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Il caso Barese ed il “ridimensionamento” del consenso informato.

54 1.9 L’adempimento del dovere.

2. IL TRATTAMENTO MEDICO ARBITRARIO NELLA EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE.

2.3 Il caso Barese ed il “ridimensionamento” del consenso informato.

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Nella giurisprudenza di merito i principi affermati nella sentenza Massimo a proposito della possibilità di configurare l'omicidio preterintenzionale, nel caso di intervento chirurgico arbitrario, vengono espressamente confutati, e ritenuti non condivisibili, dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo nell'ordinanza di archiviazione 31 gennaio 2000 (v. retro).

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AGNINO segnala che, in realtà, la prima vera sentenza in tema di consenso informato risale ad una pronuncia della Cassazione del 1967, n. 1950 (AGNINO F., op. cit., p. 15).

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Veniamo, ora, alla sentenza della Suprema Corte sul caso Barese (Cass., sezione IV, 9 marzo 2001, n. 28132, relatore Brusco)284.

Con una disamina incentrata soprattutto sull’elemento soggettivo del reato di lesioni dolose e sull’omicidio preterintenzionale, senza un adeguato approfondimento del tema dell’oggetto del dolo e, quindi, della esatta individuazione del concetto di malattia, in questa decisione la Corte muta orientamento rispetto al caso Massimo285. La fattispecie posta all'attenzione dei giudici è molto simile a quella di cui al caso Massimo. Si tratta, infatti, anche nel caso di specie di un’ipotesi di “viraggio terapeutico”.

Una donna presta il consenso all’asportazione chirurgica di una cisti ovarica. Il chirurgo, una volta aperta la breccia operatoria, si accorge della presenza di una massa tumorale, previamente non diagnosticata e, pur in assenza di una situazione di necessità ed urgenza terapeutica, decide la rimozione non solo della cisti ma anche del tumore attraverso una modalità operatoria estremamente invasiva ed invalidante: l'asportazione totale dell'utero della paziente. Durante l'operazione, però, a seguito della incisione per errore colposo di alcuni vasi sanguigni iliaci, si genera una grave emorragia che determina il decesso della donna.

Anche in questa fattispecie, quindi, il malato presta il consenso ad un intervento chirurgico di media entità ed il medico esegue un intervento demolitivo di più vasta portata, con successivo decesso del soggetto operato.

A differenza che nel caso Massimo, in questa ipotesi i giudici riscontrano dei gravi profili di colpa professionale nella condotta del medico colpa consistita sia nella erronea

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La sentenza Barese è pubblicata in Foro it., 2001, II, c. 591, ed è commentata da IADECOLA A.,

Se la conseguenza dannosa è prevista è configurabile il delitto doloso, in Dir. e giust., 2001, n. 30, p. 38;

IADECOLA G., Sulla configurabilità del delitto di omicidio preterintenzionale in caso di trattamento

medico con esito infausto, praticato al di fuori dell'urgenza e senza il consenso del paziente, in Cass. Pen.,

2002, p. 527; BARNIM., Ancora un episodio nella storia infinita della responsabilità medica: l'omicidio

preterintenzionale esce di scena, in Riv. it. med. leg., 2002, p. 612; FIORI A., LA MONACA G., ALBERTACCIG., In tema di trattamenti medico-chirurgici effettuati per autonoma decisione del medico

senza previo consenso del paziente: un passo avanti nella giurisprudenza della Cassazione penale?, in Riv. It. Med. Leg., 2002, p. 880.

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Il principio di diritto è stato così massimato: "In tema di trattamento medico-chirurgico, qualora,

in assenza di urgente necessità, venga eseguita una operazione chirurgica demolitiva, senza il consenso del paziente, prestato per un intervento di dimensioni più ridotte rispetto a quello poi eseguito, che ne abbia determinato la morte, non è configurabile il reato di omicidio preterintenzionale poiché, per integrare quest'ultimo, si richiede che l'agente realizzi consapevolmente ed intenzionalmente una condotta diretta a provocare un'alterazione lesiva dell'integrità fisica della persona offesa".

