MOTIVI DELLA DECISIONE
F) rilievi conclusivi su cause della lesione ed insorgenza dei sintom
Ritiene il tribunale, all’esito della disamina dei documenti prodotti e delle valutazioni tecniche espresse che, in conclusione, più aderente alla documentazione sanitaria ed all’esame del complessivo decorso post-operatorio, l’ipotesi che la peritonite si sia manifestata dopo la dimissione, verosimilmente, come peraltro ipotizzato anche dal consulente della parte civile, a seguito della caduta dell’escara che, creando il contatto con la cavità intestinale, ha provocato la diffusione del materiale enterico.
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Così ricostruita, in fatto, la vicenda, devono affrontarsi le problematiche relative all’inquadramento giuridico della fattispecie concreta ed alla possibilità, quindi, di sussumere la condotta in concreto tenuta dai due imputati in una fattispecie di rilievo penale, premettendo, tuttavia, alcune brevi osservazioni in ordine al capo di imputazione.
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G) L’esame del capo di imputazione rivela, a parere del tribunale, la fragilità dell’ipotesi accusatoria.
Il Riga e l’Emiliozzi, sono infatti chiamati a rispondere del “reato di cui agli artt. 113, 590, I e II co., in relaz. all’art. 583, I co. n. 1 e 2 cp, per avere, in cooperazione colposa tra loro, per colpa – con imprudenza e negligenza -, cagionato a Giuseppe Vitale, in relazione all’intervento di “marsupializzazione” di formazione cistica del rene dx in laparoscopia effettuato in data 28.5.2003 ed alle successive cure, lesioni personali consistite in una “perforazione iatrogena dell’ileo terminale realizzatasi in corso di videolaparoscopia e foriera, nel post-operatorio, di complicanza settica endoperitoneale localizzata (peritonite saccata stercoracea)”, che determinarono una incapacità di attendere le ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni ed un indebolimento permanente dell’organo parete addominale; in particolare per avere, ciascuno nelle rispettive qualità: RIGA Tommaso, Dirigente medico di Urologia in servizio presso l’Unità di Urologia dell’Ospedale S. Giovanni di Roma che non descrisse, nel consenso informato richiesto, il maggior rischio operatorio al paziente dovuto al suo stato ponderale ed omise la valutazione dei dolori addominali manifestatisi sia in 2^ (30.5.2003) che in 3^ (31.5.2003) giornata post-operatoria in soggetto a rischio dovuto alla sua obesità, non annotando nella cartella clinica tale situazione; EMILIOZZI Paolo, medico in servizio presso la predetta Unità di Urologia che il giorno 31.5.2003 procedette alla precoce dimissione del paziente VITALE, sottovalutando i dolori addominali da lui lamentati, non tenendo comunque conto del maggior rischio di perforazione nel paziente in quanto obeso, che occorreva trattenere qualche giorno in più ricoverato; onde scongiurare successivi ricoveri, come avvenne dal 2.6.2003 all’8.7.2003, a causa del manifestarsi di una peritonite stercoracea causata da perforazione ileale”.
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Dalla lettura del capo di imputazione emerge quindi che al Riga è contestato il delitto di lesioni personali colpose gravi, consistendo la colpa nel non aver fornito al paziente tutte le informazioni necessarie, in particolare non descrivendo, nel consenso informato richiesto, il maggior rischio operatorio dovuto allo stato ponderale e nell’aver omesso la valutazione dei dolori addominali manifestatisi sia in 2^ e 3^ giornata post-operatoria non annotando nella cartella clinica tale situazione; mentre all’Emiliozzi è contestato il medesimo reato consistendo, per tale imputato, la colpa nell’aver sottovalutato i dolori addominali lamentati dal Vitale e nel non aver tenuto conto del maggior rischio di perforazione nel paziente in quanto obeso, che occorreva trattenere qualche giorno in più ricoverato.
Da tali condotte sarebbe derivato l’evento lesivo, consistito nella “perforazione iatrogena dell’ileo terminale realizzatasi in corso di videolaparoscopia e foriera, nel post-operatorio, di complicanza settica endoperitoneale localizzata (peritonite saccata stercoracea)” con conseguente incapacità di attendere le ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni ed un indebolimento permanente dell’organo parete addominale; inoltre, si indica nel capo di imputazione, le condotte omesse sarebbero state doverose, al fine di “scongiurare successivi ricoveri, come avvenne dal 2.6.2003 all’8.7.2003, a causa del manifestarsi di una peritonite stercoracea causata da perforazione ileale”.
