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La storia del Moretto (Negri 2010: 8) unisce, in modo tutt’altro che

scontato, elementi popolari e pedagogici a tematiche politiche o di attualità. A differenza delle altre storielle, qui Hoffmann presenta una situazione che con la vita quotidiana del bambino non ha nulla a che fare e che contiene elementi e personaggi che sembrano scaturire direttamente dalla fantasia dell’autore.

Il primo di questi personaggi è quello che compare nel titolo e nei primi versi della storiella: il Moretto (in tedesco “der schwarze Bube” ). Con 41

la sua figura, i primi due versi aprono uno spazio che è chiaramente al di fuori della casa e della città, e che sembra portare verso nuove esperienze. Proprio “vor dem Tor” passeggia, infatti, un bambino di colore (“ein 42

kohlpechrabenschwarzer Mohr” ), ovvero un essere umano che un cittadino 43

tedesco di metà ‘800 aveva forse avuto modo di vedere in una qualche enciclopedia. Il motivo della sua presenza non lo si conosce, ma poco importa trattandosi di racconti per bambini, dove si sa, tutto è possibile, anche senza

ivi: 8-11.

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letteralmente: “il furfante nero”.

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“davanti alla porta”.

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“un moro nero come il carbone, la pece e un corvo.” (Hoffmann 2008: 8, v. 2).

un perché. Almeno per un momento (peraltro l’unico dell’intero libro), piccoli e grandi lettori possono così immaginarsi un mondo lontano, esotico.

A riportare alla realtà famigliare e, si potrebbe osare, al mondo ‘tedesco’ concorrono invece numerosi altri elementi. Innanzitutto, si noti la vegetazione intorno al Moretto: al centro semplici fiori di campagna (apparentemente campanelle e violette), e ai due lati due alberelli da frutta. Niente foreste, palme o frutti esotici, dunque, bensì fiori e alberelli ‘domestici’ che dovevano abbellire il giardino di una qualche tenuta borghese o aristocratica. Se poi si osservano le illustrazioni nella parte centrale e inferiore della pagina, si noteranno rispettivamente almeno due autentici simboli della cultura tedesca, ovvero la bandierina gialla con l’aquila e un

Brezel (che compare in tre delle quattro pagine della storiella). Anche la

vegetazione, rappresentata ora da ghirlande e due piccoli alberelli (forse di mele), è quella tipica se non esclusivamente della Germania , perlomeno dei 44

paesi nordici.

Nel testo, il passaggio da un mondo all’altro è suggerito dal “Da” al quinto verso. Con questo avverbio vengono anche introdotti i tre bambini (o “Buben” , come li definisce il loro autore) che entrano in scena uno dopo 45

l’altro. Anche la loro comparsa, come quella del Moretto, non è motivata; la loro identità, invece, viene precisata dai loro nomi (Ludwig, Kaspar e Wilhelm) e dagli oggetti che ciascuno di loro porta con sé (rispettivamente una bandierina, un Brezel e un anello). Tornando al piano visivo, a caratterizzare in modo specifico i tre furfanti sono anche i loro indumenti, diversi per forma e colore. Essi provengono dunque da direzioni diverse, e diversi sono anche i loro vestiti e gli oggetti che portano con sé; ad unirli sono le grida e le risate che tutti e tre rivolgono al Moretto per via del colore scuro della sua pelle “so schwarz wie Tinte”, nera come l’inchiostro. Ad accomunarli, perlomeno sul piano visivo, è poi il gesto del ‘puntare il dito’;

Con i il termine ‘Germania’ si fa qui riferimento all’attuale suddivisone geo-politica del

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territorio. Ai tempi dello Struwwelpeter (prima metà del 1800), ovviamente, la “Germania” come la intendiamo noi oggi ancora non esisteva.

In italiano: “furfanti”.

tutti e tre, infatti, rivolgono il proprio indice verso il Moretto, rendendo la derisione ancora più evidente.

A fermare il loro atteggiamento è il “große Nikolas” nella seconda 46

pagina. Rispetto ai “drei Buben” e a tutti gli altri personaggi del libro, egli appare esageratamente grande, e così anche il suo calamaio; da subìto è chiaro, dunque, che si tratta di una figura autoritaria fantastica e allo stesso tempo unheimlich (terribile, paurosa). Anch’egli punta il dito (l’indice), ma 47

dal testo è subito chiaro che il suo ‘bersaglio’ sono proprio loro, i tre fanciulli. Nikolas si rivolge apertamente a loro (“Ihr Kinder”, Hoffmann 2008: 9, v.3) esortandoli a lasciare in pace il Moretto. Se da un lato egli interviene per difenderlo, dall’altro la motivazione che suggerisce sembra contrastare la sua buona azione: “Was kann denn dieser Mohr dafür,/Daß er so weiß nicht ist wie ihr?” . Con queste parole ‘l’essere di colore’ viene chiaramente 48

presentato come qualcosa di negativo e indesiderabile. Forse per la loro totale maleducazione, o forse proprio a causa di questo labile confine tra

“il grande San Nicola”. Nei paesi di lingua tedesca (ma anche in altri paesi europei quali

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Francia, Paesi Bassi, Belgio e Repubblica Ceca) San Nicola è molto popolare. Il suo culto sarebbe stato portato alla “Nuova Amsterdam” (oggi New York) dai coloni olandesi con il nome di Sinterklaas, da cui sarebbe poi nato il mito nordamericano di Santa Claus, che in Italia prende il nome di Babbo Natale (Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/ San_Nicola_di_Bari#Il_culto_all.27estero).

