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Esposizione dei rilievi tecnici operati dai consulenti del pubblico ministero

MOTIVI DELLA DECISIONE

B) Esposizione dei rilievi tecnici operati dai consulenti del pubblico ministero

A seguito della querela il pubblico ministero disponeva una consulenza collegiale e, sulla scorta delle conclusioni dei periti, addiveniva alla formulazione dell’imputazione di lesioni colpose a carico degli odierni imputati.

Queste le conclusioni dei consulenti, espresse in sede di escussione dibattimentale e nella relazione, all’esito depositata.

Rilevavano i consulenti del pubblico ministero, Antonio Rizzotto, urologo, ed Antonio Grande, medico legale, che l’intervento programmato dal dott. Riga, per via laparoscopica costituiva una indicazione terapeutica corretta, per diverse ragioni.

In primo luogo perché il Vitale era stato già sottoposto ad intervento di altro tipo, svuotamento della cisti, che tuttavia non era stato risolutivo perché a distanza di circa quattro anni, la patologia si era ripresentata.

In secondo luogo perché la tecnica laparoscopica era certamente meno invasiva, rispetto alla tradizionale operazione c.d. “a cielo aperto” che comportava l’incisione dei tessuti.

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Quanto all’esecuzione dell’intervento, rilevavano i consulenti che erano state utilizzate tre porte d’accesso laparoscopiche e che l’intervento era stato eseguito a regola d’arte.

Eseguito quindi correttamente l’intervento il Vitale veniva trattenuto sino al 31 maggio.

Rilevavano poi i consulenti che nei giorni seguenti, sebbene il Vitale avesse dichiarato di avere una forte sintomatologia dolorosa, tale annotazione non compariva nella cartella clinica, tanto che avevano annotato nella relazione una forte discrepanza fra i due dati, quelli riferiti dal Vitale e quelli risultanti dalla documentazione sanitaria.

Dalla cartella risultava infatti che un rialzo febbrile in seconda giornata (temperatura di 38.3°), ed una temperatura di 36.8° alle ore 6,00 del mattino del 31 maggio, giorno della dimissione.

Nei giorni seguenti alla dimissione il Vitale aveva dichiarato di aver continuato a soffrire di forti dolori addominali e, così, in data 2 giugno, si era recato nuovamente presso il pronto soccorso dell’ospedale S. Giovanni; era stato ricoverato ma gli esami eseguiti non avevano consentito di pervenire ad una diagnosi certa sino a quando, in data 4 giugno i sanitari, avendo notato la presenza di una lesione di continuo della parete dell’intestino tenue di circa 0.5 cm - abbastanza piccola perché in sede di intervento non era stata eseguita una resezione intestinale ma solo la chiusura del foro- avevano posto la diagnosi di sospetta peritonite ed operato il Vitale d’urgenza.

Ritenevano i consulenti assai probabile che la lesione si fosse verificata durante l’infissione del primo trocar, più pericolosa perché avviene “al buio”, posto che con il primo trocar viene immessa anche l’ottica e, pertanto, in seguito l’operatore ha visione del campo.

Spiegavano poi che, sebbene l’apparecchio abbia una lama protetta è possibile che la lama non riesca a ritirarsi per tempo, producendo così una lesione; se tale lesione non viene evidenziata in fase operatoria perché l’ansa interessata esce dall’inquadratura, è possibile che l’operatore non la rilevi; precisavano che, tuttavia, non esiste alcuna tecnica laparoscopica che salvaguardi dal rischio di perforazioni, che è quindi insito in tale tipo di intervento.

Concludevano quindi che, se la sintomatologia dolorosa fosse stata effettivamente esistente il giorno 31 maggio, prematura avrebbe dovuto essere ritenuta la dimissione, poiché il dolore, diverso da quello fisiologico conseguente ad ogni intervento del tipo di quello praticato al Vitale, sarebbe stato spia di una complicanza ed avrebbe, pertanto richiesto, un approfondimento diagnostico. Peraltro, rilevavano i consulenti, certamente tale complicanza avrebbe potuto essere la perforazione dell’ileo, in ragione delle caratteristiche fisiche del Vitale che, per il suo peso, era da ritenere persona obesa.

