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Anche La storia di Filippo che si dondola (Negri 2010: 18) ha lo stesso oggetto di quella precedente: la buona condotta a tavola. Al centro del racconto, tuttavia, non c’è più solo il cibo, quanto piuttosto l’intero ‘rito’ del pasto.

L’intera famiglia è riunita a tavola (unico caso in tutto il libro) per consumare il pranzo o la cena; dal loro abbigliamento e dell’abbondanza di

Hoffmann 2008: 18.

vivande sul tavolo è evidente che, ancora una volta, si tratta di una ricca famiglia borghese. A turbare la compostezza di questa famiglia “per bene” è Philipp, un bambino che, come tanti altri della sua età, non riesce a stare composto, e alla fine cade a terra rovesciandosi addosso tutto ciò che è sul tavolo. Come fa notare Könneker (1977: 125-26), a essere rappresentata è la tipica famiglia borghese ottocentesca, notevolmente ridotta rispetto alle famiglie patriarcali prima della Rivoluzione Industriale (come suggeriscono, peraltro, le ridotte dimensioni della tavola), ma ancora chiaramente strutturata intorno all’autorità paterna.

La posizione dei membri della famiglia intorno al tavolo diviene in questo senso emblematica: padre e figlio sono seduti l’uno di fronte all’altro, mentre la madre siede tra i due. La sua posizione intorno al tavolo, dunque, rispecchia quelli che sono il suo ruolo e la sua posizione all’interno della famiglia. Inerte e sottomessa, davanti all’atteggiamento del figlio ella si limita a lanciargli un’occhiata. Ben più minacciosa e intimidatoria appare, invece, la figura del padre, che sembra battere un colpo sul tavolo tenendo in pugno un coltello (rivolto verso l’alto). Nonostante ciò, Philipp vuole sfidarlo e, ignorando del tutto le sue parole, continua a dondolarsi sulla sedia. Quello che viene rappresentato è, dunque, un confronto diretto padre-figlio che nelle altre storielle Hoffmann ha sempre voluto evitare, sostituendolo piuttosto con un gesto disubbidiente o un banale capriccio del bambino.

Il testo si apre proprio con le parole del padre Ob der Philipp heute

still/wohl bei Tische sitzen will? (Hoffmann 2008: 18, vv. 1-2); anche se si

dice (nei versi 2 e 4) che egli stia parlando a Philipp in tono serioso, l’uso della terza persona (“der Philipp”) sembra suggerire che con quelle parole egli si stia contemporaneamente rivolgendo anche alla madre e allo stesso lettore (Könneker 1977: 126). In questo senso si potrebbe dire che qui Hoffmann parli al lettore attraverso il personaggio del padre. Con l’avverbio di tempo heute (“oggi”), inoltre, è evidente che si tratta di una situazione quotidiana, che si ripete ogni giorno; grazie a questo espediente, Hoffmann

dà la possibilità al lettore-ascoltatore di sentirsi anch’egli parte di quella famiglia.

Forse più marginale persino rispetto a quello del lettore è il ruolo che in tutta la scena spetta alla madre: inerte e completamente sottomessa dal marito ella sembra reagire solo quando il bambino, nella terza scena, cade per terra completamente coperto dalla tovaglia e circondato dal cibo e dagli oggetti andati in frantumi. È a questo punto che la madre scatta in piedi, mentre il padre, anch’egli in piedi, alza le mani verso il cielo infuriato e allo stesso tempo ben attento a non calpestare nulla (si noti la gamba destra alzata).

Il climax descritto nel testo, che culmina con l’immagine di Philipp a terra, ricoperto dalla tovaglia e dalle cose che insieme a lui sono cadute, viene sapientemente reso anche nelle immagini. L’espediente che Hoffmann utilizza, tuttavia, è ben più modesto e implicito; per notarlo occorre allora spostare l’attenzione dal testo alle immagini, dal generale al dettaglio. In particolare, bisogna osservare con più attenzione ciò che pende sotto ai lati di ciascuna immagine; nella prima si noteranno così una bottiglia di vino, salumi e pesci, mentre nella seconda della frutta, del pane e una caraffa da tè accompagnata da una tazzina. Con questi disegni è come se, da un lato, l’autore passasse dai secondi piatti alla frutta oppure dal pranzo alla merenda. Dall’altro, se le prime sono cibarie e bevande ricche e appetitose, quelle della seconda immagine sono più che altro sane e leggere. Volendo seguire questa seconda interpretazione, si può allora affermare che il climax che Hoffmann ricostruisce nei suoi disegni non è più un clima ascendente, ma discendente, che parte dalle cose più belle e desiderabili per culminare con l’immagine di due verghe che, con ogni probabilità, verranno impiegate per punire il bambino irrequieto.

Anche in questo racconto, dunque, l’autore non dimentica la punizione, questa volta però solo evocata. A differenza delle altre storielle, poi, il protagonista perde progressivamente di importanza, fino a scomparire del tutto nell’ultima scena. Qui Philipp è completamente nascosto (Nun ist

Philipp ganz versteckt); a coprirlo quasi come un lenzuolo è la tovaglia bianca

che egli si è trascinato cadendo dalla sedia, immagine piuttosto irreale se si considera il peso del cibo e delle stoviglie che vi erano appoggiate sopra. L’immagine, dunque, non vuole essere un fedele ritratto della realtà, quanto piuttosto un tentativo di rappresentare anche sul piano visivo l’inferiorità del bambino rispetto agli adulti (ivi: 128).

La morale di questa semplice storiella è altrettanto chiara: a tavola bisogna stare seduti e composti. Dietro la sua apparente semplicità si nasconde, tuttavia, un significato ben più profondo, caratteristica che contraddistingue tutte le storie dello Struwwelpeter e che affascina soprattutto i lettori ‘più grandi’. Secondo la logica di una

Gesamtinterpretation, il bambino si trova ora in quella tipica fase dello

sviluppo in cui subentra il noto complesso di Edipo. Si tratta di una fase comune a tutti i bambini, ma che per il nostro eroe appare particolarmente difficile a causa della prematura scomparsa della madre; il suo desiderio (o

Sehnsucht) nei suoi confronti è così destinato a rimanere inappagato

(Eckstaedt 1998: 124). Da qui deriverebbe la sofferenza interiore del bambino, la quale più manifestarsi con una totale immobilità (Struwwelpeter), oppure con un’irrefrenabile irrequietezza (Friederich e Philipp), forse anche come espressione di quel desiderio di evasione profondamente sentito dalla società borghese di allora.