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valutazione della situazione diagnostica della paziente, sia nella esecuzione stessa dell'operazione sia, infine, nella negligente sorveglianza del decorso post-operatorio286.

Mentre, quindi, il chirurgo Massimo non aveva compiuto alcun errore dal punto di vista tecnico/clinico nell'effettuazione dell'operazione, che poteva dirsi, da questo specifico angolo prospettico, perfettamente riuscito, al chirurgo Barese vengono mossi degli addebiti di colpa medica.

La Corte, criticando la sentenza Massimo, ritiene non configurabile l'omicidio preterintenzionale in base all'argomentazione secondo la quale l'articolo 584 c.p., richiedendo la commissione di atti diretti a ledere o percuotere, esige la ricorrenza in capo all’agente del dolo diretto o intenzionale, con esclusione di quello eventuale. Mentre per la configurabilità delle lesioni dolose sembrerebbe sufficiente il dolo indiretto o eventuale, per la sussistenza dell'omicidio preterintenzionale occorre un grado di colpevolezza in capo all’agente più intenso, in ossequio, tra l'altro, anche al principio di offensività del reato287.

L'espressione "atti diretti a" viene, pertanto, letta non solo in chiave oggettiva, come elemento riferentesi, cioè, alle caratteristiche che la condotta deve rivestire sul piano materiale (inequivoca direzionalità verso l’evento lesivo), ma anche e soprattutto in chiave soggettiva e psicologica.

Certamente, si aggiunge, non è possibile ritenere la sussistenza del dolo intenzionale tutte le volte in cui il medico agisca nella consapevolezza dell'assenza del consenso del paziente, dato che si confonderebbero i due distinti piani del dolo e della causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto.

Il dolo eventuale sarà integrato allorquando il medico, pur non essendo intenzionalmente diretto a provocare una malattia nel paziente, ma essendo consapevole delle possibili conseguenze invalidanti della propria condotta, agisce a costo di provocare l'evento costitutivo del delitto di lesione, accettandone, pertanto, il rischio di verificazione.

Non occorre invece, come già sottolineato a proposito dell’elemento soggettivo dalla sentenza Massimo, la presenza di alcuna malvagia volontà da parte del medico, non richiedendo la fattispecie delle lesioni alcun dolo specifico da parte dell’agente.

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Si tratta di un aspetto particolarmente rilevante. La decisione “rigorosa” sul caso Massimo nasce anche dall’impossibilità di applicare le altre fattispecie di omicidio. Come a dire: non c’è dolo, non c’è colpa, quindi l’unica via percorribile per rendere il medico penalmente responsabilie è quella della preterintenzione!

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La tesi della necessità dell'esistenza del dolo diretto o intenzionale è condivisa da MANNAA.,

Trattamento sanitario «arbitrario»: lesioni personali e/o omicidio, oppure violenza privata?, in Ind. pen.,

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Il dolo intenzionale del medico potrà configurarsi solo in alcune ipotesi marginali, di non frequente ricorrenza nella prassi. Si pensi al caso in cui l’operatore sanitario agisca non per scopi terapeutici ma per scopi scientifici o di ricerca, (ad es. per sperimentare una nuova tecnica operatoria), o al caso di interventi demolitivi coscientemente inutili o di interventi eccessivi, sproporzionati rispetto alla patologia in questione, in base ad una valutazione costi/benefici delle varie alternative terapeutiche percorribili. In altre parole, il dolo intenzionale sarà integrato tutte le volte in cui il medico interviene essendo ben consapevole che l'operazione provocherà una non necessaria menomazione dell'integrità fisica o psichica del paziente, atteso che il normale rapporto tra costi (certi) dell'intervento e benefici (eventuali) di essi è ampiamente e preventivamente conosciuto e rappresentato dall'agente come assolutamente squilibrato verso i primi288.