Proprio intorno a questa sottovalutata caratteristica fisica del paziente, si appuntavano, infatti, le censure dei consulenti del pubblico ministero all’operato dei sanitari.

Secondo la ricostruzione accusatoria, gli obesi scontano un rischio maggiore negli interventi di laparoscopia renale: si passerebbe, infatti, da una percentuale di complicanze nei soggetti normopeso, stimata intorno all’1% ad una del 20/21%.

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Principale, se non esclusivo, fondamento di tale assunto è costituito da una ricerca scientifica coordinata nel 1996 dal dott. Mendoza e posta al centro della consulenza tecnica dei consulenti del pubblico ministero.

Esponevano quindi i consulenti i dati di tale ricerca in base ai quali emergeva che l’incidenza di lesioni gastrointestinali prodotte nel corso di laparoscopia sarebbe pari allo 0.13% (430 casi su 329.935 laparoscopie), mentre l’incidenza di perforazioni intestinali sarebbe pari allo 0.22% (66 casi su 29.532 laparoscopie); che l’intestino tenue è più frequentemente interessato dalle lesioni (nel 55.8% dei casi) seguito dall’intestino crasso (38.6% dei casi); che nel 66.8% dei casi di lesioni intestinali la diagnosi era stata effettuata durante la laparoscopia o entro le 24 ore dal termine della procedura; che il trocar o l’ago sono risultati essere il mezzo produttivo della maggior parte delle lesioni (nel 41.8% dei casi), seguiti dal coagulatore o dal laser (nel 25.6% dei casi); che nel 68.9% dei casi di lesioni intestinali era stata rilevata la presenza di aderenze o di esiti di laparotomia; che il trattamento ha necessitato, nella maggior parte dei casi (78.6% dei casi) di una laparotomia; che la mortalità è risultata pari al 3.6%.

In conclusione l’incidenza di lesioni intestinali prodotte nel corso di laparoscopia, pari allo 0.13% dei casi, è molto bassa; tali lesioni sono rilevate usualmente nel corso di laparoscopia e, tuttavia, tali lesioni sono associate ad una elevata percentuale di mortalità (3.6%).

Ritenevano quindi i consulenti che nel caso di specie si fosse prodotta una lesione iatrogena a carico dell’ileo terminale che, alla ripresa della canalizzazione intestinale post-anestesia, aveva determinato la fuoriuscita di materiale intestinale ivi contenuto, conseguendone tutta la sintomatologia tipica della perforazione intestinale.

Tale lesione di per sé è da intendersi come complicanza possibile, come tale prevedibile, ma non altrimenti prevenibile perché, in concreto molto difficilmente evitabile (vd. Pg. 13 consulenza). Tuttavia tali percentuali statistiche varierebbero, secondo lo studio del Mendoza citato, nel caso di pazienti obesi risultando, in tal caso, l’incidenza di lesioni pari al 21%.

Su un campione di 125 pazienti con Indice di Massa Corporea mediamente pari a 35.1 (range=30.1- 57.2), la necessità di conversione della laparoscopia in laparotomia si era verificata in 15 casi (pari al 12%) e l’incidenza globale di complicanze intraoperatorie era risultata pari al 22% (27 casi) e la maggiore di tali complicanze comprendeva le lesioni da trocar.

Concludevano quindi i consulenti che, sebbene non possa essere ritenuto errore tecnico la perforazione del tenue pochi centimetri a monte della valvola ileo-ciecale, tuttavia certamente tale maggior rischio, derivante dalle caratteristiche fisiche del Vitale, avrebbe dovuto, per un verso, formare oggetto di specifica informazione al paziente in sede di raccolta del consenso e, per altro verso, avrebbe dovuto essere elemento tale da indurre una maggior cautela all’atto della dimissione, specie se avvenuta in presenza di dolori, così come dichiarati dal Vitale e dai suoi familiari.

