E’ importante rilevare come la collocazione del consenso informato tra le scriminanti o tra le cause di esclusione della tipicità dei reati non è del tutto indifferente dal punto di vista pratico, dal momento che porta con sé alcune significative conseguenze concrete.
Mentre il consenso improprio, il consenso inteso, cioè, come limite di fattispecie penale, ha una natura prettamente fattuale e, quindi, sarà tendenzialmente sufficiente un consenso comunque manifestato, a prescindere dai vizi di capacità e volontà
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Sulla concezione personale del bene giuridico, vedi soprattutto HASSEMERW., Grundlinien einer
personalen Rechtsgutslehre, in Festchrift f¨ur CHauffman, Heidelberg, 1989, p. 85 ss., come citato da
TORDINI CAGLI S., Principio di autodeterminazione e consenso dell'avente diritto, Bologna, Bononia University Press, 2008, nonché ABBAGNANO TRIONE A., Considerazioni sul consenso del paziente al
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dell’interessato; il consenso proprio, cioè il consenso quale causa di giustificazione, ha una matrice più giuridica135.
E pertanto, attingendo alle scriminanti, vi è modo di orientare più facilmente la risoluzione dei casi in cui l'atto medico è affetto da “vizi” del consenso. Essi, infatti, possono essere inquadrati facendo ricorso alle norme un tempo ricondotte entro la categoria della cosiddetta colpa impropria e riguardanti quelle situazioni in cui si verifica un errore sull'esistenza di una scriminante, addebitabile ad un atteggiamento colposo dell’agente, o in cui i limiti della scriminante vengono superati, sempre a causa di un atteggiamento interiore del soggetto imputabile a titolo di colpa. Tali ipotesi trovano un’esplicita regolamentazione negli artt. 55 e 59 comma 4 c.p.136.
È vero che l'eccesso colposo nelle scriminanti è previsto solo per le esimenti di cui agli artt. 51, 52, 53 e 54 c.p.; tuttavia da più parti è stato osservato che la norma costituisce espressione di principi generali dell'ordinamento penale desumibili dalle disposizioni in tema di dolo, colpa, errore sul fatto, errore sulle scriminanti (art. 59, comma 4, c.p.) e che, quindi, essa è applicabile senza dubbio a tutte le cause di giustificazione137.
Secondo l’impostazione del consenso quale causa di atipicità, invece, non avrebbero rilevanza i vizi del consenso ed, inoltre, sarebbe sufficiente la capacità naturale del soggetto consenziente. Per l’impostazione del consenso quale esimente, oltre al fatto che,
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PAGLIARO A., Principi di Diritto penale, Milano, Giuffrè, 1996. Per un’ampio approfondimento sul punto, cfr GIUNTA F., Il consenso informato all'atto medico tra principi costituzionali e implicazioni
penalistiche, in Riv. it. dir. e proc. pen., vol. I, 2001, p. 377; AZZALI G., Trattamento sanitario e consenso informato, in Ind. pen., 2002, p. 940.
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Sull'utilità di tale normativa ai fini della risoluzione dei casi di cui si discute, cfr BILANCETTI M.,
Le conseguenze di rilevanza penale e civile del consenso invalido. Il consenso informato: un continente ancora da esplorare?, in Riv. it. med. leg., 2003, p. 959; VIGANÒ F., Profili penali del trattamento chirurgico eseguito senza il consenso del paziente, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, pag. 186. Per una
applicazione concreta di questo principio si veda il caso Firenzani, su cui parleremo funditus in seguito. Un paziente aveva gravi problemi al ginocchio sinistro ed aveva accettato di sottoporsi ad un intervento chirurgico. Il chirurgo negligentemente lo operava all'altro ginocchio, che, guarda caso, risultava ugualmente affetto da patologia. È chiaro che il paziente non aveva dato il suo consenso a quell'intervento, come è altrettanto chiaro che il medico era soggettivamente persuaso di essere nel giusto e di operare per il meglio con l’autorizzazione del paziente. Nessun dubbio sull'esistenza di un'erronea, colposa supposizione di una causa di giustificazione e sull'applicabilità del richiamato quarto comma dell'art. 59 c.p. Si tratta di una situazione che la Corte Suprema riconosce nella motivazione e che, tuttavia, trova difficoltà a collocare nella sua corretta cornice normativa.
