54 1.9 L’adempimento del dovere.
2. IL TRATTAMENTO MEDICO ARBITRARIO NELLA EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE.
2.8 Considerazioni sulla pronuncia delle Sezioni Unite: contrasto tra la rilevanza costituzionale del consenso informato e la soluzione della sostanziale
2.8.2 Le lesioni personali: l’esito favorevole
Con riferimento alle conclusioni cui è pervenuta di recente la Corte di cassazione in materia di lesioni personali, è interessante notare come esse coincidano nella sostanza con quelle cui giungeva un illustre Autore agli inizi del secolo scorso361.
Già in un saggio del 1914 Grispigni, distinguendo tra esito fortunato ed esito sfortunato dell’intervento chirurgico, argomentava:<<L'operazione chirurgica e il trattamento curativo in genere consistono appunto - per definizione - nel produrre alla salute proprio il contrario di una lesione e di un danno, perché invece sono precisamente il mezzo con cui si accresce e si migliora la salute, e conseguentemente devesi escludere nel modo più categorico che in essi, quando abbiano un esito favorevole, possa mai riscontrarsi l'elemento obbiettivo del reato di lesione personale […]. Certo, dopo un'operazione l'organismo può rimanere privato, ad esempio, di un braccio, di una gamba ecc. Ma bisogna vedere se la mancanza di questo arto, invece di costituire un danno per l'organismo, non significhi proprio l'opposto e cioè un beneficio […]. Il danno infatti
vincolante. L’unica via seriamente percorribile, pertanto, appare quella di un intervento da parte del legislatore che, nel caso in cui ritenga di dover attribuire efficacia vincolante alle “dichiarazioni anticipate di trattamento”, dovrebbe anche fissare i requisiti di validità delle dichiarazioni stesse, per garantire, ad esempio, che il “dissenziente” sia consapevole delle conseguenze cui si espone con la propria decisione.
359
MANNA A., (voce) Trattamento, cit., p. 1291; VIGANÒ F., Profili penali, op. cit., p. 166, nota 53.
360
Per un caso di applicazione dell'art. 605 c.p., v. Cassazione, Sez. V, 2 maggio 1983, in Riv .it. med.
leg., 1985, p. 1026; Cass., 29 maggio 1916, Palladino, in Foro it., 1916, II, c. 343. 361
GRISPIGNI F., La liceità giuridico-penale del trattamento medico-chirurgico, in Riv. dir. proc.
pen., 1914, p. 480 ss.; in senso analogo v. CRESPI A., La responsabilità penale nel trattamento medico- chirurgico con esito infausto, Priulla, Palermo 1955, p. 24.
-149-
apportato all'organismo, come il suo contrario, il miglioramento è un concetto relativo... Nel trattamento con esito fortunato per poter valutare giuridicamente il fatto devesi considerare l'azione quando tutto il suo svolgimento siasi completato, quando cioè siasi verificato l'effetto utile della medesima. E tale effetto appunto perché utile non si può considerare quale un'offesa, un danno, una lesione della salute […]; manca quindi l'elemento obiettivo del reato di lesione personale. Nel caso invece di trattamento con esito sfortunato esiste si l'elemento oggettivo del reato di lesione personale, ma manca l'elemento soggettivo, il dolo:>>.
Senonchè, ieri come oggi, rimane il problema di definire con precisione il concetto di esito favorevole dell’intervento terapeutico.
Innanzitutto non è ben chiaro quanto occorre attendere dal momento della conclusione dell’operazione prima di poter effettuare questa valutazione, in termini di costi/benefici, sugli esiti ultimi dell’atto operatorio sulla salute dell’ammalato.
Il rischio è che la ricorrenza della fattispecie delle lesioni venga fatta dipendere da opinabili considerazioni sull’arco temporale del decorso post-operatorio da tenere in considerazione nell’analisi del fatto concreto.
In secondo luogo, quanto al merito del criterio adottato dalla Corte, è di tutta evidenza che la linea seguita sia una soluzione di compromesso tra le opposte esigenze in campo, tra l’esigenza, cioè, di rendere il paziente co-protagonista delle scelte terapeutiche che lo riguardano e quella, paternalistica, di lasciare l’ultima parola in proposito al medico, giudicato l’unico davvero in grado di capire cosa è giusto fare per la salvaguardia della salute del malato.
