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I codici di deontologia medica quali modelli normativi cui dovrebbe ispirarsi il legislatore italiano.

1.5 Le fonti normative del consenso informato.

1.5.5 I codici di deontologia medica quali modelli normativi cui dovrebbe ispirarsi il legislatore italiano.

Un’altra fonte di regolamentazione del consenso informato, l’unica in cui il consenso trovi una disciplina ad ampio spettro, è rappresentata dalla normazione in campo di deontologia medica117.

Si tratta di un settore estremamente dinamico ed al passo con i tempi, dove è possibile registrare, nell'arco degli ultimi due decenni, una marcata evoluzione della disciplina nel senso di un pieno riconoscimento dell'autonomia di scelta del malato.

115

V. su questo PARIOTTI E., op. cit.

116

Cfr. VERGALLO G. M., op. cit., p. 30

117

I testi dei codici deontologici del 1995 e 1998 sono riportati da AZZALI G., Trattamento sanitario

e consenso informato, in Ind. pen., 2002, p. 925. Le norme deontologiche sono richiamate e commentate da

BILANCETTI M., La responsabilità penale e civile del medico, Padova, 2006, passim; IADECOLA G., Il

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Tale processo evolutivo è il chiaro segno di una parallela evoluzione culturale nella società circa l’importanza dei valori dell’autonomia e della autodeterminazione terapeutica118.

Già a partire dalla fine degli anni ottanta ed in maniera più evidente nei codici deontologici del 1995 e, soprattutto, del 1998 e del 2006, la disciplina di autoregolamentazione medica è stata la prima ad uniformarsi alle spinte riformistiche provenienti dalla legislazione nazionale straniera, in primis quella anglosassone119, e da quella internazionale, contribuendo così in maniera sensibile al superamento culturale della anacronistica visione paternalistica dei rapporti medico-paziente in favore di una più moderna concezione, basata invece sulla cosiddetta “alleanza terapeutica”.

Ad esempio, già nel codice deontologico del 1998 viene chiaramente riconosciuto il principio secondo il quale il medico non è il detentore di un diritto o potestà di curare a fronte di una posizione di soggezione del malato, visto quale oggetto piuttosto che soggetto di cura.

Il medico è titolare semplicemente di una facoltà che, per potersi pienamente esplicare, necessita dell'autorizzazione del malato.

Basti vedere, a questo proposito, gli articoli 30, 32 e 34 del codice del 1998 o l'art. 35 del codice attualmente vigente del 2006.

L'art. 30 del codice del 1998 ha previsto, ad esempio, che il medico debba fornire al paziente “la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate”. Inoltre, il medico dovrà fornire al paziente tutte le informazioni aggiuntive che gli siano specificatamente richieste.

L'art. 32 ha previsto che il medico non debba intraprendere alcuna attività diagnostica o terapeutica senza la previa acquisizione del consenso informato del paziente, con l'ulteriore necessità della forma scritta per la manifestazione di tale consenso nell'ipotesi in cui la prestazione da eseguire determini possibili rischi per l'integrità fisica dell’individuo.

118

VERGALLO G. M., op. cit., p. 14.

119

Il tema del consenso informato è oggetto di attenzione in tutti gli ordinamenti giuridici contemporanei; per una sintesi dei problemi posti nell'ordinamento nord-americano, vedi JASANOFF S., La

scienza davanti ai giudici. La regolazione giuridica della scienza in America, Giuffrè, 2001 (spec. p. 177

ss.). A commento del recente intervento normativo in Spagna, vedi Cacace, Legge spagnola n. 41/2002 e

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L'art. 34 prescrive che “il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona”.

Analoghi principi sono stati confermati anche nel successivo codice deontologico, approvato il 16 dicembre 2006, il cui art. 35 ribadisce, appunto, che il“medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente", e che - a riprova del principio della centralità della volontà del paziente come limite ultimo dell'esercizio della attività medica - “in presenza di un documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona”.

Come è noto, particolarmente discussa è l’efficacia giuridica dei codici deontologici (e dunque anche delle norme in esso contenute sul consenso informato), in base alla considerazione secondo la quale le norme di autoregolamentazione delle varie categorie professionali non hanno la caratteristica di disposizioni valide per l’intero ordinamento, trattandosi di regole emanate da comunità ristrette e destinate a trovare esecuzione solo all’interno di dette comunità, in difetto di espressa previsione legislativa che attribuisca loro rilevanza per l’ordinamento giuridico generale (come avviene ad es. in certi paesi europei)120.

Certa dottrina attribuisce rilevanza giuridica ai codici deontologici quali forme di integrazione della colpa professionale. Essi rappresenterebbero una esemplificazione del concetto di “discipline” di cui all’art. 43 c.p. (colpa specifica), atteso che, come è noto, le regole cautelari scritte non necessariamente devono avere natura di norme statuali, o, più in generale, dei concetti della diligenza professionale o della correttezza del medico (colpa generica)121.

Secondo questa impostazione la norma che impone al medico di acquisire il consenso informato del paziente prima di qualsiasi trattamento terapeutico potrebbe essere

120

V. Cons. St., Sezione IV, 17 febbraio 1997 e Sezioni Unite della Cass., 24 maggio 1975, n. 2104. In buona sostanza, tali norme operano quali regole interne della particolare categoria professionale alla quale si riferiscono, non trasformandosi in norme dell'ordinamento giuridico generale (così invece in Francia dove il codice viene adottato con atto di valore normativo: vedi il decreto n. 95/100 del 6 settembre 1995).

121

VERGALLO G. M., op. cit., p. 36. In giurisprudenza i doveri deontologici sono stati ritenuti «rilevanti come discipline ex art. 43 c.p.» da App. Torino, 8 gennaio 1990, Alongi.

Per lo stesso motivo, secondo alcuni, integrerebbero delle ipotesi di colpa specifica anche le violazioni delle (innumerevoli) leggi regionali sul consenso informato: RAMAJOLI S., Trattamento chirurgico con

esito infausto senza che sussistano lo stato di necessità e il consenso informato del paziente: conseguenze penali a carico dell'operatore, in Giust. pen., 1996, II, p. 124; DASSANO F., op. cit., p. 180.

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intesa quale regola cautelare e la sua violazione potrebbe comportare un addebito in termini di colpa a carico del medico.

Come si vedrà meglio in seguito, contro questa posizione si obietta che la norma sul consenso informato non ha la finalità di dettare delle cautele allo scopo di una riduzione dei rischi imprescindibilmente connessi agli interventi chirurgici, ma ha il ben diverso obiettivo di tutelare il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente.

Altre posizioni attribuiscono alle norme deontologiche, quantomeno, il valore di strumenti ermeneutici idonei alla precisazione di principi generali, come quelli dell’adeguatezza dell’informazione, della libertà del consenso e, in ultima analisi, del principio del rispetto dell’autodeterminazione dell’individuo122.

Certamente la norma deontologica non potrà avere rilevanza quale fonte dell’obbligo giuridico di impedire l’evento di cui all’art. 40 c.p., mancando in essa il carattere di norma giuridica, norma, cioè, valida per l’intero ordinamento123.

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