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X. Die Geschichte vom fliegenden Robert

6. Gaetano Negri: cenni di una biografia intellettuale

6.1 Fanciullezza e adolescenza

di Lettere e Filosofia dell’Ateneo bolognese per la sua opera di insegnante e di studioso. Da questa breve biografia è chiaro che ciò che ha avvicinato la filosofa alla figura di Negri sono stati proprio i suoi scritti di carattere filosofico. Nonostante questo la monografia offre un ritratto piuttosto completo di questo personaggio, della sua vita, dei suoi scritti e della sua attività politica. Solo qualche paginetta dell’ampia monografia è riservata alla sua attività di traduttore, rimasta perlopiù nascosta dal suo interesse per la politica e per discipline in genere considerate ‘più alte’, come la storia e la filosofia.

Cercare di descrivere la figura di un traduttore significa conoscerne gli aspetti biografici e psicologici, e individuare le specificità della sua professione di traduttore, ad esempio qual è la sua madrelingua, se è solo traduttore o se esercita anche altre professioni significative, come il critico, il linguista, lo scrittore, se ha pubblicato delle opere, da quali lingue traduce ecc (Berman 2000: 58). Partendo da queste informazioni si potrà andare oltre, per arrivare al prodotto della traduzione e alla scoperta di quello che Berman chiama “l’orizzonte” di chi traduce (ivi: 64).

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6.1 Fanciullezza e adolescenza

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Gaetano Negri nacque a Milano l’11 luglio 1838, da una ricca famiglia dell’alta borghesia lombarda.

Il padre, Luigi, nato a Milano nel 1798, era uomo colto, patriota, frequentava il salotto della contessa Maffei e si occupava dei suoi fondi presso Abbiategrasso, più precisamente a Cassinetta di Lugagnano, accanto ad una sua villa. Nonostante i numerosi impegni, fu sempre intimamente legato al figlio Gaetano, sua gioia ed orgoglio, e con lui convisse fino alla morte, che lo colse nel 1890 all’età di novantadue anni.

La madre di Gaetano Negri, Giulia Vassalli, di nobile famiglia milanese, era una donna d’ingegno e colta come poche a quei tempi. Ancora giovane,

nel 1848, morì di tifo a Cassinetta, dov’è sepolta; preceduta nella tomba da una sua figlia, Carlotta, lasciò morendo i suoi due figli, Annetta di sedici anni e Gaetano di dieci.

Nel 1838, anno di nascita di Gaetano Negri, il popolo milanese aveva acclamato Ferdinando I. Tuttavia, letterati, poeti e pensatori iniziarono presto a rivedere le proprie posizioni, esprimendo pareri discordanti sull’imperatore. Nel frattempo, in tutte le terre italiane sotto l’impero austriaco, e particolarmente a Milano, l’opposizione al dominio straniero cresceva ogni giorno di più, e con essa anche un forte sentimento nazionale che dal 1820 al 1840 caratterizzò la poesia italiana. Per un imprevedibile succedersi di eventi, l’Italia poté presto liberarsi da quell’oppressione straniera grazie alla collaborazione di uomini di ogni regione, classe e partito politico.

Nel 1848-49 Milano era una delle città italiane meglio preparate a seguire il Piemonte nell’opera di liberazione e unificazione nazionale, e il popolo milanese ricorreva ad ogni mezzo per manifestare sentimenti liberali e nazionali: nessun cittadino entrava nei caffè frequentati da ufficiali austriaci e tutti si astenevano dal fumare per indebolire la rendita austriaca, essendo il tabacco monopolio del governo. D’altro canto, il governo austriaco respingeva petizioni, condannava a mezzo di tribunali straordinari, contribuendo così a rendere la reazione patriottica sempre più decisa. Agli inizi del 1848 si ebbero i primi conflitti sanguinosi fra cittadini e gruppi di soldati; in questo contesto, l’annuncio della rivoluzione di Vienna fu la goccia che fece traboccare il vaso. Milano insorse il 18 marzo di quello stesso anno, un giorno dopo rispetto a Venezia, e tutti i cittadini si armarono come poterono e accorsero alla difesa e all’attacco: Milano visse così i famosi cinque giorni di lotta.