La formula utilizzata, però, è una formula ibrida, ambigua, che si presta ad interpretazioni contrastanti. Se, infatti, la valutazione circa il successo o l’insuccesso di una terapia deve dipendere anche dalle “manifestazioni di volontà positivamente o indirettamente espresse dal paziente”, qualora il paziente abbia mostrato di rifiutare una determinata opzione terapeutica in favore di un’altra, l’intervento che sia stato compiuto in difformità dalle scelte del malato dovrebbe essere giudicato quale esito infausto, anche solo tenuto conto del negativo apprezzamento del paziente circa l’opportunità di realizzarlo; e tutto ciò anche ove il trattamento effettuato fosse ex ante medicalmente appropriato e sia risultato ex post perfettamente riuscito dal punto di vista clinico.
Il fatto è che nella sentenza sono stati adottati due criteri di giudizio difficilmente compatibili fra di loro, uno oggettivo/medico ed un altro aperto alla soggettiva percezione del malato.
-150-
Cosa dire, ad es., di un intervento, previamente rifiutato dal paziente, che abbia determinato l’amputazione di un arto in cancrena, consentendo al malato di avere salva la vita, quando allo stesso ripugnava l’idea stessa di vivere senza una parte del proprio corpo? La risposta cambierà a seconda del parametro di valutazione, oggettivo o soggettivo, prescelto.
La formula adottata dalla Cassazione non sembra contenere una chiara scelta in favore dell’uno o dell’altro, né è dato capire come sia possibile tentare di conciliare questi opposti criteri di giudizio.
2.8.3 …la responsabilità a titolo di dolo e a titolo di colpa.
Anche le considerazioni portate in giurisprudenza per negare la sussistenza del dolo in capo all’agente in caso di intervento conclusosi con esito infausto non sono pienamente convincenti. Se il dolo delle lesioni personali non comporta necessariamente la diretta volontà di provocare effetti lesivi, ma richiede semplicemente che l’agente si rappresenti le conseguenze pregiudizievoli per il malato e accetti il rischio di poter danneggiare con il proprio operato l’altrui integrità fisica, non si comprende perché debba rispondere di lesioni dolose soltanto il medico che abbia agito nella consapevolezza e volontà di provocare un’alterazione anatomica e funzionale al paziente e non già il medico che abbia solo dubitato di poter causare un danno in termini di malattia o di peggioramento della stessa. Solo se il medico ha osservato scrupolosamente le leges artis il dolo dovrà essere escluso. Non ricorrendo queste condizioni, la rappresentazione dell'esito pregiudizievole è compatibile con l'accettazione dell'evento e col dolo eventuale e, in caso di morte del paziente, il medico potrà essere accusato di omicidio preterintenzionale, dovendo rispondere delle conseguenze lesive che ha causato con il trattamento non autorizzato dall’ammalato; e ciò senza che sia necessario ricorrere al postulato, in verità teorico, proposto dalla Cassazione che esige la consapevolezza e la volontà nell'atto raffigurato a priori come lesivo e come irregolare rispetto alle regole tecniche di condotta362.
362
Cfr. MANNA A., Profili penalistici del trattamento medico-chirurgico, Milano, 1984, pag. 34 ss., RAMAJOLI S., Trattamento chirurgico con esito infausto senza che sussistano lo stato di necessità e il
consenso informato del paziente: conseguenze penali a carico dell'operatore, in Giust. pen., 1996, II, p. 127..
Contrario alla tesi che esige un dolo intenzionale in capo al medico per la configurabilità a suo carico delle lesioni personali dolose è PASSACANTANDO G., Problematiche in tema di consenso informato e
-151-
Un altro punto problematico della sentenza delle Sezioni Unite è costituito dal riferimento all’istituto della c.d. colpa impropria363 ex artt. 59, comma IV, e 55 c.p..
Come è noto, la prima ipotesi si verifica in caso di errore colposo sull'esistenza di una causa di giustificazione, la seconda riguarda l’eccesso colposo dai limiti delle scriminanti.
La differenza, in questa seconda ipotesi, è che l'errore cade non sull'esistenza della situazione scriminante, che nell’eccesso colposo effettivamente si configura, ma riguarda la sua valutazione e gestione.
Sia l'art. 55 che l'art. 59, comma 4, c.p. danno luogo ad un'imputazione strutturalmente, realmente colposa. In effetti, può ritenersi ormai superata l’impostazione più risalente che, muovendo da una concezione naturalistica dell’evento oggetto di rappresentazione nel delitto doloso, individuava nelle ipotesi in questione veri e propri fatti dolosi, che solo per ragioni di opportunità il legislatore ha deciso di punire a titolo di colpa364.