Si tratta di un capo di imputazione che, a parere del tribunale, offre spunti di valutazione critica. Quanto al Riga, infatti, si ipotizza una condotta cosciente e volontaria – aver omesso di indicare al Vitale il maggior rischio di perforazione ileale derivante dalla sua obesità – per poi farne derivare una responsabilità a titolo di colpa per le lesioni verificatesi quale complicanza dell’intervento, in sé correttamente eseguito.
E’ noto che, in tema di rilevanza penale della condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato del paziente sottoponga lo stesso ad un determinato trattamento chirurgico, prima della recentissima decisione della Cass. S.U. sent. N. 2437 del 18 dicembre 2008, si contrapponevano due orientamenti, un primo secondo il quale il consenso del paziente fungerebbe da presupposto di liceità del trattamento medico, con la conseguenza che la mancanza di un consenso opportunamente informato del malato, o la sua invalidità per altre ragioni, determinerebbe l’arbitrarietà del trattamento medico e la sua rilevanza penale, ed un secondo, per il quale la volontà del paziente svolgerebbe un ruolo decisivo soltanto quando sia espressa in forma negativa, essendo il medico legittimato a sottoporre il paziente affidato alle sue cure al trattamento terapeutico che giudica necessario alla salvaguardia della salute dello stesso, anche in assenza di un esplicito consenso. E tuttavia, aderendo, come evidentemente ha ritenuto di dover fare il pubblico ministero nel formulare l’imputazione, alla prima delle due tesi, l’ipotesi delittuosa configurabile sarebbe, secondo una opinione, quella delle lesioni volontarie e, secondo altra opinione, quella della violenza privata, ma non quella delle lesioni colpose, salvo il caso in cui la mancata sollecitazione del consenso abbia impedito di acquisire la necessaria conoscenza delle condizioni del paziente
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medesimo, ovvero nelle ipotesi in cui – “a seconda dei casi e delle varianti che può assumere il vizio del consenso informato – si possa configurare un errore sulla esistenza di una scriminante, addebitabile ad un atteggiamento colposo, ovvero allorché i limiti della scriminante vengano superati, sempre a causa di un atteggiamento rimproverabile a titolo di colpa” (Cass. S.U. cit.). Tuttavia di tale addebito non v’è traccia nel capo di imputazione che fa discendere dalla mancata acquisizione del consenso la addebitabilità a titolo di colpa delle lesioni.
Ma a rilievi critici ancora maggiori si espone l’ipotesi accusatoria con riferimento all’imputato Emiliozzi.
Questi infatti è chiamato a rispondere del delitto di lesioni colpose gravi consistendo, per tale imputato, la colpa nell’aver sottovalutato i dolori addominali lamentati dal Vitale e non tenendo comunque conto del maggior rischio di perforazione nel paziente in quanto obeso, che occorreva trattenere qualche giorno in più ricoverato.
Da tali condotte sarebbe derivato l’evento lesivo indicato negli stessi termini già visti per il Riga. E’ evidente, tuttavia, che all’Emiliozzi non poteva essere contestata quale conseguenza della sua azione la lesione consistente nella perforazione iatrogena dell’ileo, non avendo egli preso parte alcuna all’atto chirurgico.
Pertanto, o all’epoca della dimissione la peritonite era già in fase conclamata, ed allora l’addebito sarebbe quello di aver dimesso il paziente che presentava una patologia che richiedeva il ricovero e sarebbe del tutto illogico il riferimento al rischio da evitare, individuato nell’esigenza di scongiurare successivi ricoveri; ovvero la patologia non era ancora conclamata ed, allora, alcun addebito avrebbe potuto essere mosso all’Emiliozzi.
In buona sostanza in forma che appare contraddittoria, si afferma nel capo di imputazione che al fine di scongiurare successivi ricoveri, il Vitale avrebbe dovuto essere trattenuto, così anticipando quell’evento, ricovero, da scongiurare.
Già quindi ad una prima lettura la imputazione formulata a carico dei due imputati appare, per certi aspetti, poco logica, contraddittoria.