2. Der Struwwelpeter
2.6 Struttura
del loro stesso padre. Così, servendosi del fascino che, a quell’epoca, la cultura egiziana sembrava esercitare, i tre autori hanno ripreso le storielle dello Struwwelpeter originale ambientandole nell’Egitto dei faraoni (Hlawacek 2008: 9).
Tuttavia, il più attuale rifacimento di Pierino Porcospino è quello che appare negli anni della contestazione studentesca nella seconda metà del secolo scorso. Nell’ottica giovanile i bersagli da colpire sono rimasti gli stessi: perbenismo, ipocrisia ed egoismo. Nel 1969 esce così a Monaco il libretto satirico Der Struwwelpeter neu frisiert (“Lo Struwwelpeter rapato di fresco”, Stocchi 1986: 22) seguito dal sottotitolo “Storie moleste e disegni buffi per cittadini sino ai cent’anni, secondo Heinrich Hoffmann” (ibid). Scritto da Eckart e Rainer Hachfeld e pubblicato dalla stessa casa editrice che aveva dato alle stampe anche l’originale di Hoffmann, ovvero la Rütten & Loening, il libretto compare con lo studente berlinese Rainer Langhans sul frontespizio; egli era noto per aver guidato una protesta contro la stampa tedesca nel 1968 assieme all’amico Fritz Teufel (ibid). Nella prima pagina, poi, compare il consumatore tedesco Michele su cui piovono, versati da angeli, i simboli della società del benessere: lavatrici, televisori, automobili e pellicce. Il testo che accompagna le illustrazioni riprende quello originale, riproponendolo sotto forma di parodia (ivi: 22-3).
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2.6 Struttura
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Il libro illustrato dello Struwwelpeter, come si è accennato nei capitoli precedenti, consiste in un ensemble di singole storie collegate tra loro non solo per mezzo dei contenuti e dei medesimi intenti pedagogico-politici, ma ancor più attraverso la loro struttura formale.
Non si riesce qui a dire in una riga o poco più per ciascuna poesia che cosa succede, anche in una specie di schematico riassunto. Dopo una pagina di introduzione, la prima storia (l’unica a non avere un titolo) è proprio quella di Struwwelpeter, un bambino dispettoso che non si taglia le unghie e non si pettina, e che per questo viene preso in giro. A questa seguono Die Geschichte
vom bösen Friderich (La storia del cattivo Federigo), storia di un bambino
particolarmente violento e capriccioso che alla fine finisce a letto, morso dal cane che aveva bastonato e costretto a bere un’amara medicina e Die gar
traurige Geschichte mit dem Feuerzeug (La tristissima storia degli zolfanelli), che racconta la tragica fine della piccola Paulinchen che, rimasta
a casa da sola, inizia a giocare con un fiammifero e al termine della storia prenderà fuoco, riducendosi a un mucchietto di cenere. Abbiamo poi Die
Geschichte von den schwarzen Buben (La storia del moretto), che narra
invece di un bambino di colore deriso da altri tre bambini che verranno poi puniti dal grande Nikolas, il quale cercherà di istruire i tre monelli immergendoli nel calamaio e tingendoli di nero. La quinta storia, Die
Geschichte vom wilden Jäger (La storia del fiero cacciatore) racconta di un
cacciatore impacciato che parte con il suo fucile a caccia di lepri; proprio una lepre lo farà scappare a gambe levate impossessandosi del suo fucile, fino a quando il cacciatore non si getta dentro un pozzo per sfuggire allo sparo dell’animale. A questa segue poi la Geschichte vom Daumenlutscher (La storia
del bambino che si succhia i pollici), ovvero la storia del piccolo Konrad,
punito atrocemente da un sarto solo per essersi succhiato il pollice. Die
Geschichte vom Suppen-Kaspar (La storia della minestra di Gasparino) è
invece la triste storia di un bambino sano e paffutello che, nonostante ami mangiare, all’improvviso rifiuta la minestra e finisce così per morire di fame. A questa segue poi Die Geschichte vom Zappel-Philipp (La storia di Filippo che
si dondola), il cui protagonista è invece un bambino piuttosto irrequieto che
fatica a stare composto a tavola e alla fine finisce per terra rovesciandosi addosso tutta la tavola imbandita. Die Geschichte vom Hanns Guck-in-die-Luft (La storia di Giannino Guard’in aria) è il racconto di un bambino sognatore e dunque sempre distratto, che a causa della sua sbadataggine e della sua
trasognatezza cade in un fiume; due uomini lo salvano, ma persino i pesci lo deridono. L’ultima storia è Die Geschichte vom fliegenden Robert (La storia di
Roberto che vola) e racconta di come, durante un temporale, invece di
rimanere in casa, Robert decide di uscire e di sfidare la tempesta; il vento però è così forte che il bambino si alza in volo con il suo ombrellino fino a scomparire.
Quasi tutti i racconti seguono lo stesso identico schema: esposizione, intreccio ascendente attraverso l’azione dell’eroe, peripezia e confronto con le sue conseguenze (ovvero con la rispettiva punizione), ed epilogo (Könneker 1977: 86). Tale struttura, tuttavia, non sempre coincide con la ripartizione delle strofe, la cui concisione riflette piuttosto la brevità delle azioni dei vari personaggi.