Riguardo all’eccesso colposo, l’orientamento dottrinario nettamente maggioritario distingue due ipotesi. La prima riguarda l'errore di valutazione sui presupposti e sui limiti fattuali della scriminante (error in intelligendo o di giudizio); la seconda, invece, si verifica quando l'agente, pur non errando sui limiti della causa di giustificazione, osserva un comportamento che (colposamente) va oltre i limiti delle esimenti (error in agendo o modale). In ambedue le ipotesi, sia pure per aspetti diversi, si va oltre per errore non scusabile rispetto ai limiti fattuali di una scriminante di cui ricorrono gli estremi365.
La maggior parte della dottrina italiana inserisce, dal punto di vista dogmatico, l'errore sulle scriminanti nell’ambito della teoria del dolo. Si sostiene, infatti, che l'art. 59 c.p. svolge una funzione esattamente parallela, simmetrica rispetto all'art. 47 c.p..
363
La figura della "colpa impropria" era stata già intelligentemente richiamata in dottrina da BLAIOTTA R. (I profili penali, cit., p. 3612 ss.), nell’ambito però di una impostazione dogmatica che considerava il trattamento chirurgico in assenza di consenso del paziente un fatto tipico di lesioni personali di regola bisognoso di essere giustificato dal consenso del paziente ai sensi dell'art. 50 c.p., indipendentemente dagli esiti fausti o infausti dell'intervento.
364
Così, ad esempio, FIANDACA G.-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 197, PAGLIARO A., Diritto
penale, cit., p. 466; ROMANO M., Commentario, cit., p. 545, 618 ss. 365
Così, ad esempio NUVOLONE P., Le due forme dell'eccesso colposo, in Giust. pen., vol. II, p. 803; GALLO M., Eccesso colposo e previsione dell’evento, in Giur. It., 1950, II, 59; FARANDA C.,
L'eccesso colposo. Errore di giudizio ed errori modali, Giuffrè, 1984; PADOVANI T., Diritto penale,
Giuffrè, 2008, p. 214; FIANDACA G.-MUSCO, Diritto penale, Zanichelli, 1995, p. 197; ROMANO M.,
Commentario, cit., p. 544 s.; SIRACUSANO P., (voce) Eccesso colposo, in Dig. d. pen., vol. IV, 1990, p.
180. L'eccesso colposo nelle scriminanti è stato studiato quasi esclusivamente in riferimento alla legittima difesa e a tale contesto si riferiscono gli esempi classici dell'agente che, potendosi difendere tramortendo l'aggressore, crede erroneamente che occorra sopprimerlo o di quello che, volendo tramortire, colpisce l'avversario con una forza che si rivela letale.
-152-
L'errore sulla ricorrenza di una causa di giustificazione viene inquadrato nel quadro dell'errore sul fatto. L'errore in questione esclude il dolo, atteso che le scriminanti fanno parte dell'oggetto del dolo.
Tale tesi è portata avanti prevalentemente dai sostenitori della cosiddetta concezione bipartita del reato, che inquadrano sistematicamente le scriminanti come elementi negativi del fatto366, ma è stata recepita anche da Autori che configurano l'antigiuridicità come categoria distinta dalla tipicità del fatto, in omaggio alla c.d. concezione tripartita del reato367.
Un’altra parte della dottrina, minoritaria, inquadra l'errore sulle scriminanti e l'eccesso colposo nella teoria della colpevolezza e delle scusanti368.
Ebbene, se si tiene a mente la portata generale dell'istituto, la sua derivazione dai principi del sistema penale italiano, la sua natura di deviazione rispetto ai limiti propri delle diverse cause di giustificazione, esso risulta un utile strumento di inquadramento delle ipotesi “mediche” surriferite. Il consenso fonda e limita la scriminante insita nel carattere terapeutico dell'attività posta in essere dall’operatore sanitario, come indicato autorevolmente dalla pronuncia delle sezioni Unite. I casi in cui il terapeuta si comporta in modo superficiale o approssimativo, non tenendo nella dovuta considerazione le esigenze di puntuale informazione e di diligente acquisizione del consenso, o senza preoccuparsi eccessivamente della corrispondenza tra ciò che fa e ciò che era stato concordato col paziente, integrano l'eccesso rispetto ai limiti della scriminante indicato in modo vago ma coerente dalla regolamentazione del codice. Nelle suddette ipotesi, riconducibili alla figura dell'errore motivo, è quindi corretta l'imputazione colposa della condotta dolosa369.
Viceversa, allorquando il medico agisce nella consapevolezza di avere ben oltrepassato i suddetti limiti, in luogo dell'imputazione per colpa "impropria" va configurata l'imputazione dolosa delle lesioni.
