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Cassazione penale, sez V, 14 novembre 2006 (Reggiani).

Dalle decisioni di merito appena illustrate emerge il vero punctum pruriens dell’intera questione: l’idoneità delle nuove tecniche neuroscientifiche ad assicurare l’accertamento dei fatti e, dunque, l’affidabilità delle suddette a fornire elementi di prova utilizzabili in sede processuale. L’argomento è affrontato dalla Suprema Corte in almeno sette sentenze, ma nella maggior parte di tali pronunce di legittimità non è dato cogliere una posizione netta in proposito256. Prima ancora dei casi esposti nei precedenti paragrafi, le neuroscienze varcano la soglia del processo penale nella vicenda giudiziaria nota come “omicidio Gucci”257, nella quale l’imputata, Patrizia Reggiani, ritenuta la mandante del delitto, è condannata a ventisei anni di reclusione. In seguito al passaggio in giudicato della sentenza, sono presentate diverse istanze di revisione del processo, date dalla necessità di eseguire ulteriori e più precisi accertamenti sulla capacità di intendere e di volere della Reggiani per mezzo di strumenti non disponibili all’epoca del giudizio258. Al

256 A dispetto degli esiti oscillanti di tali pronunce, tutte le sentenze sembrano confermare come

la controversia sull’utilizzabilità delle indagini neuroscientifiche all’interno del processo penale sia ben lungi dal trovare una soluzione. Così, F. BASILE, G. VALLAR, Neuroscienze e diritto

penale, cit, p. 25.

257 Il caso riguarda l’omicidio di Maurizio Gucci, per il quale Patrizia Reggiani è condannata

dalla Corte d’assise d’appello di Milano, in data 17 marzo 2000, a 26 anni di reclusione in quanto considerata mandante del delitto. Cfr., C. GRANDI, ult. op. cit., pp. 194 ss.

258 Già nel corso del processo di merito erano stati disposti accertamenti in ordine alla capacità di

intendere e di volere dell’imputata che, tuttavia, esclusero un apprezzabile diminuzione della stessa, pur individuando un disturbo della personalità. La prima istanza di revisione si proponeva di dimostrare, mediante l’ausilio di nuovi strumenti, la sussistenza di una sindrome psichiatrica del lobo frontale idonea a escludere la capacità di intendere e di volere dell’imputata. Respinta prima dalla Corte d’appello di Brescia e, poi, in via definitiva dalla Cassazione poiché giustificata esclusivamente dall’esistenza di nuove metodologie diagnostiche, la richiesta veniva

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

103 di là degli interessanti rilievi espressi dai giudici di ultima istanza, concernenti l’ammissibilità della revisione in conseguenza dello sviluppo di nuove metodologie diagnostiche259, ciò che rileva in questa sede è il giudizio della Suprema Corte in merito all’affidabilità scientifica delle tecniche di esplorazione cerebrale in questione.

Nel giudizio di revisione svoltosi dinanzi alla Corte d’appello di Venezia, la perizia medico-legale sulla idoneità del metodo scientifico a produrre risultati nuovi rispetto a quelli emersi nel processo di merito, non offre, secondo la Corte, elementi tali da intaccare il giudicato formatosi. La sentenza che rigetta l’istanza di revisione per carenza di novità delle prova è così impugnata in sede di legittimità. La Cassazione, pur confermando il diniego della revisione, si pronuncia, tuttavia, sull’idoneità accertativa della tecnica PET. In particolare, la rinnovata con un opportuno corredo scientifico. Nella seconda istanza di revisione, la cons ulenza tecnica illustrava i risultati di una PET eseguita dopo il passaggio in giudicato della sentenza. La tomografia ad emissione di positroni sarebbe stata in grado di dimostrare, secondo gli esperti, una sindrome del lobo frontale tale da rendere più difficoltoso il controllo del comportamento individuale. L’ordinanza che rigettava anche questa seconda istanza di revisione, veniva impugnata in sede di legittimità, con l’esito sperato per la difesa. Per una puntuale ricostruzione dell’iter giudiziario, si veda ancora una volta C. GRANDI, ult.op. cit., pp. 195 ss.

259 A tal proposito, nella sentenza che respinge in via definitiva la prima istanza di revisione, la

Corte sostiene l’inammissibilità di quest’ultima ogniqualvolta si limiti a prospettare la necess ità di una nuova perizia psichiatrica (volta ad accertare un vizio di mente totale dell’imputato) da condurre per mezzo di metodologie sviluppatesi in un momento successivo alla perizia dibattimentale. Se, infatti, in astratto un accertamento peritale condotto con nuove tecnologie può costituire motivo di revisione, i giudici nella sentenza de qua precisano come «non basta dare atto dell’esistenza di nuove metodologie ma occorre altresì evidenziare, mediante consulenza di parte o con altra documentazione specifica, il diverso risultato, idoneo a determinare il proscioglimento dell’imputato a cui con dette metodologie si perverrebbe». In caso contrario, infatti, il progresso tecnologico comporterebbe la revisione automatica di tutte le sentenze di condanna fondate su accertamenti peritali «indipendentemente dalla idoneità delle nuove tecniche a modificare, in concreto, le conclusioni precedentemente raggiunte». Cass., sez. I, 7 maggio 2002, n. 25810, Gucci in proc. Reggiani, in C.E.D., rv. 221588. In argomento, G. CANZIO,La revisione del processo: gli effetti del sopraggiungere di nuove prove rese possibili dal progresso scientifico, in R. KOSTORIS,A.BALSAMO (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

104 Suprema Corte dà atto di come quest’ultima sia «un mezzo di prova nuovo fondato su nuove metodologie di acquisizione di dati di per sé idoneo al raggiungimento di risultati di ricerca più affidabili»260. Pertanto, sebbene nel caso concreto abbia reso una diagnosi analoga a quella già illustrata dalle tecniche impiegate precedentemente, nondimeno si riconoscono l’attendibilità e l’astratta idoneità della PET a fornire dati innovativi e “più affidabili”. Come osservato in dottrina, ciò parrebbe “un primo significativo via libera al suo uso in sede processuale”261.

Tuttavia, a distanza di qualche anno dalla sentenza che definisce il caso Reggiani, è ancora aperta la questione relativa all’affidabilità dei contributi neuroscientifici e ne sono prova le oscillazioni decisionali dei giudici nomofilattici, oggetto di analisi nei paragrafi successivi.