Gli avvenimenti delle “Cinque Giornate” dovettero fare una certa impressione al piccolo Gaetano, o almeno questo è quanto traspare dalla vivacità con la quale egli rievoca la passione patriottica della sua città negli scritti più maturi. Egli, infatti, ricorderà sempre con commozione quel periodo “che fu il più glorioso in tutta la storia del risorgimento nazionale, perché la tenacia e la disciplina della volontà son cose più rare e più ammirabili degli eroici entusiasmi” (Negri 1904: 369). Nel 1898 dirà:

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Lo so che l’ideale della patria è oggi per molti cosa invecchiata, destinata a sparire nel più vasto ideale dell’intera umanità. Ebbene costoro, che parlano in nome dell’umanità, sono dottrinari inumani. […] Un uomo che non ami la patria è privo di una delle forze ispiratrici delle grandi e generose azioni […]. (ivi: 376-7)

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Negri conservò fino agli ultimi anni l’amore per la patria, ispirato in lui da un ambiente familiare e cittadino sano, dove sin da bambino è cresciuto e ha formato il proprio animo, la sua mente e il suo carattere.

Sia che Negri si dedichi a ricerche scientifiche, sia che, in età matura, giudichi opere letterarie o bellezze naturali, mostre di pittura, sempre, fino all’ultimo manoscritto traspare il suo amore per l’Italia e per la sua città: Milano. Fin da bambino fu molto affezionato alla Cassinetta, la solitaria casa di campagna circondata da giardini lussureggianti dove era solito cercare un meritato riposo anche negli anni più tardi, e la vecchia casa di Porta Romana, a Milano, dove trascorse quasi tutta la vita. Nutrì poi un sincero affetto per il Monte Rosa, la bella montagna che domina il piano lombardo, nel quale vide sempre “un gigantesco amico” (Negri 1907: 309, 326-7) dalle forme fantastiche, simili a quelle del suo amato Duomo. Allontanarsi da quest’ultimo per partire per il servizio militare non fu, infatti, cosa semplice. Negri continuò, tuttavia, ad interessarsi da lontano alle persone, agli avvenimenti, alla vita milanese, dedicando alla sua città gran parte del suo lavoro. Egli voleva che i milanesi e la loro vita politica e sociale fossero stimati da tutti gli italiani; anche per questo curò i restauri dei monumenti cittadini con passione, difendendoli da chi, al contrario, voleva demolirli o lasciarli cadere in rovina.

Negri fu dunque tra i primi a intuire che Milano era destinata dalla posizione geografica, dalle ricchezze naturali e dall’indole dei suoi abitanti a diventare una grande città, e proprio lui ne sarebbe diventato il principale artefice.

Amante dello studio fin da bambino, Negri dimostrò, durante i suoi studi presso il Liceo di Sant’Alessandro (oggi Beccaria), una certa predilezione

per le scienze naturali e per gli studi storici. Studiò poi giurisprudenza all’Università di Pavia ma non è certo che egli abbia poi ottenuto la laurea, non essendo oggi reperibili i registri di quegli anni. Inoltre, il padre, che aveva l’abitudine di conservare tutti i documenti riguardanti il figlio, non lasciò alcun diploma di laurea tra le carte di famiglia. Certo è che l’ambiente universitario pavese costituì un importante stimolo a partecipare alla guerra per l’indipendenza nazionale; egli abbandonò infatti l’università e non vi fece più ritorno; terminata la vita militare e compiuto insieme con la sorella un breve viaggio a Parigi, ebbe lezioni private di diritto dal professor Carlo Reale e studiò da sé lingue moderne. Negri conosceva infatti bene il francese, tanto da pronunciare in pubblico discorsi in quella lingua ; conosceva l’inglese, con 81

una finezza rivelata poi nel George Eliot; conosceva il tedesco, tanto è vero che possedeva, leggeva e citava molte opere tedesche; infine, altrettanto raffinata era la sua conoscenza del latino e del greco, tanto da tradurre nel suo ultimo volume, L’imperatore Giuliano l’Apostata, le opere scritte dall’imperatore in un greco primitivo. Laureato o no, egli era senza alcun dubbio una persona estremamente colta.