Un’ipotesi di eccesso doloso potrebbe ad esempio ipotizzarsi in una fattispecie come quella del caso Massimo, in cui (considerando in special modo le pronunce di merito) è
366
Vedi, ad es., GALLO M., (voce) Dolo, in Enc. dir., vol. XII, p. 772 ss.; GROSSO C. F., L'errore
sulle scriminanti, Giuffrè, 1961, p. 63 ss. MANTOVANI F., Diritto penale, cit., p. 324; PAGLIARO A., Principi, cit., p. 451.
367
Ad es. ROMANO M., Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 1995, p. 616; FIANDACA G.-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 230.
368
Per tutti v. VENAFRO E., Scusanti, Giappichelli, 2002.
369
Per un caso nella giurisprudenza di merito in cui il medico per negligenza o imperizia non informi adeguatamente il paziente circa i rischi a cui va incontro, ottenendo perciò dallo stesso un consenso viziato in quanto non adeguatamente informato (error in intelligendo) v. Tribunale Torino, sezione I, sentenza 2/10/2006, in Diritto e Giustizia, n. 44, 2006, pag. 82, con nota di MARRA G..
-153-
possibile individuare un comportamento di deliberato disinteresse verso le determinazioni del malato.
Di certo, comunque, al fine di individuare il delicato e non sempre facile discrimen tra le due ipotesi, il giudice dovrà soppesare con equilibrio tutti gli elementi della vicenda, sì da ricostruire indiziariamente l'atteggiamento soggettivo del sanitario.
Si è obiettato che l'art. 55 c.p. non possa essere validamente impiegato nelle situazioni in considerazione, giacché l'erronea informazione del paziente dovuta a colpa medica non rappresenta il presupposto di un eccesso colposo né sub specie di erronea esecuzione della condotta giustificata, né in quella dell'errore di valutazione sui presupposti fattuali della causa di giustificazione: il medico non compie un errore sull'ampiezza della scriminante, ma più semplicemente impedisce con il suo comportamento antidoveroso che si formi un valido consenso e dunque, che si concretizzi una delle condizioni di legittimità della sua condotta370.
A tale critica si è ribattuto che la fisiologica relazione terapeutica che giustifica il trattamento nasce da una complessa interazione tra paziente e medico che aspira all'ideale di una compiuta reciproca comunicazione, ideale non impossibile e pur tuttavia non facile da realizzare. Proprio tale complessità porta a distinguere delle ipotesi, come quelle poste all’attenzione della recente giurisprudenza, in cui l’operato del medico non è completamente arbitrario: il consenso, pur non essendo del tutto mancante, presenta per qualche verso un'incompiutezza dovuta ad un atteggiamento superficiale del medico che giustifica il rimprovero e l'imputazione colposa. Pare, tuttavia, di incorrere in un’indebita forzatura nel caso in cui si equiparassero queste ipotesi e quelle in cui il medico agisce senza il consenso o addirittura contro la volontà del paziente e, quindi, dolosamente.
Un altro questione problematica relativa al ricorso agli artt. 55 e 59 c.p. deriva dal fatto che in precedenza (esattamente al punto 5 dei “considerato in diritto”) la Suprema Corte aveva escluso la riconducibilità del consenso informato all’art. 50 c.p., individuandone la natura in una condizione di liceità dell’attività medica.
Tuttavia, gli articoli 55 e 59 c.p. non sono altro che l’esplicazione di principi generali in tema di colpevolezza, i quali troveranno pertanto applicazione anche riguardo ad ipotesi sostanzialmente assimilabili alle cause di giustificazione, ipotesi che concernono direttamente il fatto tipico.
370
-154-
Va qui richiamata quella dottrina che ritiene i suddetti articoli superflui, potendo le norme in esse contenute ricavarsi già dai principi generali in tema di colpa (art. 43 c.p.), di errore di fatto (art. 47 c.p.) e di diritto (art. 5 c.p.)371.
E’ questo il motivo per il quale, ad es., la disposizione sull’eccesso colposo nei limiti delle scriminanti viene estesa analogicamente tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza al consenso dell’avente diritto, nonostante quest’ultimo non sia esplicitamente richiamato dall’art. 55 c.p..
Un’altra spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che la Corte ha voluto implicitamente far riferimento alla cosiddetta scriminante costituzionale, costruita attorno all’art. 32 della Costituzione, rappresentata dall’attività medica di tipo terapeutico, di cui il consenso del paziente sarebbe l’elemento fondante.
L’errore colposo sul consenso, essendo questo un imprescindibile elemento costitutivo della suddetta scriminante costituzionale, potrà allora a buon diritto rientrare nell’ambito applicativo degli artt. 55 e 59, comma IV, c.p..
