• Non ci sono risultati.

9. La parola ai penalisti.

9.4. Il modello retributivo.

Con riferimento all’attacco sferrato dall’approccio neuroscientifico rifondativo nei confronti dei sistemi penali contemporanei, avente ad oggetto la concezione retributiva della pena, i penalisti osservano come non possa considerarsi del tutto infondato. Invero, lungi dal potersi considerare

157 cfr. supra, sez. II, § 5.

158 G. FIANDACA,E. MUSCO, ult. op. cit., p. 343. Si segnala, tuttavia, un filone argomentativo

riscontrabile nella stessa letteratura penalistica italiana che non abbandona la dimensione empirica della colpevolezza, seppure confutata dagli esperimenti neuroscientifici. Secondo Mauro Ronco, infatti, non si può assolutamente rinunciare a considerare la libertà quale base ontologica della responsabilità. L’Autore riafferma la validità del libero arbitrio e lo fa su basi neuroscientifiche, ricollegandosi agli studi di Haggard (supra, sez. II, § 6.1.1) sulle differenti dinamiche cerebrali sottese alle azioni volontarie e ai movimenti corporei automatici o riflessi. Inoltre, le neuroscienze, secondo Ronco, non potranno mai dimostrare l’esistenza o l’inesistenza della libertà del volere poiché si tratta di una questione risolvibile soltanto su un piano metafisico, in cui l’uomo è valutato nella sua unitarietà e non come un organo o un singolo apparato.

V. M. RONCO,Sviluppi delle neuroscienze e libertà del volere: un commiato o una riscoperta , in

O. DI GIOVINE (a cura di), Diritto penale e neuroetica, Padova, 2013, pp. 57-82; M. RONCO,

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

70 definitivamente espunta dell’orizzonte penalistico, l’idea retributiva dà ciclicamente prova della sua vitalità159.

L’idea della retribuzione rappresenta uno dei fondamentali poli attorno al quale ruota il dibattito dottrinale sugli scopi della pena e sulla legittimazione dello Stato al suo ricorso. Tradizionalmente, la teoria retributiva si presenta come un male inflitto dall’ordinamento per compensare, retribuire appunto, il male causato da taluno dei consociati ad un altro uomo o alla società160. Nell’ottica retributiva, la pena, come efficacemente afferma Hegel, rappresenta «la negazione della negazione del diritto». Ispirato alla filosofia di stampo idealista, il paradigma retributivo è designato come assoluto poiché svincolato da qualsivoglia fine161.

Nonostante il legislatore costituzionale prenda esplicita posizione, nel 3° comma dell’art. 27 Cost., con riferimento ai limiti che le pene non devono valicare e agli obiettivi da perseguire e accolga così una prospettiva specialpreventiva orientata alla rieducazione del condannato quantomeno nelle due fasi della commisurazione giudiziale e durante l’esecuzione della pena162 , si continua a considerare la retribuzione come un momento ineliminabile della sanzione penale163.

159 F. STELLA, Introduzione, in L. EUSEBI (a cura di), La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, Milano, 1989, V.

160 G.MARINUCCI,E.DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2015, p. 4. 161 Così, Kant chiarisce che «Anche se la società civile si sciogliesse con l’accordo di tutti i

membri (per esempio, il popolo che abita un’isola deserta decidesse di separarsi e di spargersi per tutto il mondo), l’ultimo assassino, che si trova in prigione, dovrebbe prima venire giustiziato in modo che ad ognuno tocchi ciò i suoi atti meritano e la colpa del sangue non ricada sul popolo, che non ha chiesto questa punizione».

162 Evidentemente, la prevenzione speciale, nella sua dimensione rieducativa, non esaurisce tutte

le funzioni della pena, le quali, nella fase della “minaccia” sono perseguite dal paradigma generalpreventivo. La giurisprudenza costituzionale si è orientata, infatti, verso un modello c.d. associativo-dialettico della pena, che tiene conto delle differenti connotazioni della sanzione a seconda delle fasi in cui opera. Cfr. G. FIANDACA,Scopi della pena tra commisurazione edittale e commisurazione giudiziale, in AA. Vv., Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006, pp. 131 ss.

