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Paulinchen è l’unica bambina dello Struwwelpeter, e la storia può considerarsi da più punti di vista come l’opposto di quella del cattivo Friederich.

Il testo è suddiviso in otto strofe di diversa lunghezza che hanno come protagonisti ora la stessa Paulinchen, ora i suoi due gattini. Ad essere descritte sono quattro scene distinte, che nelle illustrazioni appaiono separate da foglie di vite (Könneker 1977: 104).

Hoffmann presenta la situazione in soli due versi: Paulinchen war allein

zu Haus,/Die Eltern waren beide aus. L’assenza dei genitori rende

particolarmente allegra e felice la bambina, che saltella per la stanza “mit leichtem Mut und Sing und Sang” . Il movimento incontrollato e spensierato 37

viene disprezzato da Hoffmann non solo in questa, ma anche in altre storielle (quella di Philipp che cade dalla sedia, quella di Hanns che guarda in aria e, infine, quella di Robert che vola). Anche Paulinchen, dunque, non sembra

Hoffmann 2008: 6-7.

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“a cuor leggero, canticchiando” (Hoffmann 2008: 6, v. 4).

essere elogiata dal suo autore; al contrario, egli sembra considerarla una bambina sventata, imprudente. Considerando poi i numerosi fiocchetti rossi che le abbelliscono i capelli e il vestito, si può pensare che si tratti anche di una bambina civettuola e schizzinosa (così raffigurata, infatti, non la si può di certo immaginare a giocare nello stesso giardino di Friederich). Nessun interesse pare invece avere per la bambola che distrattamente tiene con la 38

mano sinistra, quasi trascinandola per il pavimento. Nella seconda immagine la stessa bambola giace addirittura al suolo, per poi scomparire del tutto nelle ultime due vignette. Non più dunque soldatini o armi come per il bambino dell’introduzione o Friederich, ma un giocattolo carico di femminilità, il primo e unico di tutto il libricino (fatta eccezione la bambola che, insieme agli altri doni, viene lasciata cadere dall’angioletto di sinistra nella prima pagina). Anche se l’autore raffigura la bambola solo nelle prime due immagini della storiella, l’importante ruolo del giocattolo è evidente, e lo era anche nella società del Biedermeier: fin da piccole le bambine dovevano essere preparate ai loro futuri doveri di madri.

Alla sua bambola, tuttavia, Paulinchen sembra non tenere affatto; ciò che invece cattura la sua attenzione è la scatoletta di fiammiferi (“ein Feuerzeug”, Hoffmann 2008: 6, v.6) appoggiata sul comò dritto davanti a lei. Il fatto che questa sia “nett anzusehen” (ovvero “piacevole da guardare”) lascia pensare che i fiammiferi fossero qualcosa di nuovo, almeno per i bambini alla prima metà del XIX secolo. La storia di Paulinchen è dunque la prima in cui l’eroe (qui eroina) incontra uno dei quattro elementi, il fuoco; più avanti, altri eroi dovranno fare i conti anche con la terra, l’acqua e l’aria. Hoffmann, che raramente lascia parlare i suoi piccoli personaggi, concede a Paulinchen ben quattro versi di monologo (gli ultimi quattro della prima strofa); nelle altre strofe saranno invece i gattini (Minz e Mauz) gli unici a parlare. Proprio come nella storia del bambino ‘anoressico’ (Kaspar) e di quello che vola (Robert), l’autore si serve delle parole di Paulinchen

Hoffmann aggiunge la bambola solo con l’ultima edizione. (Hoffmann 1994: 6-7; Eckstaedt

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solamente per sottolineare la sua disubbidienza (Könneker 1977: 106). Attraverso di esse, tuttavia, egli chiarisce al lettore (o ascoltatore) anche quali siano le intenzioni della bambina: di lì a poco, infatti, accenderà un fiammifero così come spesso faceva la mamma: Ich zünde mir ein Hölzchen

an,/wie’s oft die Mutter hat getan. Lo sbaglio di Paulinchen, tuttavia, non

consiste solo nel fare qualcosa che non avrebbe potuto fare, ma forse ancor di più nel considerare come un giocattolo (“Das muß ein trefflich Spielzeug sein” ) un oggetto che ha, invece, una funzionalità ben precisa. Senza alcuna 39

esitazione, la bambina accende così un fiammifero, senza preoccuparsi nemmeno dei due gattini che stanno davanti a lei prima con una, poi con tutte e due le zampe alzate.

I due gattini, al contrario, si preoccupano per la bambina e la mettono subito in guardia presentandole l’inevitabile e triste conseguenza del suo gesto (“laß stehen! sonst brennst du lichterloh!”, Hoffmann 2008: 6, ultimo verso della seconda strofa). I due animaletti rappresentano chiaramente i genitori della bambina, così come il cane di Friederich rappresentava l’autorità del padre. Anche i gatti, inoltre, appaiono qui come veri animali domestici, nonostante spesso siano raffigurati come figure demoniache. Come si è visto nell’analisi dello schema metrico-ritmico (capitolo 3.2), i versi dedicati ai gattini si distinguono per la presenza di soli tre arsi (a differenza dei quattro arsi dei versi di Paulinchen), fatta eccezione per quelli che esprimono un avvertimento o che chiedono aiuto (sempre gli ultimi due delle strofe dedicate ai gatti), nei quali ritroviamo di nuovo quattro accenti.

