54 1.9 L’adempimento del dovere.
1.14 La tesi dell’autolegittimazione dell’attività medica.
Per un diverso approccio ermeneutico, l’attività del medico non abbisogna di alcuna causa di giustificazione, nascendo, per così dire, essa stessa come attività lecita, del tutto atipica rispetto a qualsiasi fattispecie incriminatrice, trattandosi di attività configurante una sorta di stato di necessità generale ed istituzionalizzato, intrinseco all'attività stessa. Non si tratta, però, della causa di giustificazione ex articolo 54 c.p., ma solo del riconoscimento
174
ANTOLISEI F., Diritto penale, parte generale, Giuffrè, 2003, p. 232 s.; PEDRAZZI C., Consenso
dell'avente diritto, in Enc. dir., vol. IX, p. 144; VASSALLI G., Alcune considerazioni sul consenso del
paziente e lo stato di necessità nel trattamento medico-chirurgico, in Scritti giuridici, Giuffrè, 1997, p. 762
ss.; AMISANO M., Le esimenti non codificate, Giappichelli, 2003, p. 127; sul consenso informato quale causa di giustificazione atipica, v. VERGALLO G. M., op. cit., p. 22.
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della atipicità della condotta terapeutica del medico rispetto a qualunque fattispecie incriminatrice, quale quella delle lesioni personali o della violenza privata.
La principale teoria di questo filone interpretativo è costituita dalla tesi dell’autolegittimazione dell’attività medica175.
Nella versione più accreditata176 uno dei presupposti di questa legittimazione (oltre, ad es., alla osservanza delle leges artis) è rappresentato proprio dal consenso del malato, ad evitare che scelte terapeutiche unilaterali ed invalidanti, implicanti financo mutilazioni ed asportazioni di organi ed apparati, siano in radice penalmente irrilevanti per il solo fatto di essere in qualche guisa collocate nell'area “atipica” dell'attività medico-chirurgica, essendo finalisticamente dirette alla cura del malato.
In questa cornice esplicativa la cura non è né un dovere, né una potestà o un diritto del medico, bensì è una facoltà che necessita, per la sua piena esplicazione, dell’autorizzazione del paziente. Il consenso è visto come atto negoziale o autorizzativo volto a rimuovere un limite all’esercizio dell’attività medica177.
Tale tesi, a ben riflettere, non è altro che la riproposizione dell’antica dottrina dell’adeguatezza sociale dell’attività medica, tesi ormai definitivamente abbandonata in quanto facente riferimento a categorie concettuali di tipo extragiuridico.
Secondo quest’ultima l’attività medica andrebbe considerata lecita perché i vantaggi legati al suo svolgimento sono complessivamente superiori ai danni ad essa inevitabilmente correlati178, sarebbe un’attività socialmente adeguata, accettata dalla collettività perché, ad una valutazione complessiva della sua utilità, più benefica che dannosa.
175
In dottrina per la valorizzazione del concetto di autolegittimazione vedi IADECOLA G., Sulla
configurabilità del delitto di omicidio preterintenzionale in caso di trattamento medico con esito infausto, praticato al di fuori dell'urgenza e senza consenso del paziente, in Cass. Pen., 2002, p. 529, nonchè
IADECOLA G., Ancora in tema di rilevanza penale, cit., p. 2663. Questa tesi è condivisa altresì da MANNA A., Le «nuove frontiere», cit., p. 469; precedentemente, era stata avanzata da VASSALLI G., Alcune
considerazioni sul consenso del paziente e lo stato di necessità nel trattamento medico-chirurgico, in Arch. pen., 1973, I, p. 81.
176
Cfr oltre a proposito della sentenza della Cassazione sul caso Firenzani, nonché alla pronuncia delle S.U. sul caso Giulini.
177
Il consenso informato: aspetti giuridici, etici e medici/atti raccolti a cura di Giustizia e
costituzione, Associazione di studi giuridici e costituzionali Emilio Alessandrini. – Ancona, Nuove ricerche, 1997, Convegno tenuto a Senigallia nel 1996, p. 93.