163 G. FIANDACA,E.MUSCO, ult. op. cit., p. 739; A. PAGLIARO,Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, p. 672. Analogamente, Pagliaro considera il paradigma retributivo «in

ogni tempo vivamente sentito dalla coscienza umana come un contrassegno della pena» e ritiene che quest’ultima, calibrata sul modello anzidetto, costituisca la risposta più consona alle funzioni generalpreventiva e specialpreventiva. In questo caso, infatti, essendo la sanzione valutata come

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

71 Il ciclico ritorno dell’ideologia retributiva sarebbe determinato, peraltro, dalla crisi sia del paradigma specialpreventivo, considerati gli alti tassi di recidiva che lo accompagnano, sia del modello generalpreventivo, date le difficoltà in sede di dimostrazione empirica degli effetti intimidatori della sanzione164.

In questo quadro, la retribuzione, depurata delle arcaiche formule di matrice assolutistica, rileverebbe non più in funzione dei fini attribuiti alla pena (o forse sarebbe più opportuno parlare di fini non attribuiti), ma in qualità di garante della corrispondenza tra misura della pena e grado di colpevolezza. Il modello retributivo implicherebbe, dunque, la proporzione tra il male commesso dai singoli e la risposta sanzionatoria, ciò a tutela degli individui dagli arbitri dello Stato165.

Agli autorevoli penalisti del secolo scorso e contemporanei, i quali individuano proprio nella retribuzione l’essenza stessa della pena166, si contrappone, tuttavia, cospicua parte della dottrina che, al contrario, mette in guardia da una tale rilettura idealistica del fenomeno retributivo. Secondo quest’ultima, la retribuzione, concretamente considerata, non sarebbe altro che espressione delle istanze di punizione avanzate dai diversi contesti storico sociali o, in altri termini, una subordinazione del magistero punitivo alla «soddisfazione delle esigenze psicosociali di penalizzazione»167.

giusta sia dai consociati che dal soggetto condannato, è in grado di ravvivare i sentimenti di fiducia e rispetto nei confronti dell’ordinamento e al contempo di preservare la sua funzione rieducativa del reo.

164 Cfr., C. GRANDI,ult. op. cit., pp. 99-100; M. B. MAGRO,Neuroscienze e teorie “ottimiste” della pena, in Dir. pen. cont., 10/2018, pp. 175 ss.

165 F. BRICOLA,Teoria generale del reato, in Nov.mo dig. it., vol. XIX, Torino, 1973, p. 82. 166 La pena trova la sua ragion d’essere nel carattere della retribuzione secondo G. BETTIOL, Diritto penale, Padova, 1982, p. 725. Sulla retribuzione quale idea centrale del diritto penale, si

veda F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2015, p. 722. Cfr. A. PAGLIARO,

ult. op. cit., pp. 684 ss.; G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1993, p. 917; M. RONCO, Il problema della pena. Alcuni profili relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena , Torino, 1996, p. 109; ID., Il significato retributivo-rieducativo della pena, in Dir. pen. proc,

2005, pp. 137ss.

167 Conformi sul punto G. FIANDACA,E.MUSCO,ult. op. cit., p. 739; Gli autori rilevano come i

pericoli sottesi al recupero della funzione satisfattoria-stabilizzatrice della pena siano molteplici e connessi ai bisogni emotivi e irrazionali di punizione. Ivi, p.753; L. EUSEBI, La nuova

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

72 Appurata dunque la sopravvivenza del modello retributivo nel panorama penalistico, a ragion veduta, può parlarsi di “aberratio ictus” degli attacchi neurodeterministi: la teoria retributiva può ancora essere considerata un bersaglio, ma costituisce tuttavia il bersaglio sbagliato.

Il sillogismo neurodeterminista fissa quale premessa maggiore l’accoglimento presso i principali sistemi penali contemporanei di un modello di responsabilità fondato su un concetto empiricamente insostenibile: il libero arbitrio. La premessa minore è data dalla considerazione che la teoria retributiva, comunemente condivisa, postula la punizione del soggetto colpevole in ragione del cattivo uso del libero arbitrio. Ne deriva che la stessa teoria retributiva, poiché basata su qualcosa di inesistente, risulta infondata.

Ora, la correlazione tra retribuzione e libero arbitrio, denunciata dai neuroscienziati, non rispecchia assolutamente il dibattito penalistico contemporaneo. È quindi sventato il quarto attacco sferrato al diritto penale, avente ad oggetto la pena nella sua dimensione retributiva, in quanto va a colpire un concetto, quello del libero arbitrio, che, come si è visto, non può più considerarsi un presupposto della retribuzione. Non, perlomeno, nei termini in cui è inteso dai neurodeterministi.