Più che gli studi scolastici, furono dunque le buone letture e le riflessioni a formare la sua mente. Egli scrive che, dopo aver trascorso un’adolescenza piena di “vaghe aspirazioni e di idealità confuse”, una sera, a diciott’anni, ebbe per caso fra le mani gli Etudes d’histoire religieuse di Renan, opera che determinò per sempre il suo orientamento razionalista. Anni dopo egli scriverà, infatti, che l’impressione di quella lettura gli è “rimasta nell’anima come un profumo che non svanisce” (Negri 1907: 279-80). In particolare due principi esposti nella stessa opera rimasero fermi in tutta la sua vita di pensatore: la persuasione della razionalità del mondo e il sentimento dell’idealità della vita. Sebbene Negri non lo dica esplicitamente, è probabile che proprio la lettura degli Etudes abbia generato in lui un forte

I pronipoti, in un’intervista a me rilasciata, riferiscono che la madre era solita leggere al

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loro bisnonno libri in francese, e che la stessa pratica sia stata portata avanti anche dai discendenti della famiglia (molti di quei libri sono ancora conservati nello studio della villa di Cassinetta, dove si trovano anche volumi in altre lingue, tra cui l’inglese, il tedesco, il latino e naturalmente l’italiano; quelli in francese sono tuttavia i più numerosi).

interesse per lo studio delle crisi psicologiche. Altre letture del Renan gli avevano poi rivelato i metodi della critica religiosa tedesca, influenzando definitivamente il suo pensiero; tuttavia, del celebre autore francese egli non condivise né la perfetta bellezza del suo stile poetico, né lo scetticismo e la credenza nella necessità dell’oligarchia intellettuale. La rivelazione del procedimento critico al problema religioso fu invece per Negri ragione di grande gioia, in quanto sembrava rispondere al suo amore del vero, dandogli l’illusione di aver trovato il modo per raggiungerlo; in realtà, tale rivelazione fu l’origine della contraddizione su cui si imperniò tutta la sua vita spirituale e del suo vivo interessamento per lo studio critico dei testi sacri.

Gli studi del giovane Negri, tuttavia, dovettero interrompersi quando, nel 1859, molti giovani lombardi, ma anche molti uomini maturi, varcarono il Ticino per combattere gli austriaci a fianco di Giuseppe Garibaldi. Il giovane Negri avrebbe voluto arruolarsi fra i garibaldini, ma il padre decise invece di inserirlo nella Regia Militare Accademia d’Ivrea come allievo di un corso aperto dal governo piemontese per formare nuovi ufficiali.

La vita militare di Negri (1859-1862) è descritta nelle lettere da lui inviate in quel periodo alla famiglia . Si tratta di circa cento lettere rivolte 82

quasi tutte al padre e, alcune, alla sorella Annetta e alla zia Nina Campari. Sono lettere vivaci e spigliate nelle quali il giovane descrive con spontaneità le proprie impressioni, emozioni, i propri sentimenti, l’amore per la famiglia, per la sua città e per la sua patria e tanto altro ancora.

Appena entrato all’Accademia, nell’aprile del 1859, Negri prova un’amara delusione: il futuro assessore scolastico giudica la sua istruzione alquanto lacunosa, avvertendo la mancanza di un percorso di studi ordinato. Nel frattempo Negri e i suoi compagni, frementi per il fatto che si ritrovavano rinchiusi nell’Accademia mentre altri combattevano per la patria, seguivano con ansia le vicende della guerra. Il 26 aprile l’Austria aveva dichiarato guerra

Molte di queste oggi si trovano nel Museo del Risorgimento di Milano, illustrate e in gran

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parte pubblicate da Francesco Novati e Michele Scherillo. In appendice (fig. 1) riporto la copia di una di queste lettere scritta di proprio pugno dal Negri, gentilmente donatami dal suo pro-nipote Antonio Nicola Negri.

a Vittorio Emanuele, invadendo il Piemonte. Il re, a sua volta, annunciò al popolo la guerra, affermando di avere una sola ambizione: essere il primo soldato dell’indipendenza italiana. È a questo punto che Napoleone III decide di intervenire, inviando il suo esercito in Piemonte e a Genova. All’Accademia giunge poi la notizia della battaglia di Montebello, seguita dalle vittorie di Garibaldi e dell’esercito francese sugli austriaci; il 5 giugno 1859 giunge una lettera di Luigi Negri che scrive al figlio: “Mio carissimo, Noi siamo liberi. […] La gioia della città è al colmo […]” (Del Vecchio Veneziani 1934: 34). L’otto giugno gli Austriaci si ritiravano e nello stesso giorno Vittorio Emanuele e Napoleone III entravano a Milano, accolti con entusiasmo dal popolo.