Così la definisce Könneker nella sua analisi. (Könneker 1977: 113.)

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“Che cosa può farci questo moro, se non è così bianco come voi?”.

!

difesa e discriminazione, i bambini continuano a ridere del Moretto, ancora più forte di prima (“ärger als zuvor”, Hoffmann 2008: 9, penultimo verso). Da parte sua l’autore, con l’aggiunta dell’aggettivo “arm” (“povero”) in riferimento al bimbo nero, vuole prendere le distanze da questo atteggiamento, suscitando così nel lettore un sentimento di compassione (il

Mitleid tedesco).

Nella terza pagina anche Nikolas sembra mutare il proprio atteggiamento, passando dall’esortazione a quelle che oggi chiameremmo ‘maniere forti’: egli, ora cattivo e furioso (“bös und wild”, ivi: 10, v.1), afferra i tre fanciulli e li immerge nel suo calamaio. La loro punizione, dunque, non consiste in una conseguenza diretta del loro gesto, ma viene eseguita da un’autorità ben precisa (quella di Nikolas), proprio come nella storiella del Daumen-Lutscher (Könneker 1977: 113). Quella che spetta ai tre furfanti è una pena per analogia: siccome avevano deriso il Moretto per la sua pelle nera, così anche loro vengono tinti di nero. Nell’ultima immagine i tre vengono così presentati ai piccoli lettori-ascoltatori, ai quali peraltro Hoffmann si rivolge direttamente (“Du siehst sie hier”, Hoffmann 2008: 11, v. 1) quasi a volerli indurre a ridere di loro, così come loro prima avevano riso del Moretto. Proprio come Nikolas, anche l’autore sembra così mostrare un atteggiamento ambivalente nei confronti del bambino di colore.

Tornando alla terza immagine, vediamo Nikolas che immerge i tre bambini nell’inchiostro,; l’unico a opporre resistenza è Kaspar, che anziché chiamare aiuto grida “Feuer” (“fuoco”), accentuando il minaccioso e allo stesso tempo incredibile aspetto del calamaio. Il primo a subire la terribile punizione è Wilhelm, per metà già dentro al calamaio, mentre Ludwig e Kaspar sono ancora in braccio al grande Nikolas; tutti e tre i furfanti sono poi raffigurati nella stessa posizione della prima pagina, con l’indice rivolto verso l’alto e con in mano ciascuno il proprio oggetto. Con questa particolare scelta l’autore ha forse voluto garantire alla scelta un minimo di credibilità, tentando di collocare la scena, per quanto possibile, su un piano più reale che fantasioso (Könneker 1977: 114). D’altro canto si potrebbe notare che, con il dito puntato verso il loro esecutore, i tre Buben sembrano proprio volersi prendere gioco di lui.

Nell’ultima scena i fanciulli appaiono ancora nella loro solita posizione, ma perdono ora ogni possibilità di realismo con il loro aspetto completamente nero che finisce per fargli perdere i loro tratti umani, facendoli piuttosto sembrare dei manichini o delle marionette (questo effetto viene suggerito soprattutto dal particolare degli occhi, qui più che altro dei buchi bianchi). Al di là del loro aspetto, i tre furfanti si trovano ora a camminare (o marciare) dietro al Moretto sullo stesso sentiero e in fila indiana. Con quest’ultima immagine, Hoffmann sembra confermare l’idea che avere la pelle nera sia una punizione; anche il riso, poi, sembra essere concesso (perlomeno al suo pubblico di piccoli lettori). D’altra parte, tuttavia, molti elementi concorrono a smentire questa ipotesi: innanzitutto il disegno del Moretto, l’unico che conserva le proprie caratteristiche distintive (i pantaloncini rossi e i tratti del volto); poi gli elementi di contorno, forse non proprio ‘esotici’ (gli unici

elementi riconducibili a un mondo lontano potrebbero essere gli uccelli che, tinti di nero e dunque privi di connotazioni specifiche, lasciano spaziare l’immaginazione del lettore) ma nemmeno così tipicamente tedeschi come quelli della prima pagina.

Al di là delle sue contraddizioni e di quelli che potrebbero essere i suoi riferimenti a questioni così lontane quanto attuali come il razzismo, la tolleranza e l’uguaglianza, il fascino di questa storiella è innegabile e sembra derivare non tanto dal mero intento educativo del suo autore, quanto da quegli elementi fantastici che la contraddistinguono.