Il tema delle conseguenze penali del consenso informato è, come sembra emerga chiaramente dalla ricerca che qui si conclude, un tema estremamente complesso, nel quale si intrecciano, oltre ai profili penalistici, considerazioni di matrice costituzionale, medica, bioetica, religiosa, di politica giudiziaria del diritto.
Si tratta in altri termini di una tematica interdisciplinare che coinvolge competenze e sensibilità di natura diversa, da quelle proprie della scienza medico-legale a quelle dei filosofi del diritto.
Non deve stupire, pertanto, che intorno alla materia de qua si sono accesi contrasti e registrate oscillazioni sia in campo giurisprudenziale che dottrinario.
Inevitabile, nel processo decisionale, è un certo tasso di discrezionalità, che affonda a sua volta le proprie radici nella concezione, anch’essa al centro di forti contrapposizioni, dei rapporti fra autorità e libertà, fra autodeterminazione ed indisponibilità dei diritti.
Del resto anche le norme penali in considerazione si prestano, per il loro carattere di ambiguità ed indeterminatezza, ad interpretazioni diametralmente opposte. Concetti come malattia, violenza, costrizione possono avere significati ben diversi a seconda del sistema di valori adottato come riferimento. La stessa ratio di tutela delle lesioni non aiuta in questo difficile compito di ricostruzione esegetica, attesa la difficoltà stessa, come abbiamo visto, di individuare con esattezza quale sia l’interesse giuridico tutelato dalla norma.
Non manca chi ha parlato della sussistenza, in tema, di una vera e propria antinomia di regole, un contrasto irrisolvibile tra norme contrastanti406, per superare il quale l’unica via d’uscita sarebbe rappresentata da un intervento risolutore del (fino ad ora estremamente pigro) legislatore.
E’ probabile in tutto ciò che la Suprema Corte, in base al ruolo nomofilattico assegnatole dall’ordinamento, nell’adottare una linea interpretativa sostanzialistica, orientata alla considerazione delle conseguenze concrete dell’intervento non consentito, abbia fatto pesare soprattutto valutazioni di vera e propria politica criminale del diritto.
406
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Ha pesato, cioè, la preoccupazione di riservare il consistente e spinoso filone del contenzioso sul consenso informato al campo civilistico, dove esso già da tempo viene trattato e discusso, con soluzioni ermeneutiche abbastanza consolidate e condivise.
In questo senso va letto il richiamo delle Sezioni Unite, in avvio dell’iter motivazionale, al principio del diritto penale come extrema ratio, e segnatamente anche nella risoluzione dei conflitti giuridici tra medico e paziente.
Probabilmente la Corte ha tenuto altresì conto della già elevatissima esposizione a rischio penale della professione medica a causa delle interpretazioni estremamente rigoristiche della giurisprudenza in tema di colpa medica. Basti pensare, per es., a quell’orientamento più che consolidato che esclude la possibilità di estendere alla materia penale il limite di responsabilità della colpa grave di cui all’art. 2226 c.c.407.
E di sicuro sono stati attentamente valutati i rischi legati alla possibilità di un uso strumentale delle doglianze relative al difetto del consenso informato, pur in assenza di reali danni subiti, da parte di pazienti animati da esclusive finalità ricattatorie nei confronti dei sanitari.
Ha contribuito alla suddetta soluzione ermeneutica anche la recente giurisprudenza civile di legittimità sul risarcimento del danno non patrimoniale (si veda la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite civili, 11 novembre 2008, n. 26972), secondo la quale la lesione di diritti costituzionalmente protetti trova tutela nell’articolo 2059 c.c. anche a prescindere dalla concomitante violazione di una norma penale, come invece si era ritenuto sino a non molto tempo prima408.
Sicchè la lesione del diritto al consenso informato, quale bene di sicura rilevanza costituzionale, farà sorgere, di per sé, (indipendentemente dalla ricorrenza di un concomitante danno biologico), in capo all'operatore sanitario l'obbligo di risarcire il danno non patrimoniale patito dal paziente, ossia la violazione della sua possibilità di scegliere se e in che modo curarsi, purché vi sia la prova che il soggetto ammalato, se adeguatamente informato, non avrebbe prestato il consenso all'intervento e l'offesa abbia superato una soglia minima di tollerabilità409.
407
Cfr in materia di malpractice medica, BORDON R., Il favor patientis nella giurisprudenza, in
http://www.personaedanno.it. 408
Cfr. MARRA G., Sebbene non siano stati risolti tutti i problemi la traccia ermeneutica è delineata
con chiarezza, in Guida al diritto, 2009, fasc.7, pag. 54. Quanto alla tematica del danno non patrimoniale si
rimanda a CENDON P. (a cura di), Persona e danno. Trattati, Giuffrè, Milano, 2004, 5 volumi.
409
Si veda sul punto la sentenza del Tribunale di Milano, 29 marzo 2005, in Responsabilità civile e
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Per concludere, ci sembra plausibile affermare che gli orientamenti che si è cercato di ripercorrere ciriticamente hanno espresso considerazioni giuridiche valide e stimolanti, ma non decisive per affrontare in maniera più equilibrata e puntuale la materia del consenso informato e contribuire a scioglierne i nodi cruciali. Come è stato felicemente scritto410, nessuna soluzione si lascia radicalmente falsificare al metro della legge. Il rischio di fondo è che l’interprete, in mancanza di una chiara presa di posizione del legislatore (quello storico e, per inerzia, quello contemporaneo), stante la estrema ambiguità del dato normativo, sia portato ad effettuare scelte estremamente arbitrarie, sconfinanti in vere e proprie opzioni di natura politica, le quali, invece, dovrebbero trovare il loro luogo naturale nel Parlamento.
