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Giunti a questo punto della trattazione, si ritiene opportuno fare alcune considerazioni su quanto esposto sino a ora.

Le neuroscienze scardinano una serie di convinzioni sull’essere umano e sul suo agire cristallizzate nei secoli, dando vita – si è detto – a una nuova rivoluzione copernicana168. Gli studi in materia individuano nei sistemi neuronali la centrale operativa delle condotte umane, isolano, tramite l’esplorazione funzionale, i pp.1315 ss.;C. E. PALIERO, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed “effetti penali” dei media), in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, pp. 523 ss.

168 E. MUSUMECI, Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato. Devianza, libero arbitrio, imputabilità tra antiche chimere ed inediti scenari, Milano, 2012, p.146.

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

73 substrati biologici dei processi di ragionamento, decisione e pianificazione, e stravolgono, infine, il cogito cartesiano169.

L’interrogativo sulle possibili ricadute di tali acquisizioni nel diritto penale sostanziale, rappresenta il fil rouge dell’intera dissertazione. Segnatamente, l’abbandono del dualismo mente-corpo, in favore di una prospettiva integrata in cui non trova spazio la libera scelta, rappresenta realmente un approdo tale da sovvertire il senso e il sistema di giustizia vigenti170? Se la domanda fosse posta ai riduzionisti, i quali hanno la pretesa di ridurre le scelte morali e dunque le condotte umane, lecite o antigiuridiche, ai meccanismi di attivazione cerebrale, la risposta non potrebbe che essere affermativa e foriera di conseguenze inaccettabili sul piano giuridico171.

Il neuroriduzionismo, però, non solo non si adatta alla complessità della natura umana, ma, come già evidenziato quando si è parlato di errore categoriale172, sorvola sulla distinzione tra cause e fattori e soprattutto sulla

169 I suddetti studi colgono le connessioni tra gli input sensoriali e le risposte coscienti e

smentiscono l’asserzione cartesiana. Non più, dunque, cogito ergo sum, ma sum ergo cogito.

170 G. M. FLICK, Conclusioni, in AA.VV.,Diritto penale e neuroetica, cit., p. 364-5. Il timore è

che l’asserito legame inscindibile tra fattori biologici e comportamenti umani conduca inesorabilmente verso la deriva riduzionista. Prosegue l’Autore: «In particolare, si teme che una volta stabilito che il comportamento umano derivi da fattori sostanzialmente biologici, si possa ridurre la condotta antisociale a meri fenomeni patologici e i comportamenti pro -sociali, al contrario, al perfetto funzionamento del sistema neuronale e ormonale. Tutto ciò renderebbe (è forse questa la preoccupazione primaria) inutile o addirittura utopistica l’aspirazione alla immutabilità dei valori, fino a renderli concetti sostanzialmente vuoti». Sul punto, meritano altresì di essere citate ulteriori interessanti riflessioni sviluppate in seno alla dottrina, nelle quali si osserva come il diritto penale tenda a delimitare rigidamente il perimetro dell’Io alla coscienza, con la conseguenza che «l’inconscio – una volta che ne fosse ammessa l’esistenza e la rilevanza nella spiegazione dell’azione dell’uomo – sovvertirebbe il diritto penale, perché sovverte l’io, cioè il soggetto della punibilità, che apparirà quel che è, così insostenibilmente debole, così condizionato da processi cerebrali e mentali che non può controllare, che nascono da milioni d’anni di evoluzione e da una vita personale che ha segnato i tratti della personalità in modi che non sempre sono trasparenti alla coscienza. L’io si indebolisce». Così, L. SANTA MARIA, M. IANNUCCI,Prove di dialogo tra psichiatra-psicoanalista e giurista a proposito di neuroscienze e diritto penale, in Dir. pen. cont., 11 gennaio 2018.

171 Se le sue azioni non sono evitabili, non è ragionevole ammettere la responsabilità dell’agente:

l’enigma della responsabilità è simmetrico a quello della libertà, onde le sorti di quest’ultimo, determinano le sorti del primo. Così, M. DE CARO,Il libero arbitrio. Una introduzione, Roma-

Bari, 2004, p. 101.

