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Le tesi del difetto del nesso di causalità e dell’incidenza del consenso informato sull’elemento soggettivo del reato.

54 1.9 L’adempimento del dovere.

1.16 Le tesi del difetto del nesso di causalità e dell’incidenza del consenso informato sull’elemento soggettivo del reato.

Un’altra tesi sull’incidenza (o, rectius, sulla mancanza di incidenza) del consenso informato del paziente nell’integrazione di fattispecie incriminatrici in capo al medico, tesi che ha trovato riconoscimento soprattutto nella giurisprudenza di merito207, (si vedano le ordinanze di archiviazione del GUP del Tribunale di Palermo del 31/1/2000208 e del Tribunale di Bari del 10/3/2003) è quella della mancanza del nesso di causalità rispetto al delitto di lesioni.

Secondo questa linea interpretativa gli esiti invalidanti degli interventi chirurgici non sono addebitabili al medico perché difetta, alla luce del c.d. giudizio controfattuale, il collegamento eziologico tra la condotta dell’agente (consistente nella mancata sollecitazione al consenso) e l’evento infausto lesivo209.

206

Molto chiaro sul punto è Cassazione 16375/08: Va esclusa, ai sensi degli artt. 32, comma secondo,

e 13 della Costituzione, e dell'art. 33 L. n. 833 del 1978, la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questi è in grado di prestare il suo consenso e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ricorrendo queste condizioni, nessuna responsabilità è configurabile a carico del medico curante in ordine al decesso del paziente nolente. (Fattispecie nella quale il paziente, poi deceduto a causa di una emorragia epidurale, sottodurale e subaracnoidea, aveva rifiutato, dopo la caduta, di essere trasportato in ospedale e sottoposto ai necessari approfondimenti diagnostici).

207

AGNINO F., op. cit., p. 104.

208

L’ordinanza si trova in Foro Italiano, 2000, parte II, col. 441.

209

ABBAGNANO TRIONE A., Considerazioni sul consenso del paziente al trattamento medico-

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Gli esiti invalidanti sono connessi, dal punto di vista causale, alla malattia originaria del paziente, alla quale il medico cerca, dal punto di vista della spiegazione eziologica dei fatti, semmai di porre rimedio con una condotta esattamente contraria dal punto di vista causale210. Tali esiti, allora, non sono imputabili dal punto di vista causale al medico operante sol perché l’atto operatorio sia stato effettuato in assenza di un consenso validamente prestato.

Il consenso informato (e, quindi, la condotta del medico di sollecitazione dello stesso da parte del paziente) tutela non l’integrità fisica, ma la libertà di autodeterminazione del malato.

Esso non protegge il soggetto ammalato dai possibili esiti invalidanti che potrebbero derivare da un intervento non autorizzato dallo stesso, bensì ne presidia la libertà di scelta terapeutica. La sua violazione potrà comportare, semmai, un addebito in termini di violenza privata e giammai di lesioni personali.

Il consenso, tra l’altro, ha per oggetto non già i possibili paventati esiti lesivi del trattamento chirurgico stesso, bensì il trattamento terapeutico stesso. Si perde di vista, infatti, secondo alcuni, il fatto che i beni interessati dalla pratica medico-chirurgica sono di natura indisponibile.

A queste considerazioni si è ribattuto che, se il medico avesse sollecitato il paziente ad esprimere il consenso all’intervento, questi avrebbe potuto orientarsi meglio e decidere, ad esempio, di soprassedere al trattamento terapeutico o di effettuarlo presso altra struttura ospedaliera o con un altro chirurgo, magari più competente o con maggiore esperienza specifica sull’operazione praticata.

Riguardo alla teoria causale è possibile affermare, perciò, che proprio la mancata sollecitazione del consenso ha causato l’evento infausto dell’operazione chirurgica, essendone stata una condicio senza qua non211.

Si è anche sostenuto che il nesso di causalità andrebbe individuato non tra la condotta del medico di mancata acquisizione del consenso informato e l’esito invalidante, ma, più semplicisticamente, tra l’intervento (o, rectius, tra la condotta del medico di esecuzione dell’intervento) e l’esito infausto.