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Così, ad esempio, ROMANO M., Giustificazione e scusa nella liberazione da particolari
situazioni di necessità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, p. 45 e ROMANO M., Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, Giuffrè, 2004, p. 531 s.; PAGLIARO A., Principi di Diritto penale, Milano,
Giuffrè, 1996, p. 453; MANTOVANI F., Diritto penale, parte generale, Cedam, Padova, 2001, p. 288. In senso favorevole all'applicabilità dell'art. 55 c.p. alla patologia del consenso PEDRAZZI C., (voce),
Consenso dell'avente diritto, in Enc. dir., vol. IX, 1961, p. 140 ss.; FIORE S., Cause di giustificazione e fatti colposi, Cedam, 1996, p. 74 ss.
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come visto, i vizi del consenso rilevano giusta il disposto degli artt. 55 e 59 c.p., occorrerebbe, secondo alcune posizioni, la capacità legale del soggetto consenziente138.
Nessuna incidenza si avrà, invece, sul piano dell’onere della prova, dato che in ogni caso sulla pubblica accusa graverà l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi delle fattispecie incriminatrici interessate (compresa eventualmente la insussistenza nel caso concreto di alcuna causa di giustificazione), nel rispetto del principio costituzionale sulla presunzione di non colpevolezza.
Va osservato a questo riguardo come l’art. 530 c.p.p. stabilisca che l’imputato vada assolto non solo quando venga dimostrata la ricorrenza di una scriminante, ma anche quando sussista il dubbio sulla sua esistenza.
L’imputato, pertanto, non avrà l’onere di dimostrare la ricorrenza di una esimente, bastandogli la mera allegazione della stessa, spettando al pubblico ministero (ed eventualmente alla accusa privata, la parte civile) l’onere di provare la sua non ricorrenza nel caso concreto139.
Dall’adozione dell’una o dell’altra impostazione dogmatica, dunque, non deriva un maggiore o minore carico probatorio in capo al medico, spettando in ogni caso al pubblico ministero il compito dimostrare la ricorrenza di tutti gli elementi della fattispecie penale, compresi quelli a contenuto negativo.
Le stesse conclusioni non possono invece riferirsi al diritto civile, ove, a seconda che si intenda il consenso informato come causa di esclusione della antigiuridicità della condotta o elemento negativo di fattispecie, muterà la distribuzione dell’onere della prova sulle parti140.
Anche la formula di proscioglimento ex art. 530 c.p.p. cambia a seconda che il consenso sia considerato causa di giustificazione o causa di esclusione della tipicità (“perché il fatto non costituisce reato”, nel primo caso; “perché il fatto non sussiste” o “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” nel secondo caso) e questo può avere delle ricadute concrete in sede civilistica sul piano risarcitorio141.
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V. sul punto MANTOVANI F., Diritto Penale, p.g., op. cit., pag. 263.
139
DASSANO F., op. cit., p. 31.
140
VERGALLO G. M., op. cit., p. 21.
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Si noti che qualora venga riconosciuta la sussistenza dello stato di necessità, sul piano civile è dovuta comunque un’indennità in favore del danneggiato, giusta il disposto di cui all’art. 2045 c.c. (Quando
chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato, né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice).
Sulla formula di proscioglimento “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” si veda VIGANÒ F., Profili pen.., op.cit., 2004, pag., 146.
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In caso di consenso proprio, poi, giusta il disposto di cui all’art. 59, I co., c.p. (Circostanze non conosciute o erroneamente supposte: Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti) certamente avrà rilevanza anche l’errore putativo142, mentre è dubbia la sua riferibilità al consenso improprio.