Negri intanto si lamenta di esser rinchiuso in collegio, senza aver potuto partecipare alla gioia di quegli istanti; vorrebbe che i superiori abbandonassero l’idea di non lasciar uscire nessuno come semplice soldato e gli concedessero, invece, di rinunciare ad un titolo a lui indifferente per poter finalmente provare le più belle e nobili emozioni.

Il suo più grande desiderio stava per essere realizzato: dopo la sanguinosa battaglia di Solferino (24 giugno 1859), l’esercito piemontese aveva bisogno di nuovi ufficiali e così, il 27 luglio di quell’anno, il Negri è promosso al grado di sottotenente nell’arma di fanteria e prende servizio nel 6° Reggimento, Brigata Aosta.

Ma ecco che una nuova delusione attende il neo-ufficiale: quando la liberazione dell’Italia sembrava ormai cosa fatta, Napoleone III stipulò con l’imperatore d’Austria l’armistizio di Villafranca. Furono giorni di dolore e di delusione per gli italiani e il 6° Reggimento, anziché combattere contro gli austriaci, venne mandato in guarnigione nelle più disparate provincie, tra cui Brescia, Pavia, Alessandria e Piacenza. Il sottotenente Negri passa l’inverno 1859-60 nella solitudine della campagna, dove a fargli compagnia sono i numerosi libri che si procura da Milano per dedicarsi ai suoi amati studi di storia dell’arte e di religione, riempiendo di riassunti e di traduzioni fascicoli su fascicoli.

Nonostante lo studio, il giovane ufficiale comincia a trovare noiosa la vita di guarnigione. Poco dopo viene promosso al grado di luogotenente: a lui

e ai suoi compagni il nuovo Regno d’Italia chiede ora di affrontare il brigantaggio che stava colpendo tutto il Mezzogiorno. Il 6° Reggimento venne mandato a Napoli, ma Negri dovette fermarsi a Genova come aiutante del generale Ricotti. Con dolore vede partire i compagni e in una lettera al padre rivela la sua sofferenza: “Io ti do il consiglio di riposare ormai tranquillissimo sulla mia sorte: credimi, vi è una fatalità che mi impedisce di sentire il fischio delle palle” (Novati 1903: 6).

Negri poté partire solo il 30 aprile del 1861, giungendo a Napoli il 2 maggio. Con entusiasmo descriveva al padre le meraviglie di quello che amava definire un “paradiso terrestre”. Inizialmente i momenti liberi furono piuttosto numerosi, così decise di dedicarsi alla contemplazione del paesaggio, allo studio dell’ambiente e all’ammirazione dei monumenti. Ciò che più cattura l’attenzione del giovane, tuttavia, sono soprattutto le condizioni intellettuali e morali della popolazione napoletana. Scrivendo le sue impressioni al padre, si mostrava cauto nel valutare gli uomini e le cose che lo circondavano. Le osservazioni fatte allora da Negri possono sembrare ovvie oggi, ma di certo non dovevano esserlo ai quei tempi. Egli notò, in particolare, che quella gente non leggeva i giornali, guardava con diffidenza i soldati e da lungo tempo era sottomessa al governo borbonico. Negri, da critico attento e premuroso, non manca di mettere in luce difetti e qualità di quelle popolazioni e delle loro terre, dimostrando un intuito politico sufficiente per comprendere e amare l’Italia in tutta la sua varietà. Egli conserverà quelle impressioni per tutta la vita, ricordando di aver visto un paese povero, senza strade né commerci, dove la miseria di molti si scontrava con la ricchezza di un paio di famiglie.