Sviluppando questi principi, la pronuncia aggiunge che difficilmente potrà configurarsi il dolo intenzionale nei ricorrenti casi di cosiddetto viraggio terapeutico, cioè di mutamento in corsa del piano operatorio previamente concordato col paziente, a seguito dell’individuazione, una volta aperta la breccia operatoria, di un evento imprevisto. In casi del genere, con difficoltà potrà affermarsi che il chirurgo si sia coscientemente rappresentato ed abbia intenzionalmente voluto la menomazione dell’integrità fisica del paziente verificatasi a seguito del mutamento del tipo di operazione.

Si dovrà invece concludere nel senso del certo rilievo penale della condotta qualora il medico sia ben consapevole fin dal principio di accingersi ad effettuare un intervento diverso da quello prospettato all’interessato (come sembra si sia verificato nel caso Massimo).

Quanto al consenso informato, la sentenza invita, in definitiva, ad un netto ridimensionamento dell’istituto in questione, oggetto, a parere della Corte, di una eccessiva enfatizzazione a livello dottrinario e giurisprudenziale. E’ vero, si dice, che il consenso informato del paziente vale quale scriminante ex articolo 50 c.p., ma esso è soggetto al limite rappresentato dall'articolo 5 c.c. in materia di atti di disposizione del proprio corpo.

Diversa rilevanza, viceversa, va riconosciuta al dissenso terapeutico espresso del paziente. Esso infatti - a meno che non si sia in presenza di una situazione riconducibile allo stato di necessità, cioè di pericolo grave ed inevitabile per la vita o la salute del

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Tale pronuncia, ritenendo lo scopo dell’agente estraneo al reato ma utile per qualificare l'elemento soggettivo come intenzionale, si inserisce nel solco di una giurisprudenza attenta allo scopo dell'attività medica, con particolare riguardo alla medicina non di salvaguardia ma di valenza voluttuaria. V. sul punto BARBUTO G., Alcune considerazioni in tema di consenso dell'avente diritto e trattamento medico-

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paziente - ha carattere vincolante nei confronti del medico, il quale, se non lo rispetterà, incorrerà senza dubbio in una responsabilità penale . A questo proposito la sentenza Barese sembra propendere per la configurabilità del reato di violenza privata di cui all'articolo 610 c.p., piuttosto che per quello di lesioni.

Nel contempo viene criticato l'orientamento, soprattutto dottrinario, che ravvisa, in caso di mera mancanza del consenso informato del paziente, il reato di violenza privata, sia perché il consenso viene visto come una forma di presidio della integrità fisica del paziente piuttosto che della sua libertà di autodeterminazione, sia per la difficoltà di riscontrare il requisito della violenza nella condotta del medico.

Esclusa la possibilità di configurare in capo all'imputato Barese una responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale per la mancanza di dolo intenzionale ed, altresì, una responsabilità ex articolo 586 c.p. per l'impossibilità di inquadrare la condotta nell'ambito del reato di violenza privata, la Corte non riconosce la sussistenza in capo all’agente del dolo indiretto o eventuale delle lesioni, ritenendo decisamente prevalenti i profili di negligenza e d'imperizia.

Ciò che la sentenza non dice è, però, quale concezione di malattia viene accolta, elemento questo che abbiamo visto essere centrale nella risoluzione del problema circa la configurabilità del dolo. Per rispondere, infatti, alla domanda se il medico sia animato da dolo e di quale tipo di dolo si tratti, preliminarmente occorre chiedersi quale sia l'oggetto del dolo e, quindi, nel caso delle lesioni, quale sia la concezione di malattia che si vuole accogliere (malattia come alterazione anatomica o come menomazione funzionale). Sembrerebbe dagli esempi indicati dalla Corte a proposito del dolo intenzionale che la malattia venga concepita quale inutile danno alla salute, quale pregiudizio non compensato da un corrispondente equivalente beneficio e, dunque, come complessivo peggioramento delle condizioni di salute del soggetto, e non già come mera alterazione anatomica o funzionale dell'organismo. Come si vede, si tratta di una nozione ben diversa da quella accolta nel caso Massimo.

2.4 La sentenza Firenzani: la tesi dell’autolegittimazione e l’errore colposo sulla

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