MOTIVI DELLA DECISIONE
C) Osservazioni adesive e critiche alla tesi dei consulenti del pubblico ministero: le consulenze della parte civile e degli imputati.
La consulente della parte civile, dott.ssa Monia Paggetti, all’udienza dibattimentale e nelle note redatte nell’interesse del Vitale, ha esposto i suoi rilievi critici all’operato dei sanitari sui seguenti punti:
a) la patologia dalla quale risultava affetto il Vitale era una patologia benigna del rene che spesso non richiede alcun trattamento e rispetto alla quale l’approccio terapeutico è piuttosto variabile, prevalendo, comunque, un atteggiamento di tipo conservativo, soprattutto in assenza di sintomatologia o di problematiche associate;
b) qualora si scelga di trattarle, la maggior parte delle cisti semplici di medie o grandi dimensioni può essere aspirata per via percutanea; solo secondariamente può trovare indicazione un intervento chirurgico di marsupializzazione con accesso per via laparoscopica o laparotomica;
c) per i pazienti obesi l’intervento in laparoscopia ha una percentuale di problematiche di lesioni intestinali pari al 20/21%;
d) il migliore approccio su una cisti del polo inferiore, dovendosi intervenire nel retroperitoneo, è rappresentato dall’accesso retroperitoneale, dovendosi ravvisare una chiara controindicazione all’accesso per via trasperitoneale, prescelto, invece dai sanitari;
e) dall’esame della cartella clinica non è possibile comprendere se fosse stata adoperata una tecnica del tipo “open” ovvero “closed”;
f) nel caso all’esame, la ipotesi più aderente alla realtà deve ritenersi quella formulata dai consulenti del pubblico ministero che ravvisano nella perforazione chirurgica, da trocar ovvero da utilizzo dello strumentario cauterizzante, la causa della breccia intestinale prodottasi;
g) se la perforazione può essere considerata, in occasione di un intervento chirurgico, una complicanza nota e non necessariamente addebitabile all’operatore, tuttavia sarebbe necessario trattenere il paziente sino a quando tale complicanza non possa essere esclusa, osservando con attenzione l’obiettività clinica del paziente: prematura deve quindi ritenersi la dimissione;
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h) in ragione del rischio specifico di perforazione connesso alla condizione del Vitale, di paziente obeso, il consenso a lui sottoposto deve ritenersi gravemente carente, perché alcuna informazione è stata fornita in ordine a tale maggior rischio;
i) infine gravemente carente di indicazioni appare la cartella clinica posto che, a fronte di una sintomatologia dolorosa costantemente riferita dal Vitale, alcuna menzione risulta riportata in cartella clinica, elemento questo da ritenersi ulteriore dimostrazione di un atteggiamento improntato a negligenza.
Rilevava poi la consulente al dibattimento che, posto che nel drenaggio applicato al Vitale, non erano state riscontrate fuoriuscite fecali, poteva essere ipotizzabile che, nel momento in cui era stata perforata l’ansa intestinale, si era creata “una escara che aveva fatto da tappo all’ansa intestinale, in maniera tale da impedire la fuoriuscita, nell’immediatezza, di materiale fecale”, minimizzando così la sintomatologia; nel momento in cui l’escara era caduta si era resa manifesta la peritonite.
Quanto alle conseguenze lesive, rimarcava poi l’importante sindrome depressiva, conseguente all’iter clinico, dalla quale il Vitale risultava affetto, che aveva richiesto cure psichiatriche.
Le conclusioni espresse dalla dott.ssa Paggetto e, in parte, dai consulenti del pubblico ministero, sono state oggetto di rilievi critici da parte dei consulenti degli imputati, prof. Raimondo, Ruotolo, Amici, Pansadoro.
Hanno posto l’accento, i consulenti della difesa, su tre aspetti: 1) consenso, 2) modalità e tempi di produzione della perforazione, 3) modalità e tempi della complicanza.
1) Consenso
Quanto al consenso, hanno ritenuto i consulenti che, nel caso in esame, vi fosse stata una acquisizione di consenso particolarmente valida perché, aldilà dei moduli, vi erano stati due incontri fra paziente e medico nel corso dei quali erano state esaminate tutte le questioni rilevanti, in relazione al tipo di intervento, dovendosi ritenere un falso problema quello relativo all’obesità. Hanno evidenziato i consulenti che attualmente, più ancora che all’epoca dei fatti, il problema dell’obesità è un problema rilevante, tanto che è stato coniato un termine “medicina e chirurgia bariatrica”, cioè per soggetti obesi ed in America si è pensato di allestire sale operatorie solo per obesi.
Se tuttavia gli interventi chirurgici su persone obese presentano dei problemi, non esiste alcun problema di maggior rischio di complicanze da perforazione in interventi eseguiti in laparoscopia. Tale maggiore rischio emergerebbe, dall’analisi operata dai consulenti del pubblico ministero, da una pubblicazione dell’anno 1996 dedicata proprio ai maggiori rischi che i pazienti obesi correrebbero nel caso di tecnica laparoscopica.