Questo periodo di riflessioni e di svago, tuttavia, non durò a lungo: il generale Ricotti venne improvvisamente chiamato a Torino e Negri, suo aiutante, dovette accompagnarlo, premuroso di fare rientro a Napoli quanto prima per liberare definitivamente il Mezzogiorno dalla piaga del brigantaggio. Pur ritrovandosi in mezzo a tanta brutalità e ferocia, il Negri non cessa mai di dar prova della sua meravigliosa tranquillità d’animo, anche se, a lungo andare, quella vita cominciava ad annoiarlo “[...] sospiro l'istante

di abbandonare questa atmosfera di delitti e di bassezze per respirare un'aria più pura e più confacente all'indole mia” . 83

Il Negri dedicò alla patria tutta la sua adolescenza, distinguendosi in diverse occasioni per il suo coraggio e la sua nobiltà, tanto da conseguire ben due medaglie d’argento al valore. La sua devozione alla patria, tuttavia, fu messa a dura prova; il 7 aprile 1862, scontrandosi con una banda di briganti, il giovane milanese dà prova di coraggio e abilità strategica, ma viene gravemente ferito ad una gamba. Abile nel comando, aveva costretto il nemico a fuggire, guadagnandosi il rispetto e l’entusiasmo del popolo. Tuttavia, il Negri è rattristato dalla notizia della morte di alcuni giovani che avevano combattuto al suo fianco, e in una lettera del 14 aprile scrive:

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Quegli otto soldati che rimasero vittima dei colpi del nemico li ho sempre davanti agli occhi. Erano giovinetti, pieni di avvenire e di speranze, […] pronti a gettarsi ad un mio cenno incontro a qualunque pericolo; e caddero così miseramente! (Del Vecchio Veneziani 1934: 40).

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Leggendo queste parole piene di tenerezza e commozione, volte ad esaltare l’eroismo altrui con un’assoluta incoscienza dell’eroismo proprio, non stupisce che Negri seppe guadagnarsi la devozione dei soldati, l’amicizia degli ufficiali e persino la cortesia di tutta la società napoletana.

Nelle lettere scritte dopo quel terribile avvenimento, Negri appare totalmente stanco di quella vita e poco dopo chiederà una licenza con l'idea di dar poi le dimissioni. Scrive di questo al padre in una lettera: “Mi sorride l'idea di venirmi a godere la pace della famiglia. Ormai sento un gran bisogno di riposo e, più che fisico, morale…” (Negri 1905). Il 12 luglio 1863 la sua volontaria dimissione venne finalmente accettata. Giovane d’anni, ma già maturo sia per gli studi fatti sui libri che per la vita di eroismo vissuta, Gaetano Negri poté così ricongiungersi al suo Duomo.

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Sono parole tratte da una delle tante lettere che egli scrisse al padre, riportate da Michele

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6.2 La vita pubblica

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Se alla patria dedicò dunque la sua adolescenza, alla sua città dedicò tutta la vita. L’attività amministrativa e politica di Negri inizia precisamente nel 1873, con l’elezione a consigliere comunale, e termina nel 1902 con la sua morte.

In quel periodo iniziava a diffondersi in tutta Italia l’istruzione e le sue varie parti cominciavano a conoscersi e a comprendersi. Tuttavia, la vita parlamentare era ancora fondata sull’opportunismo e fortemente corrotta, sebbene non mancassero anche uomini onesti e di valore come Negri, il quale si dedicò totalmente al bene del suo paese.

Egli ricoprì incarichi alti ma mai si lasciò corrompere da quella vita pubblica; ad impedirglielo era il suo carattere dignitoso, ma soprattutto il suo temperamento di studioso, che lo portava ad esaminare con rigorosità scientifica tutte le questioni pratiche e teoriche, perseguendo sempre e soltanto la pura ricerca del vero.

I risultati delle sue indagini le esprimeva poi in modo chiaro e aperto nei suoi discorsi. Il Negri, infatti, fu da sempre un affascinante oratore; le sue parole erano semplici, persuasive, sempre elevate e varie, e con le sue idee brillanti e sapientemente espresse riusciva a stabilire una corrente di simpatia fra sé e il proprio pubblico. Tuttavia, ciò che più affascinava era la sincerità assoluta che traspariva dai suoi profondi occhi azzurri, dalla sua parola, e che trasmetteva il suo amore per il vero. La sua particolare eloquenza conquistava gli ascoltatori anche nelle società scientifiche, nei circoli letterari, nelle assemblee, nei teatri e, naturalmente, nelle sedute della Camera e del Senato. Persino il noto editore e amico del Negri, Ulrico Hoepli, parlava con entusiasmo di questo “eccellente e straordinario oratore”, tanto da chiedergli di scrivere un “manuale dell’oratore”. Negri, dopo mesi passati nel vano tentativo di comporlo, gli risponde: “[…] Se tu vuoi fare un discorso, pensa