Probabilmente, de iure condendo, la soluzione più equilibrata e rispettosa dei molteplici valori in gioco risiede nella elaborazione di una fattispecie incriminatrice ad hoc che punisca, con una sanzione intermedia fra quella (troppo blanda) della violenza privata e quella (troppo severa) delle lesioni personali, il trattamento medico senza o contro la volontà del paziente411, indipendentemente dall’esito fausto o infausto dell’accertamento diagnostico/intervento chirurgico praticato, attesa la estrema problematicità di decifrazione della nozione di esito positivo per la salute del malato.
Si tratterebbe di una fattispecie a tutela e della salute e della libertà dell’individuo o, più correttamente, del bene – che andrebbe finalmente considerato unitario – dell’autodeterminazione dell’individuo sulla propria salute.
E’ questa, come visto, una soluzione già adottata, con qualche variante, da alcuni ordinamenti stranieri e dal progetto di riforma del nostro codice penale licenziato dalla commissione presieduta dal prof. Pagliaro.
E’ evidente, infatti, da quanto si è cercato di evidenziare nel corso della presente ricerca, come le fattispecie incriminatrici della violenza privata e delle lesioni personali mal si adattano a punire le ipotesi di violazione del consenso informato. E’ questa una problematica che è emersa, in tutto il suo significato e disvalore penale, solo in un momento successivo rispetto alla emanazione del lontano codice penale del 1930, in
410
VIGANÒ F., Omessa acquisizione…, op. cit..
411
In questo senso v. PALERMO FABBRIS E., Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema
penale, Profili problematici del diritto all'autodeterminazione, Cedam, 2000, p. 81 ss.. Sulla non opportunità,
in sede di elaborazione di una fattispecie incriminatrice apposita del trattamento medico abusivo, di una distinzione tra le ipotesi dell’assenza del consenso e quelle del dissenso espresso, v. ARRIGONI F.,
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concomitanza con una accresciuta sensibilità culturale della società sui temi dell’autodeterminazione e della libertà individuale.
Allo stato attuale della legislazione, in attesa di una disciplina organica del consenso informato ancora tutta da venire, la previsione incriminatrice che meglio si attaglia alle violazioni del consenso informato rimane quella delle lesioni personali.
Anche se non v’è dubbio che non tutti i casi di vizio del consenso meritino, dal punto di vista della valutazione penale, un'imputazione per lesioni dolose, tanto lineare sul piano della logica giuridica, quanto (in molti casi) eccessiva in un'ottica ispirata all'equilibrata considerazione del reale disvalore dei comportamenti del medico, tale soluzione si impone sol se si tiene conto del fatto che, sul piano oggettivo, i concetti di malattia/salute/esito fausto non possono prescindere dall’insostituibile punto di vista soggettivo del paziente; sul piano soggettivo, mentre per un verso occorre non confondere il dolo dell’agente con il movente (terapeutico), per l’altro il dolo delle lesioni personali è pacificamente ammesso, in dottrina e giurisprudenza, anche nella forma del dolo eventuale. Quale che sia, poi, la concezione accolta circa il bene giuridico protetto dal delitto di lesioni (integrità fisica, salute etc.) e quale che sia la nozione di salute che si voglia adottare per la interpretazione dell’elemento di fattispecie della malattia, è evidente come il soggetto ammalato che subisca un intervento non previamente autorizzato patisce una intrusione nel proprio corpo e nella propria libertà, che, in quanto vietata dall’art. 13 della Costituzione, non può non ricevere una risposta sanzionatoria penale.
Sarà, poi, in sede di concreta determinazione della pena, ai sensi dell’art. 133 c.p., che andranno adeguatamente presi in considerazione gli esiti clinici favorevoli o le accertate forme meno intense dell’elemento soggettivo.
Mentre il rischio di una incriminazione a titolo di omicidio preterintenzionale potrà essere scongiurato da una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 584 c.p., nel segno della famosa pronuncia della fine degli anni ottanta della Corte Costituzionale (sentenza n. 364/1988) sul rigoroso rispetto del principio di colpevolezza con riguardo a tutti gli elementi significativi della fattispecie penale incriminatrice.
Ciò detto, occorre, tuttavia, aggiungere che la realtà giudiziaria mostra una considerevole eterogeneità di casi che non sempre risultano agevolmente risolvibili sulla base di un’unica astratta soluzione ermeneutica.
In questo quadro così problematico e così pieno di insidie etiche, filosofiche, giuridiche, allora, l’unica bussola veramente affidabile non può che essere rappresentata dalla volontà del paziente, sia pure temperata dai necessari limiti e vincoli di carattere
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giuridico, purché risulti chiaro, però, il rapporto fra la regola (l’autodeterminazione) e l’eccezione (l’eterodeterminazione).
-173- APPENDICE
Sentenza in tema di consenso informato del Tribunale di Roma n. 10166/07 R. G. Dibatt., n. 887/06 R.G.N.R.
N. 10166/07 R.G.Dibatt. N... Reg. Sent N. 887/06 R.G.N.R. In data... Data del deposito
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