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54 1.9 L’adempimento del dovere.

1.15 Lo stato di necessità.

Indipendentemente dalla ricostruzione che si ritenga preferibile, nessuno contesta che nell’ambito dell’attività del medico possano verificarsi situazioni astrattamente riconducibili nell’alveo della causa di giustificazione dello stato di necessità183 di cui all’art. 54 c.p., a tenore del quale :<<Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo:>>.

Il problema si pone soprattutto nel caso delle emergenze intraoperatorie, allorquando, a paziente anestetizzato e quindi impossibilitato ad esprimere una qualsivoglia volontà, si verifica una situazione imprevista che occorre affrontare con immediatezza, le alternative essendo: l’esecuzione immediata dell’intervento reso

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Contro questa ricostruzione v., però, la pronuncia delle Sezioni Unite testè richiamata, la quale riconduce l’attività degli agenti di polizia giudiziaria, esattamente come la pratica medica, nell’ambito delle attività a copertura costituzionale.

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In generale, cfr., GROSSO C. F., (voce) Necessità (dir. pen.), in Enc. dir., XXVII, Treccani, Milano, 1977, p. 833; AZZALI G., (voce) Stato di necessità, in Noviss. Dig. it., XVII, Torino, 1971; AIELLO G., Stato di necessità (diritto penale), in Enc. Giur. Treccani, XXX, Roma, 1993.

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necessario dall’imprevisto verificatosi o il rinvio della decisione ad un secondo momento, una volta interpellato sul punto il paziente risvegliatosi dall’anestesia operatoria.

La risposta che viene in genere fornita è che, se l’intervento di “viraggio terapeutico” è un intervento urgente o necessario, allora sussisteranno i presupposti dello stato di necessità o, rectius, del soccorso di necessità.

Vanno considerati urgenti, e quindi riconducibili allo stato di necessità, gli interventi che non possono essere prorogati senza un certo e gravissimo pericolo e necessari quelli procrastinabili entro ragionevoli limiti di tempo, ma la cui omissione comporterebbe un risultato sicuramente letale o il permanere di uno stato di malattia e invalidità.

Qualora l’intervento non previsto si caratterizza come un intervento semplicemente opportuno, un intervento di elezione o migliorativo184, avente lo scopo di risparmiare al paziente una seconda anestesia generale, con tutti i rischi che questa comporta, o quello di prevenire un pericolo futuro, il medico dovrà chiudere la breccia operatoria e rinviare l’operazione, per eseguirla successivamente solo se il paziente, terminato l’effetto dell’anestesia, avrà fornito il proprio consapevole consenso informato al nuovo intervento185.

Come si vede, i margini per l’applicazione dello stato di necessità nel campo medico sono alquanto ristretti. L’art. 54 c.p. fissa dei paletti estremamente rigidi, paletti che poco si conciliano con le situazioni riscontrabili nel campo medico.

Il pericolo, ad esempio, deve essere attuale e non futuro, con una valutazione da compiersi ex ante ed in concreto186; non deve essere stato volontariamente causato dall’agente, né essere altrimenti evitabile; deve riferirsi ad un danno grave alla persona.

Si tratta, all’evidenza, di condizioni che difficilmente si verificano contemporaneamente nelle emergenze intraoperatorie e che fanno dire a molti che vi sarebbe una specie di incompatibilità di fondo tra stato di necessità e attività del medico187.

184

IADECOLA G., Potestà di curare e consenso del paziente, Cedam, Padova , 1998, p. 94.

185

AGNINO F. (op. cit., p.101). Esclude in questi casi, più che l’antigiuridicità della condotta, l'intenzionalità della stessa, BLAIOTTA R., (in op.cit., 2005, p.3521) secondo il quale, nei casi non infrequenti nei quali il medico nel corso dell'intervento chirurgico rilevi una situazione che, pur non essendo connotata da aspetti di urgenza terapeutica, potendo essere affrontata in tempi diversi, meriti a suo parere di essere affrontata immediatamente senza il consenso del paziente per evitargli un altro intervento ed altri successivi disagi o anche soltanto per prevenire pericolo futuro, non si può affermare che il medico abbia intenzionalmente provocato la lesione della salute perché la condotta è diretta proprio a tutelare la salute del paziente e non a procurare una menomazione dell'integrità fisica o psichica.

186

VERGALLO G. M., op. cit., p. 40.