178
Tesi di derivazione tedesca, proposta in Italia Bettiol, su cui vedi AGNINO F., op. cit., p.72; FIORE C., L'azione socialmente adeguata, Jovene, 1966, p. 25 ss., p. 126 ss.; FIORE C., Diritto penale, Utet, 2004, p. 296 ss.; GREGORI G., Adeguatezza sociale e teoria del reato, Cedam, 1969; VIGANÒ F.,
Profili penali del trattamento chirurgico eseguito senza il consenso del paziente, in Riv. it. dir. e proc. pen.,
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I pregiudizi inevitabilmente conseguenti ai trattamenti terapeutici, pur essendo esteriormente corrispondenti a fattispecie penali incrimininatrici, non costituirebbero illeciti penali in quanto meri effetti collaterali di una attività nel complesso valutata positivamente dal consesso sociale.
La critica principale che viene mossa a questo modello esplicativo e, per le evidenti assonanze, anche a quello dell’esercizio del diritto, oltre a quella di essere eccessivamente tributario ad una visione paternalistica dei rapporti tra medico e paziente (con conseguente ridimensionamento del ruolo della volontà del paziente)179, è rappresentata dalla sua genericità ed astrattezza180, in palese contrasto col principio della certezza del diritto.
Non v’è dubbio che la pratica medica, attività nobile come poche181, sia tutelata, promossa, incentivata, finanziata dall’ordinamento in varie forme. Ma il vero problema è che si tratta pur sempre di una autorizzazione normativa di tipo astratto, che non può escludere che, a livello delle singole condotte concrete degli operatori sanitari, possano dirsi integrati illeciti penali.
Per fare un esempio simile, anche l’attività delle forze dell’ordine viene riconosciuta e tutelata dall’ordinamento in quanto indispensabile per il mantenimento dell’ordine pubblico e per la sopravvivenza stessa dello Stato. Nessuno dubita, però, che essa possa dar luogo a molteplici fattispecie penali se eseguita con modalità illegali: si pensi, fra i molteplici esempi che si potrebbero addurre, ad un arresto effettuato in assenza delle condizioni di flagranza di reato. Anche qui, come per l’attività medica, il cuore del problema è quello di individuare i limiti dell’autorizzazione dell’ordinamento e di verificare, nel caso concreto, il loro eventuale superamento.
Inoltre, si può pure aderire alla teoria della atipicità, ma, se (come sembra inevitabile) si considera il consenso quale elemento decisivo della liceità dell'intervento chirurgico, l'atto medico compiuto senza il consenso rimane oggettivamente illecito. La soluzione del problema non può che passare attraverso la compiuta decifrazione del ruolo della volontà del paziente: la tesi dell'atipicità appare da sola nulla più che un’argomentazione seducente per orientare la soluzione di un problema che affonda, invece, nella considerazione dei valori in gioco e nella loro ponderazione comparativa.
179
CATALDI R., op. cit., p. 35.
180
DASSANO F., op. cit., p. 97.
181
MANNA A., Trattamento sanitario arbitrario: lesioni personali e/o omicidio, oppure violenza
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Il quadro delle cause di giustificazione mostra, poi, situazioni del tutto analoghe a quella del trattamento medico abusivo che, tuttavia, vengono unanimemente fatte rientrare nel solco delle scriminanti. Come evidenziato sopra, la condotta del funzionario di polizia che arresta in flagranza (magari anche ricorrendo alla violenza fisica) l'autore di un reato è notevolmente diversa da quella del sequestratore o dell’aggressore e tuttavia senza dubbio siamo all’interno del terreno dell'adempimento di un dovere scriminato, rappresentante la manifestazione di un'importante funzione istituzionale e sociale, col risultato che, se non vengono rispettati i limiti e presupposti del dovere scriminante, la condotta del poliziotto sarà legittimamente equiparata a quella del malvivente182.
Complessivamente, si può dunque affermare che la tesi dell'atipicità mostra molteplici profili problematici, giacché offre spazio alla svalutazione del ruolo del consenso (e, quindi, alla regressione verso interpretazioni paternalistiche della professione medica) e svaluta il dato naturalistico, l'evento costituito dagli effetti invalidanti scaturenti dall’intervento chirurgico.