Nell’introdurre ciascuna storiella, Hoffmann utilizza diversi espedienti che, al contempo, rivelano il suo giudizio sull’eroe in questione. Nella storia di copertina e in quella che segue del “cattivo Federigo”, ad esempio, egli propone un’immagine piuttosto negativa dei due eroi: nel caso dello Struwwelpeter non rinuncia perfino a invettive dirette, mentre per il secondo eroe preferisce dimostrarne la principale caratteristica (“arger Wüterich”, Hoffmann 2008: 3) riportando, uno dopo l’altro, i suoi misfatti (Könneker 1977: 87).
Diverso è invece il caso del “Suppen-Kaspar”. Qui viene presentata innanzitutto la buona condotta del protagonista (“Der Kaspar, der war kerngesund…”, Hoffmann 2008: 17), in contrasto con il suo atteggiamento successivo. Un’accezione negativa hanno poi i nomi di altri due personaggi: “Daumen-Lutscher” (in italiano: “il bambino che si succhia i pollici”) e “Zappel-Philipp” (“Filippo che si dondola”). Questi, oltre a connotare in modo negativo i due eroi, anticipano quello che sarà il divieto imposto loro e la conseguente punizione (Könneker 1977: 87).
Una posizione più neutrale da parte dell’autore è ravvisabile nelle storielle dei “schwarzen Buben” e del “wilden Jäger”, i cui epiteti, oltre a rivelare il giudizio dell’autore, anticipano in un certo senso l’intera vicenda.
Solo nella storia di Paolina Hoffmann si limita anzitutto a dipingere la situazione iniziale (“Paulinchen war allein zu Haus…”, Hoffmann 2008: 6).
Alla prima fase di esposizione segue poi il punto di svolta della vicenda, il suo momento cruciale, spesso introdotto dall’avverbio “da” (“Da kam der große Nikolas”, ivi: 9, “Da kommt der wilde Jägersmann”, ivi: 14, ecc.). In alcuni casi non mancano anche altri elementi che contribuiscono ad accrescere la suspense dei racconti, come ad esempio il tempo minaccioso che irrompe in “Roberto che vola”. In generale, si può dire che il momento cruciale di ciascuna storia coincide con l’entrata in scena di una figura autoriale (ad esempio “il maestro Nicolò” o il “sartore”), di un antagonista (la lepre e il cane), o di elementi scatenanti (il fuoco, l’acqua e il vento, Könneker 1977: 87).
Al misfatto o, per meglio dire, alla catastrofe, segue, infine, l’epilogo; negli ultimi versi di ciascuna storiella, l’autore mostra le conseguenze di quelle azioni capricciose e pericolose dei loro protagonisti, sempre attento a trasmettere una morale ben precisa. Fa in parte eccezione la storia del “fiero cacciatore”, nel cui finale la lepre manca il proprio bersaglio e finisce per causare due altre azioni piuttosto comiche: la tazza di caffè nelle mani della moglie del cacciatore va in pezzi e finisce, insieme al caffè bollente, sul naso del piccolo leprotto (ibid).
Particolarmente drammatica è, invece, la storia di Paolina, la cui suspense si deve alla sua totale innocenza e inesperienza in contrasto con la consapevolezza del lettore, che può facilmente intuire la catastrofe che seguirà. Paolina, infatti, prende veramente fuoco e muore carbonizzata, mentre i due gattini chiamano aiuto invano. Nel finale vengono presentati i resti di Paolina, e il ‘grido di aiuto’ dei due animaletti si trasforma in un vero e proprio lamento.
Un caso a parte è poi rappresentato dalla storia di Gasparino: qui la tensione è provocata dal cambiamento involontario dell’eroe che, come nel caso di Pierino, assume un atteggiamento del tutto passivo. Tuttavia, se di Pierino viene mostrato solo il risultato finale, di Gasparino possiamo seguire il
cambiamento in ogni sua fase, strofa dopo strofa. Si tratta forse dell’unico racconto che non raggiunge un vertice, un momento cruciale, ma piuttosto il punto più basso in assoluto (in tedesco: “Tiefpunkt”), ovvero la morte (Könneker 1977: 88).
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2.7 Caratterizzazione dei personaggi
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Ogni storia dello Struwwelpeter ha come protagonista un bambino, eccetto le storie degli “schwarzen Buben” e del “wilden Jäger”. Non mancano, naturalmente, anche figure di adulti che se ne stanno lì senza fare nulla (“dabei stehen” ), come ad esempio i genitori di Filippo, o che, come il 21
sartore o Nicola, intervengono a punire il bimbo capriccioso e disubbidiente. In generale, tuttavia, si può dire che la vera protagonista dell’intero libricino sia la piccola famiglia borghese tedesca della prima metà del XIX secolo. In un clima di generale progresso e di cambiamenti epocali in seguito alla Rivoluzione industriale, la famiglia patriarcale viene presto sostituita da una famiglia di tipo nucleare, composta unicamente dai genitori e dalla loro prole.
Se la famiglia patriarcale, nella sua struttura, era la stessa in tutte le classi sociali, si viene ora a creare una differenza sostanziale tra i costumi di vita borghesi e quelli aristocratici. Per quanto concerne la sfera famigliare, la famiglia di tipo aristocratico appare caratterizzata da rapporti freddi e distaccati; tale distanza emotiva si riflette anche nella struttura fisica dei castelli aristocratici. Quella borghese è, al contrario, una classe ben più affezionata alla propria sfera privata, di cui custodisce gli intimi rapporti tra i suoi membri, in particolare di quello tra adulti e bambini. Nonostante il suo attaccamento alla sfera privata, la borghesia non rinuncia alla propria ascesa
Si tratta dell’espressione con cui più volte Hoffmann si riferisce ai genitori dei protagonisti
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