanea’, racchiude e porta a compimento almeno quattro azioni diverse; la presenza di tutti i personaggi nell’ultima scena della storiella sembra poi richiamare il mondo del teatro, in particolare quel momento in cui, alla fine di uno spettacolo, tutti gli attori salgono sul palco per congedarsi dal pubblico.

Poco sopra si accennava alla figura del leprotto come eroe della storiella, con particolare riferimento ai suoi tratti umani. Anche altre osservazioni sembrano confermare tale ipotesi, come ad esempio il fatto che ogni azione venga innescata proprio dall’animaletto: la storiella ha inizio nel momento in cui la lepre ruba il fucile e gli occhiali del cacciatore, e può concludersi nel modo in cui Hoffmann ha descritto e illustrato solo quando lo stesso animaletto minaccia il cacciatore con la sua enorme arma.

Se la lepre è il vero eroe della storiella, il cacciatore ne rappresenta l’oggetto di derisione. A suggerirlo è innanzitutto il titolo, nel quale Hoffmann si riferisce al presunto eroe con l’aggettivo “wild" (qui “impietoso”, “violento”). L’ironia che si cela dietro questo attributo emerge chiaramente dal testo e dalle immagini che lo accompagnano. Le dimensioni abnormi del fucile e in particolare della canna (così evidenti nelle immagini, ma del tutto assenti nel testo), ad esempio, sembrano voler colmare la totale mancanza di audacia del cacciatore. Lo stesso oggetto, così come le forbici del “sartore” nella storiella del Daumen-Lutscher (Hoffmann 2008: 15-16), è poi da intendersi come simbolo di potere e virilità, se non addirittura dell’organo sessuale maschile . I buffi occhialetti tondi che Hoffmann aggiunge al tipico 53

equipaggiamento per la caccia, sembrano poi suggerire una carenza visiva che di certo non si confà a un cacciatore; egli rappresenta così una figura comica di cui non solo la lepre, ma persino il suo autore (e con ogni probabilità anche

Questo è uno dei pochi casi in cui un elemento abbastanza importante nel testo non viene

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raffigurato sul piano delle immagini (si veda l’illustrazione in Hoffmann 2008: 14).

Questa ipotesi, come suggerisce la Könneker (!977: 116), è motivata dalla spropositata

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lunghezza della canna del fucile, così come viene raffigurata da Hoffmann nelle quattro immagini della storiella.

il suo pubblico) si fa beffa. Se la miopia, in questo contesto, è già di per sè motivo di derisione, essa lo diviene in modo ancora più evidente quando il cacciatore, nella prima scena, passa davanti alla sua preda senza accorgersene minimamente.

L’autore sembra poi servirsi dello stesso espediente per creare e motivare l’autentico scambio di ruoli nella seconda pagina della storiella. Nell’immagine, che nonostante la sua semplicità occupa gran parte della pagina, si vede il cacciatore dall’altra parte del fucile, quella che di norma spetterebbe alla preda; esattamente dietro di lui la lepre che, con una zampetta alzata e la lingua leggermente fuori dalla bocca, sembra presagire il suo imminente trionfo (Eckstaedt 1998: 92). Il cacciatore, al contrario, è impaurito e fugge letteralmente ‘a gambe elevate’ (si noti la gamba destra rialzata e spinta in avanti, Hoffmann 2008: 13); a suggerire il movimento tipico della ‘fuga’ contribuisce anche la particolare posizione delle mani e della piccola borsa che egli porta con se. Con ogni probabilità, il lettore non avrebbe mai pensato che l’indebolimento del cacciatore nella seconda vignetta (quando viene privato dei due unici oggetti che possono assicurargli forza e potere) si sarebbe poi trasformato in un autentico scambio di ruoli. D’altra parte lo si poteva forse dedurre dal fatto che la lepre non si limita a privare il cacciatore della sua pericolosa arma (gesto che sarebbe bastato per salvarsi la vita), ma si impossessa persino dei suoi occhiali, rendendo così esplicita la sua volontà non tanto di mettersi in salvo, quanto piuttosto di uccidere il cacciatore, o meglio di prenderne il posto.

Il gesto del leprotto, ovvero l’appropriazione degli oggetti che caratterizzano l’autorità, fa parte di quella che Anna Freud chiama 54

“Identifikation mit dem Aggressor” (“Identificazione con l’aggressore”, 55

Könneker 1977: 117): anche i bambini, come il leprotto, cercherebbero di annullare le differenze che li separano dagli adulti (nella statura, così come

Figlia di Sigmund Freud, è stata a sua volta un’importante psicoanalista, dedicandosi

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prevalentemente alla psicoanalisi infantile e allo studio dei meccanismi di difesa dell’io (Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Anna_Freud).

nella forza) indossando i loro vestiti e imitandone i gesti e gli atteggiamenti (ibid).

Tale teoria Hoffmann la illustra con incredibile semplicità nel suo disegno. Se quella del cacciatore in fuga è un’immagine che scaturisce dalla sua fantasia, per quella della lepre con il fucile l’autore sembra rifarsi all’iconografia tradizionale, con una piccola aggiunta: anziché far sì che lo sparo lo colpisca direttamente, Hoffmann dà al cacciatore la possibilità di salvarsi saltando a testa in giù nel pozzo. Al posto del cacciatore, la lepre finisce per colpire la tazzina da caffè della moglie (altra immagine ricorrente nella letteratura satirica del Biedermeier); a sua volta il caffè ancora bollente cade sul piccolo leprotto che si trova lì per caso; seppur involontariamente, dunque, la lepre colpisce il suo figlioletto.

A differenza di ciò che accade nelle altre storielle, qui il presunto aggressore resta impunito, e anche il dolore del piccolo leprotto è ben più lieve rispetto a quello provato da altri personaggi (i casi più estremi sono quello di Paulinchen e del piccolo Kaspar). Tutto ciò sembra dimostrare che la vera intenzione di Hoffmann, almeno in questa storiella, sia quella di prendersi gioco dell’autorità, facendone una figura comica.

A compensare la comicità del cacciatore sarà la crudele figura del ‘sartore' nella storiella successiva.