187

Sulla inconciliabilità tra lo stato di necessità e l’attività medica vedi IADECOLA G., Potestà di

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E’ stato rilevato come lo stato di necessità non possa trovare applicazione nel campo medico perché i trattamenti medico-chirurgici rientrano in una sorta di stato di necessità istituzionalizzato, generalizzato, che li sottrae, di conseguenza, dall’alveo dell’art. 54 c.p., con le sue stringenti condizioni di applicazione188.

Inoltre, a ben riflettere, nei casi di urgenza il medico non ha la facoltà ma il dovere di intervenire189. Mentre lo stato di necessità facoltizza, il campo medico è contraddistinto più da aspetti di doverosità, tant’è che, come più sopra precisato, alcuni ricorrono tout court alla cornice normativa dell’adempimento del dovere di cui all’art. 51c.p., anche perché, secondo alcuni, la violazione da parte del medico del dovere di intervenire rileverebbe penalmente in termini omissivi ex art. 40, comma 2, c.p.190.

Proprio per uscire dalle rigide maglie applicative dello stato di necessità, secondo certa dottrina andrebbe, de iure condendo, dato ingresso nel sistema delle scriminanti ad una causa di giustificazione specifica del campo medico da intendere come stato di necessità medica191.

Nella prassi della medicina si riscontra frequentemente il verificarsi di situazioni che non integrano gli estremi di un pericolo grave, attuale ed inevitabile per la vita o per la salute, previsto dall'art. 54 c.p.; il riferimento è alle situazioni di urgente necessità terapeutica a tutela della salute che non implicano necessariamente l'attualità del pregiudizio per la vita.

E’ questa una soluzione già seguita da alcuni ordinamenti. Nel diritto portoghese, ad esempio, accanto alla tradizionale scriminante dello stato di necessità è prevista la causa di giustificazione della c.d. urgenza medica, una scriminante analoga allo stato di necessità ma priva dei suoi rigorosi criteri applicativi e propria solo del campo medico.

E’ importante rilevare a questo proposito come una soluzione analoga sia stata adottata anche dalla Convenzione di Oviedo, la quale all’art. 8, dedicato alle situazioni di urgenza, stabilisce che, allorquando in ragione di una situazione d’urgenza il consenso appropriato dell’infermo non può essere ottenuto, si potrà procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispensabile per il beneficio della salute della persona interessata.

188

Cfr, ad es., sentenza della Cass. sul caso Volterrani (Cassazione, 29 maggio 2002, sent. n. 26446).

189

Così MANTOVANI F. e RODRIGUEZ, su cui vedi VERGALLO G. M., op. cit., p. 56.

190

Cfr. sul c.d. rapporto tra necessità e libertà VIGANÒ F., Stato di necessità e conflitto di doveri, Milano, 2000. Contrario a questo schema esplicativo è RIZ R., Il consenso dell'avente diritto, Cedam, Padova, 1979, p. 343.

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È chiaro come questa disposizione sulla necessità medica presenti maglie più larghe rispetto allo stato di necessità previsto dal nostro codice penale192.

Non manca chi ritiene già configurabile tale scriminante nel nostro sistema mettendo in evidenza il carattere self-executing di tale norma per il suo contenuto sufficientemente precettivo o richiamando una presunta causa di giustificazione atipica, non codificata, rientrante pienamente nel sistema in virtù delle peculiarità dell’attività del medico193.

Il problema più spinoso dello stato o soccorso di necessità è quello relativo all’ipotesi del dissenso da parte del paziente all’intervento chirurgico quando è in gioco la sopravvivenza. Come deve comportarsi, in buona sostanza, il medico nel caso in cui l’intervento necessario ed urgente per salvare la vita del paziente, o comunque per evitargli il rischio di un danno grave all’incolumità fisica, sia stato dal paziente espressamente rifiutato194?.

La peculiarità di questa evenienza è che il conflitto di interessi tipico del soccorso di necessità fa capo ad uno stesso soggetto: da un lato l’interesse alla salvaguardia della vita e della salute del malato, dall’altro l’interesse alla tutela della sua autodeterminazione terapeutica195.

E’ da notare significativamente a questo proposito che l’art. 8 della convenzione di Oviedo sulla necessità medica fa riferimento alla impossibilità di prestare il consenso da parte del malato e non già al dissenso, indice questo dell’accoglimento da parte della suddetta fonte pattizzia di diritto internazionale della tesi della prevalenza della volontà del malato196.

Il problema si è posto frequentemente con riguardo al rifiuto di pratiche sanitarie per motivi religiosi. Si pensi al caso, ad esempio, dei testimoni di Geova e al loro rifiuto di

192

DASSANO F., op. cit., p. 92.