Senonchè, ad analoga conclusione in termini di responsabilità colposa dovrà giungersi anche nel caso in cui il medico, non sia in errore sul consenso del paziente, ma deliberatamente e consapevolmente ometta di acquisire il suo previo consenso all’intervento o ometta di informarlo sui reali pericoli dell’intervento o sull’esistenza di terapie diverse.
In questa ipotesi, seguendo il ragionamento della Suprema Corte, non sarà integrato il dolo, mancando la volontà del medico di cagionare l’evento-malattia inteso come peggioramento complessivo della salute del paziente.
Per scongiurare il rischio di lasciare impunita questa condotta, si dovrà concludere allora nel senso della ricorrenza della colpa (specifica), consistente proprio nella violazione della regola (deontologica) che impone al medico l’acquisizione del consenso informato del malato.
E’ questo un orientamento prevalentemente dottrinario372, secondo il quale, appunto, l’acquisizione del consenso rientrerebbe tra le regole cautelari dell’arte medica373 e la
371
MANTOVANI F., Diritto penale, Padova, V ed., Cedam, 2007.
372
Contraria è la giurisprudenza. V., a questo riguardo, la recentissima Cassazione, Sezione IV, 24 giugno 2008, n. 37077, Marazziti, secondo la quale «il giudizio sulla sussistenza della colpa [...] non
presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o non il consenso informato del paziente». 373
In questo senso v. RAMAJOLI S., op. cit., nonchè VENEZIANI P., I delitti contro la vita e
l'incolumità individuale, II, I delitti colposi, Cedam, 2003, op. cit., p. 308 ss. Nello stesso senso, in
precedenza, cfr. già GRISPIGNI F., La responsabilità penale per il trattamento medico-chirurgico
-155-
sua violazione comporterebbe, di per sé, indipendentemente dal rispetto degli altri canoni dell’ars medica, la responsabilità a titolo colposo del medico per le conseguenze dannose, infauste dell’operazione non previamente assentita.
Il mancato interpello del paziente determinerebbe lo sconfinamento del rischio insito nell’esercizio dell’attività medica dall’area di rischio consentito dall’ordinamento o, in altre parole, il mancato trasferimento della responsabilità del rischio di danni alla salute dal medico al malato374.
E’ evidente che la proposta dottrinale in esame tenta di superare il diktat tra la gravosa responsabilità a titolo di lesioni dolose e la totale impunità del medico che deliberatamente agisca senza previo consenso informato.
Si tratta, però, di una posizione teorica che presta il fianco alle critiche di chi mette in evidenza la difficoltà di ricondurre la suddetta regola di condotta entro la categoria delle norme a finalità cautelare.
Queste ultime sono quelle regole di condotta che prescrivono comportamenti, attivi od omissivi, non tenendo i quali è prevedibile e tenendo i quali è evitabile il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso.
Il principio del consenso informato, invece, non risponde, di tutta evidenza, all’esigenza di prevenire ed evitare eventi dannosi non voluti, bensì a quella di permettere al malato di partecipare a pieno titolo alle scelte terapeutiche che riguardano la sua salute. Non di regola cautelare si tratta, pertanto, bensì di norma di divieto che impone al medico operante di astenersi dall’intervenire in assenza del coinvolgimento decisionale dell’infermo375.
In un unico caso la mancata acquisizione del consenso potrebbe avere rilevanza come elemento fondante la colpa: allorquando, la mancata sollecitazione del consenso informato abbia finito con il determinare, in via indiretta, l'impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un'anamnesi completa. Si pensi, per es., alla mancata conoscenza di un'allergia ad un determinato trattamento
374
AGNINO F., op. cit., p. 110.
375
Chiarissimo sul punto è Cassazione, Sezione IV, 24 giugno 2008, n. 37077, Marazziti: «Non è [...]
possibile ipotizzare la mancanza di consenso quale elemento della colpa, perché l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza. Ciò in quanto l'acquisizione del consenso non è preordinata (in linea generale) ad evitare fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), ma a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta libera e consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione di una norma costituzionale».
-156-
farmacologico o alla mancata conoscenza di altre specifiche situazioni del paziente che la sollecitazione al consenso avrebbe portato all’attenzione del medico.
Si tratta, tuttavia, di una ipotesi marginale, laddove l’assenza di congruo interpello del paziente rileva non direttamente ma come riflesso, come indice sintomatico del superficiale approccio del medico all'acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico.
Ovviamente altra cosa è la regola cautelare generale che impone al medico di controllare che il consenso informato del paziente sia veramente libero, consapevole e