A differenza del cane di Friederich, tuttavia, i gattini sono condannati a una totale assenza di potere o di capacità di intervento; in questo senso, si potrebbe pensare ad una parodia della funzione dell’antico coro, recuperato e reinventato da Schiller nell’opera Die Braut von Messina (La Sposa di

Messina, Könneker 1977: 108). Proprio come il coro nel teatro antico, così

anche i gatti non possono aiutare l’eroe, nel nostro caso l’eroina: questo/a deve soffrire, colpevole per essere andato/a contro l’autorità umana o

“Deve essere un ottimo giocattolo”.

divina. Il coro, allora, lo/a accompagna, cerca di metterlo/a in guardia per poi rammaricarsi per il triste destino al quale la sua punizione lo/a condanna. Hoffmann riprende il modello classico inserendolo nell’ambiente tutto profano della casa e della famiglia, dove l’eroina è una piccola bambina, e il coro è rappresentato da due gatti. Il loro grido “Miau-Mio” sembra poi sostituire il canto degli uomini, finendo per ridicolizzare ancora una volta la funzione dell’antico coro (ivi: 109).

Minz e Maunz mettono in guardia l’eroina, anticipando la sua triste fine; ella, tuttavia, non presta loro ascolto e, dopo aver acceso un fiammifero, ne contempla le luci e i rumori in tutta felicità. È interessante notare che, nei rispettivi versi, l’autore sembra rivolgersi direttamente ai bambini che stanno guardando i suoi disegni: “Grad wie ihr’s auf dem Bilde schaut” (Hoffmann 2008: 6, terza strofa, v.4). A questo punto i due animaletti ricordano a Paulinchen il divieto della madre, ordinandole di gettare via il fiammifero. Ma è troppo tardi: nella terza immagine lei è già tutta in fiamme, e la sua posizione (con le braccia alzate verso l’alto e solamente un piede appoggiato a terra) ricorda quella di Friederich mentre viene morsicato dal cane.

Per descrivere il corpo della bambina che brucia come inevitabile conseguenza del suo ‘gioco’, Hoffmann ha bisogno di soli quattro versi, mentre nel raffigurare Paulinchen intenta a giocare con il fiammifero ne aveva impiegati ben dodici (racchiusi nelle ultime due strofe della prima pagina), descrivendo l’azione nel dettaglio. Per una scena così drammatica, con il corpo della bambina in fiamme, Hoffmann preferisce una forma più laconica (“Es brennt die Hand, Es brennt das Haar,/Es brennt das ganze Kind sogar”, ivi: 7, prima strofa, vv. 3-4), lasciando che a descrivere la graduale

distruzione del corpicino (dalle mani e dai capelli sino al corpo intero) sia soprattutto l’immagine.

Senza preoccuparsi per la loro stessa vita, Minz e Mauz gridano aiuto, ancora una volta invano. La loro immobilità sembra riflettersi anche nella loro posizione: nella terza immagine, i due appaiono in una posizione frontale rispetto a chi guarda il libro, una posizione che quasi ricorda quella del crocifisso, con le due zampette anteriori aperte e rivolte verso l’alto.

Nella quarta scena, dell’eroina non è rimasto quasi nulla, se non un mucchietto di ceneri ancora fumanti: “Ein Häuflein Asche bleibt allein/Und beide Schuh, so hübsch und fein.” (ivi: 7, terza strofa, vv. 3-4). Lì accanto i due gattini, con la stessa zampa che all’inizio alzavano verso la bambina, ora si asciugano le lacrime con un fazzoletto giallo. Un particolare piuttosto macabro è poi rappresentato dai due fiocchi che adornano le loro code, gli stessi fiocchi che prima adornavano i capelli e il vestito di Paulinchen. Nei due versi centrali della strofa, non troviamo più un avvertimento o un grido di aiuto come in quelle precedenti, ma un vero e proprio appello ai ‘poveri genitori’: “wo sind die armen Eltern? wo?” (ivi: ultima strofa, v.4). Dalle parole così come dalle immagini è dunque evidente come il gioco sia tristemente finito. I due gattini piangono ininterrottamente, creando, con le loro lacrime, due piccoli ruscelli che racchiudono in un cerchio le scarpette

rosse della bambina. L’immagine viene resa nel testo con una similitudine la cui pertinenza pare piuttosto discutibile: “Und ihre Tränen fließen/Wie’s Bächlein auf den Wiesen” (ivi: ultima strofa, vv. 5-6). Letteralmente si potrebbe tradurre come: “e le loro lacrime scorrono/come un ruscello nel prato”. Tuttavia, in tedesco esiste anche l’espressione “ein Bächlein machen”, utilizzata per lo più dai bambini e che significa “fare la pipì”. Ecco che Bächlein, in questo suo altro significato e nel contesto entro il quale Hoffmann la inserisce, finirebbe per suscitare nel piccolo lettore-ascoltatore sensazioni del tutto inappropriate.

Al di là di tutto, Hoffmann riesce ancora una volta a trasmettere una morale ben precisa: chi gioca con il fuoco prima o poi si scotta, o meglio, brucia.