193

PARIOTTI E., Prospettive e condizioni di possibilità per un biodiritto europeo a partire dalla

Convenzione di Oviedo, in Studium Iuris, 2002, p. 561. 194

Sulla tematica generale si veda SANTOSUOSSO A., Autodeterminazione e diritto alla salute: da

compagni di viaggio a difficili conviventi, in Notizie di Politeia, Anno XIII, N. 47/48, 1997. Sul rapporto tra

stato di necessità e pericolo di vita si veda VIGANÒ F., (voce) art. 51, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Marinucci, II ed., Ipsoa, 2006, nt. 74 ss. Con riferimento ad un caso particolare, relativo a Welby, malato di sclerosi laterale amiotrofica che aveva richiesto il distacco del respiratore artificiale, si veda sentenza di proscioglimento del medico Riccio, Gup Roma, 23 luglio 2007 n. 2049, in «Rivista italiana di

diritto e procedura penale», 2008, 437, con nota di TARUFFO A., Rifiuto di cure e doveri del medico. 195

AZZALI G., Trattamento sanitario e consenso informato, in Ind. pen., 2002, p. 925.

196

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emotrasfusione197, problema questo ulteriormente complicato dalla circostanza che spesso manca l’elemento dell’attualità del dissenso.

Frequentemente accade che il malato giunga al pronto soccorso già in stato di incoscienza, senza possibilità, dunque, di confermare expressis verbis il proprio diniego ad essere trasfuso che risulta dal cartellino “no sangue” portato al collo198.

Non vi sarebbe, pertanto, nessuna certezza che il dissenso espresso in una condizione di normalità sarebbe mantenuto con l'irrompere di una situazione drammatica quale quella della imminenza della morte, in cui nella normalità dei casi a prevalere è l'istinto di conservazione dell’individuo199.

Ebbene, la domanda che occorre porsi in questi casi è: va riconosciuto, come è stato efficacemente scritto, il diritto di anteporre la salvezza dell’anima rispetto a quella del corpo200?.

Oltre al caso del rifiuto per motivi religiosi di emotrasfusione da parte dei Testimoni di Geova, vanno presi in considerazione gli esempi dello sciopero della fame dei detenuti (per lo più per motivi politici) o del rifiuto (recentemente riscontrato nella cronaca in relazione ad una donna gravemente ammalata di diabete) di interventi terapeutici

197

AGNINO F., op. cit., p. 62; sulla necessità dell’attualità del rifiuto con riguardo ai c.d. cartellini no sangue che i testimoni di Geova portano usualmente al collo, v. Cassazione penale, sezione III, 15.8.2008, n. 23676.

198

Sul rifiuto di emotrasfusioni da parte di testimoni di Geova, in giurisprudenza, si vedano, Pret. Roma, 3 aprile 1997, in Cass. Pen., 1998, p. 950 s., con nota di IADECOLA G., La responsabilità penale del

medico tra posizione di garanzia e rispetto della volontà del paziente. (In tema di omessa trasfusione di sangue "salvavita" rifiutata dal malato), nonchè in Riv. it. dir. e proc. pen., 1998, p. 1422 s., con nota di

VALLINI A., Il significato giuridico-penale del previo dissenso verso le cure del paziente in stato di

incoscienza; in dottrina, sul tema, CRISAFULLI V., In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Dir. soc.,

1981, p. 557; D'ALESSIO R., I limiti costituzionali dei trattamenti "sanitari". (A proposito dei Testimoni di

Geova), ivi, 1981, p. 529; MODUGNO F., Trattamenti sanitari "non obbligatori" e Costituzione, in Diritto e Società, 1982, p. 303.

199

GRASSO G., Il reato omissivo, cit. p. 315 s.; PULITANÒ D., Sullo sciopero della fame, cit., p. 373; PALERMO FABBRIS E., Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale, 2000, p. 213; BARNI M., DELL'OSSO G., MARTINI P., Aspetti medico-legali e riflessi deontologici del diritto a morire, in Riv. it. med. leg., 1981, p. 41; VIGANÒ F., Stato di necessità e conflitto di doveri, Milano, 2000, cit., p. 529 ss.; ONIDA V., Dignità della persona e diritto di essere malati, in Questione giustizia, 1982, p. 367; PORTIGLIATTI BARBOS M., Diritto di rifiutare, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, p. 33. Nello stesso senso MANTOVANI F., I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Cedam, Padova, 1974, cit., p. 230 ss.; MANTOVANI F., Diritto penale, cit., p. 115 s. Quest’ultimo, in particolare, conformemente alla sua elaborazione della materia, risolve il problema, come già detto a proposito del consenso presunto, richiamandosi appunto al concetto di consenso presumibile: la naturale presunzione di consenso trova il proprio fondamento nell'istinto di conservazione, il quale, nella normalità dei casi, tende ad avere la meglio su ogni altra istanza, consentendo così di risolvere le situazioni dubbie in base al principio in