210

Parla di esclusione dell’imputazione oggettiva dell’evento negativo, cioè il peggioramento dello stato di salute del malato, in quanto e nella misura in cui il medico si sia mantenuto all’interno del rischio consentito dall’ordinamento, rispettando i canoni dell’arte medica, Manna in MANNA A., Trattamento

sanitario arbitrario: lesioni personali e/o omicidio, oppure violenza privata?, in Ind. pen., 2004. 211

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Per cui, anche seguendo questa prospettiva, è sempre possibile imputare eziologicamente l’esito sfortunato ad una condotta dell’operatore sanitario.

Secondo altre impostazioni, il consenso produrrebbe i suoi effetti non tanto sul piano dell’elemento oggettivo del reato, ma, piuttosto, su quello dell’elemento soggettivo. Esso varrebbe, cioè, ad escludere il dolo dell’agente o, per altri, a fondare un giudizio di responsabilità in termini di colpa.

Secondo una tesi, più esattamente, il consenso del paziente andrebbe a delimitare la sfera del rischio consentito: esso non opererebbe dunque quale scriminante ex art. 50 c.p., bensì contribuirebbe in negativo alla ricostruzione della stessa tipicità della condotta colposa212. Il concetto di “rischio consentito”, che trova origine nelle teoriche della c.d. imputazione oggettiva dell’evento213, ha conosciuto applicazioni sempre più significative nella sistematica del reato, e non solo di quello colposo214. L’istituto viene qui inteso in un’accezione particolare o, se si preferisce, “limitata”. Muovendo dall’idea per cui l’attività medico-chirurgica è riconducibile entro la più generale categoria delle attività intrinsecamente pericolose, ma giuridicamente autorizzate in quanto socialmente utili215, si conclude che non si risponde penalmente del risultato dannoso o pericoloso che è derivato dall’attività in questione se e in quanto il suo esercizio si sia mantenuto entro il perimetro delineato dall’operatività delle regole cautelari che presiedono allo svolgimento della stessa (c.d. rischio consentito).

Di conseguenza, in caso di trattamento medico pericoloso eseguito senza il consenso del paziente potranno ritenersi integrati i reati di cui agli artt. 589 o 590 c.p. laddove il rischio si concretizzi nell'evento del reato di lesione.

Ovviamente, in conformità ad una giurisprudenza pressoché granitica in tema di responsabilità colposa penale, in caso di mancanza del consenso non sarà invocabile l’art.

212

Su questi aspetti vedi le considerazioni di GIUNTA F., op. cit.,p. 405 e di VENEZIANI P., I delitti

contro la vita e l'incolumità individuale, I delitti colposi, in Marinucci-Dolcini (a cura di), Trattato di diritto penale, parte speciale, Padova, Cedam, 2003, t. II, vol. III, p. 298 ss.. In questo senso v. altresì RAMAJOLI

S., op. cit., ed in precedenza, già GRISPIGNI F., La responsabilità penale per il trattamento medico-

chirurgico arbitrario, in Scuola positiva, 1914, p. 684 ss. dell'estratto.

Contraria è la giurisprudenza. V., a questo riguardo, la recentissima Sezione IV, 24 giugno 2008, n. 37077, Marazziti, secondo la quale «il giudizio sulla sussistenza della colpa [...] non presenta differenze di

sorta a seconda che vi sia stato o non il consenso informato del paziente». 213

In argomento si rinvia, per tutti, all’indagine di CASTALDO A. R., L’imputazione oggettiva nel

delitto colposo d’evento, Napoli, Jovene, 1989, passim. 214

V., per es., DONINI M., Imputazione oggettiva dell’evento. “Nesso di rischio” e responsabilità

per fatto proprio, Torino, Giappichelli, 2006, passim. 215

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2236 c.c. sulla limitazione della responsabilità colposa alla sola colpa grave, nemmeno in riferimento al solo profilo della perizia216.

1.17 La tesi della pluralità delle cause di giustificazione e della soluzione caso

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