Tuttavia i risultati cui quella pubblicazione perveniva sono stati ampiamente superati da una serie di altre pubblicazioni, pervenute a conclusioni assolutamente opposte, tanto che oggi lo stato di obesità è indicata come una condizione di ricorso, di preferenza, alla tecnica laparoscopica.
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Ciò perché nella laparoscopia il momento critico è dato dal momento in cui si deve dilatare l’addome insufflando aria; è questo un momento critico perché attraverso la leggera ipertensione si possono trasmettere sollecitazioni al cuore dal quale possono derivare aritmie e peraltro il soggetto viene privato della componente addominale della respirazione.
L’obeso è già predisposto a ciò perché ha già una riduzione della respirazione addominale a causa del suo peso, e quindi ha già attivato meccanismi di compensazione.
Per questi ed altri fattori, in conclusione, il paziente obeso incontra minori rischi con la tecnica laparoscopica che non con la tecnica a cielo aperto.
Inoltre il Vitale era stato avvertito che se si fossero verificate delle complicanze, e fra queste è certamente compresa la perforazione, l’operazione sarebbe stata convertita in laparotomia.
Dunque la conversione dell’intervento cui il soggetto sapeva di poter andare incontro sarebbe, a parere dei consulenti, la garanzie dell’informazione completa in ordine alla complessità dell’intervento ed alla possibile verificazione di complicanze.
2) Modalità e tempi di produzione della perforazione.
Rilevavano in consulenti del pubblico ministero che verosimilmente la peritonite era conseguita ad una perforazione diretta da parte del trocar.
Tuttavia, hanno osservato i consulenti della difesa, è assai difficile che tale perforazione si produca quando l’operazione di introduzione ricade nel controllo diretto dell’operatore, come affermavano essere accaduto nel caso di specie.
L’ipotesi più realistica, a loro parere, era che l’ulcera fosse stata prodotta dagli apparecchi elettrici utilizzati.
Più in particolare, operando in via endoscopica si deve fare largo uso di strumenti elettrici, si producono delle zone circoscritte di ipertermia e vi sono anche fenomeni di correnti vaganti. Quindi è estremamente facile che si possa produrre qualche piccola ustione che, se cade sulla parete intestinale, nell’immediato non produce nulla perché è in genere una piccola ustione di primo o secondo grado, ma è una ustione che ha un rischio estremamente insidioso a distanza. Si crea, infatti, una piccola “escara” e quando questa cade si crea una situazione di pericolo perché si determina un collegamento con l’interno del canale intestinale.
Che questa sia l’ipotesi più verosimile sarebbe dimostrato dal fatto che, se fosse vera la tesi dei consulenti del pubblico ministero, si sarebbe verificata una peritonite immediata e di ampia diffusione. Questo perché il contenuto intestinale ha una enorme carica batterica ed il semplice fatto della perforazione dell’intestino comporterebbe l’uscita di materiale intestinale. Quindi l’esplosione della peritonite sarebbe stata immediata e generalizzata perché avrebbe trovato un ambiente favorevole qual è l’addome preparato per l’intervento e, quindi, completamente libero.
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Tuttavia così non è stato perché la peritonite era saccata e ciò richiede che vi sia una contiguità fra i visceri perché solo così si può creare una specie di spazio confinato entro il quale la peritonite ha modo di svilupparsi e prodursi, ma in maniera circoscritta.
Questo può avvenire solo quando la perforazione avviene in una parte dell’intestino che è già coabita o con la parete peritoneale o con altre anse, in modo che si possa creare uno spazio definito.
3) Modalità e tempi della complicanza peritoneale.
Dalla ricostruzione operata in sede di individuazione delle cause deriverebbe, nella ricostruzione dei consulenti degli imputati, che la peritonite si sarebbe verificata non subito, ma in un secondo momento a causa della caduta di una escara generata da ustione.
Quindi i dolori lamentati dal paziente nei giorni immediatamente successivi all’intervento erano perfettamente compatibili con l’intervento subito e non indicativi di una peritonite in atto.
Peraltro al Vitale era stato applicato un drenaggio e da tale drenaggio non era fuoriuscita alcuna secrezione enterica: il drenaggio sarebbe stato una spia della perforazione, se vi fosse stata.
Inoltre quando c’è risentimento peritoneale l’addome è così duro da sembrare, alla palpazione, una tavola di legno; tuttavia emerge dall’esame della cartella clinica relativa al secondo ricovero che quando il Vitale è stato ricoverato e poi operato la seconda volta, non presentava quei sintomi. La peritonite con le caratteristiche della peritonite saccata, parziale, si è manifestata con sintomi che hanno avuto una certa scansione temporale tale da allontanarla con certezza sia dall’intervento che dalla dimissione.
La peritonite si sarebbe manifestata soli in occasione del secondo ricovero e neanche in termini di eclatanza, tanto che i medici non erano intervenuti subito, ma a distanza di diverse ore.
In conclusione, i tempi di comparsa erano stati tali da sottrarsi a qualsiasi possibilità di controllo da parte dei sanitari.