dubio pro vita. 200

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gravemente invalidanti come l'amputazione di un arto, in quanto ritenuti in contrasto con la propria personale ed infungibile concezione di dignità, qualità della vita e salute201.

Il rischio insito nel ritenere prevalente la necessità sulla libertà, lo stato di necessità sulla volontà dissenziente del malato, è quello di svuotare di valenza pratica il principio del consenso informato, così tanto declamato e sbandierato a livello astratto, ma poi negato allorquando entri in conflitto con la vita e la salute dell’individuo. La soluzione giuridica da adottare in caso di rifiuto delle cure costituisce il vero banco di prova del consenso informato, del ruolo, cioè, che l’ordinamento intende assegnare alla volontà del malato.

A questo proposito è significativo che anche Autori come Mantovani, di chiara ispirazione cattolica, giungano a riconoscere in capo al malato un vero e proprio “diritto a rifiutare le cure” e quindi, un diritto “a lascarsi morire”.

La salute è un diritto e non un obbligo, anche perchè non è un qualcosa di oggettivo che si può imporre dall’esterno. Emblematico è, da questo punto di vista, il rigetto nell’assemblea costituente degli emendamenti volti alla introduzione, nell’ambito della disciplina del diritto alla salute, del dovere dei cittadini di curarsi202.

E’ chiaro che per coloro che ritengono che l’art 50 c.p.. non possa trovare applicazione con riferimento ai beni della vita e della salute in quanto beni indisponibili, l’art. 54c.p., in caso di pericolo per questi beni intangibili, prevale sull’eventuale dissenso del malato, proprio perché quest’ultimo non è legittimato dall’ordinamento a disporre di interessi così rilevanti per la sopravvivenza stessa dell’ordinamento statale203.

Altra dottrina afferma invece che il consenso dell’avente diritto è un limite esegetico all’applicazione del soccorso di necessità, la c.d. violenza o coazione a fin di bene204, purché però il rifiuto risponda a parametri ben definiti.

Occorre, secondo tale dottrina, che il rifiuto sia serio e consapevole delle gravi conseguenze che esso comporta (criterio della necessità di un dissenso informato)205. Non sarà così, ad esempio, nel caso di rifiuto dettato da motivi autolesionistici, quali il suicidio, o nel caso di rifiuto irragionevole, quando, ad esempio, il pericolo per la salute del paziente

201

Le prese di posizione della giurisprudenza di merito sono ondivaghe ed anche la suprema Corte oscilla tra pronunce nelle quali ritiene in ogni caso doveroso il trattamento necessario (sentenze Barese e Firenzani) ed altre nelle quali lo esclude (sentenza Volterrani). Gli appelli rivolti da più parti ed in tempi diversi al legislatore affinché indichi una via d’uscita normativa per questi delicatissimi casi problematici sono rimasti inascoltati.

202

VERGALLO G. M., op. cit., p. 56.

203

CATALDI R., op. cit., p. 45.

204

ALBEGGIANI F., op. cit., p. 78.

205

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derivante dal mancato intervento è elevato, mentre l’invasività del trattamento è minima e minime sono le conseguenze dannose dell’intervento coatto.

Sul medico curante incomberà inoltre, oltre al dovere di rappresentare al paziente tutti gli specifici rischi legati ad un suo eventuale persistente rifiuto a sottoporsi ai trattamenti medici indicati, il dovere di continuare ad assistere il paziente benchè dissenziente, assicurandogli soltanto i trattamenti da lui autorizzati.

Il medico che abbia adempiuto il proprio obbligo morale e professionale di mettere il paziente nelle condizioni di compiere la sua scelta e abbia anche verificato la libertà della scelta medesima, non può essere chiamato a rispondere di nulla206. Anzi, la sua astensione da qualsiasi iniziativa di segno contrario è dovuta potendo, diversamente, configurarsi a suo carico persino gli estremi del reato previsto dall’art. 610 c.p..

1.16 Le tesi del difetto del nesso di causalità e dell’incidenza del consenso

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