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Ciò non era avvenuto perché nell’atto di consenso firmato dal Vitale, manca la parte relativa ai rischi che l’intervento presentava e, segnatamente, il rischio di complicanza laparoscopica da perforazione, come quella verificatasi.

Precisavano i consulenti che un tale rischio in effetti ha incidenza statistica così rara da rendere anche ammissibile l’omessa indicazione nel consenso informato, salvo che nel caso di interventi su pazienti obesi, aumentando in tal caso il rischio statistico in misura tale (20/21%) da dover essere considerato non già un rischio generico, ma specifico.

Tale omissione costituiva, a parere dei consulenti, una obiettiva carenza in fase preoperatoria. L’omessa adeguata valutazione del dato ponderale, avrebbe avuto incidenza anche nella fase successiva all’intervento, quella della dimissione, dovendosi considerare la stessa prematura, in presenza di sintomatologia dolorosa, che avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme per il sanitario, considerate le condizioni di peso del Vitale.

Sotto questo specifico aspetto rilevavano i consulenti del pubblico ministero che, tuttavia, i segni ed i sintomi clinici di peritonite acuta diffusa non risultavano ancora presenti all’esame obiettivo del Pronto Soccorso della III Divisione di Chirurgia, ove il paziente era stato ricoverato il giorno 2 giugno. In diaria, relativamente al ricovero, veniva annotato: “addome trattabile, vasto ematoma regione renale destra, la palpazione suscita vivo dolore a livello del quadrante superiore destro, vasto ematoma lombare a destra”, tanto che il secondo intervento chirurgico era stato eseguito solo in data 4 giugno.

Precisavano ancora i consulenti che la procedura video-laparoscopica comporta l’insufflazione di aria per consentire la distensione della cavità addominale e dei muscoli che la circoscrivono, ovvero i muscoli addominali ed il diaframma, ciò che determina frequentemente, nel post-operatorio, una certa quota di dolore addominale che può essere difficilmente differenziabile da un dolore dovuto, invece, ai primi sintomi di perforazione intestinale.

Inoltre la ripresa della peristalsi dopo l’anestesia, facilmente si verifica in maniera irregolare e può dar luogo a spasmi transitori, destinati a cessare con il normalizzarsi della motilità peristaltica. Concludevano ritenendo assi difficile ipotizzare che la incipiente complicanza potesse essere percepita nelle 48 ore del decorso post-operatorio, periodo che, peraltro, è il normale periodo che precede la dimissione dopo un intervento del tipo di quello praticato al Vitale, con conseguente difficoltà a formulare una netta ed inequivocabile censura sull’operato dei sanitari e, segnatamente del dott. Riga e del medico che aveva proceduto alla dimissione, Emiliozzi.

Peraltro, l’intervento per evitare la complicanza si sarebbe comunque dovuto effettuare, con la ulteriore conseguenza che i postumi di rilievo penalistico derivanti al paziente, ovvero l’indebolimento permanente dell’organo parete addominale e lo stato di malattia superiore ai quaranta giorni, si sarebbero comunque realizzati: il primo con elevata probabilità, trattandosi di peritonite saccata che, anche se affrontata uno o due giorni prima, avrebbe determinato esiti chirurgici pressoché sovrapponibili a quelli in atto; il secondo al più, in caso di intervento

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laparotomico anticipato, sarebbe potuto risultare lievemente meno prolungato ovvero superiore a venti giorni ed inferiore ai quaranta.

In un integrazione di consulenza, richiesta dal pubblico ministero e, poi, in udienza, i consulenti ribadivano le conclusioni cui erano pervenuti, precisando ulteriormente che il Vitale doveva ritenersi paziente appartenente ad una categoria a rischio e, pertanto, l’intervento presentava un maggior rischio di complicanza perforativa, rischio che avrebbe dovuto essergli reso noto prima dell’intervento; quanto, infine, alle conseguenze, il lasso di tempo trascorso tra la dimissione, ove accertata come troppo precoce, ed il ricovero per il secondo intervento, aveva probabilmente determinato un prolungamento dello stato di malattia.

C) Osservazioni adesive e critiche alla tesi dei consulenti del pubblico ministero: le consulenze

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