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74 “grande divisione” tra fatti e valori173. Da una proposizione cognitiva, un giudizio di fatto verificato con metodo sperimentale, non è dato creare prescrizioni o giudizi di valore che si fondano, al contrario, sull’argomentazione e non sull’esperimento174.

La responsabilità, architrave dell’intero sistema giuridico penale, è, come ricorda il neuroscienziato Gazzaniga, una costruzione umana insuscettibile di essere provata empiricamente. Il cervello è sì determinato, ma la libertà scaturisce dall’interazione tra gli individui e la responsabilità penale, a sua volta, costituisce un concetto pubblico, poiché esiste nel mondo e non nel singolo individuo175. Nessuna organizzazione sociale minima si è mai basata su un approccio puramente determinista; la capacità di autodeterminarsi per quanto i suoi contorni non appaiano sempre nitidi e conseguentemente la responsabilità giuridica, sono due concetti irrinunciabili in qualsiasi ordinamento giuridico176: la loro assenza vanificherebbe il senso stesso delle norme, le quali presuppongono soggetti responsabili in grado di comprenderle e di osservarle177.

Da ciò non deriva un’incompatibilità assoluta tra le materie: la responsabilità penale, al contrario, affinché sia ragionevole, deve confrontarsi con le questioni di

173 Di grande divisione, parla, appunto I.MERZAGORA BETSOS, Colpevoli si nasce?, cit., p. 107. 174 In argomento, N. BOBBIO,Il positivismo giuridico, Torino, 1961, p. 90: «Il giudizio di fatto

rappresenta una presa di coscienza della realtà, in quanto la formulazione di tale giudizio ha il solo scopo di informare, di comunicare ad un altro una mia costatazione; il giudizio di valore rappresenta invece una presa di posizione di fronte alla realtà, in quanto la formulazione ha lo scopo non di informare, ma di influire sull’altro»; I. MERZAGORA BETSOS, ult. op. cit., p. 107: «Ci si scandalizzava, e giustamente, davanti a chi voleva sostenere l’ipotesi geocentrica basandosi sull’interpretazione letterale di un brano della Bibbia, e ci si scandalizza oggi, sempre con fondatezza, davanti alle posizioni del creazionismo antievoluzionista, ma non davanti a chi cerca di confutare un concetto filosofico con un’osservazione empirica: questo è strano».

175 M. S. GAZZANIGA,La mente etica, Torino, 2006, p. 87.

176 La stessa giurisprudenza ha confortato questa tesi, laddove nella celebre sentenza sul caso

ThyssenKrupp, pur considerando la fumosità del concetto di volontà, che nemmeno le neuroscienze sono riuscite a superare, ribadisce che non per questo vi si può rinunciare. Cass., Sez. Unite, 24 aprile 2014, n. 38343, par. 50 della motivazione in diritto: «Noi non sappiamo esattamente cosa sia la volontà: la psicologia e le neuroscienze hanno fino ad ora fornito informazioni e valutazioni incerte, discusse, allusive. Tuttavia, la comune esperienza interiore ci indica in modo sicuro che nella nostra vita quotidiana sviluppiamo continuamente processi decisionali, spesso essenziali per la soluzione di cruciali contingenze esistenziali: il pensiero elaborante, motivato da un obiettivo, che si risolve in intenzione, volontà».

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75 verità fattuale di competenza del sapere scientifico178. Le teorie scientifiche costituiscono un complemento necessario per il diritto, ma si tratta pur sempre di materia prima179. In questo senso le neuroscienze sono chiamate a fornire risposte razionali, le quali, per ora, non paiono in grado di intaccare il principio di colpevolezza e imprimere una svolta nel diritto penale.

178 In questo senso, D. PULITANÒ,Ragionevolezza e diritto penale, Napoli, 2012, p. 11. 179 S. SALARDI,Test genetici tra determinismo e libertà, Torino, 2010, p. 54.

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CAPITOLO II

L

E RISULTANZE NEUROSCIENTIFICHE

NELL

ESPERIENZA GIURIDICA ITALIANA

S

EZIONE

I

L

A GIURISPRUDENZA DI MERITO