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6. Il libero arbitrio al setaccio delle neuroscienze.

6.1. Benjamin Libet e il libero veto.

6.1.1. Osservazioni critiche.

Antonio Damasio, di fronte a un dibattito così acceso, ritiene che l’enfasi al riguardo sia eccessiva poiché la deliberazione cosciente è cosa ben diversa rispetto alla capacità di controllare le azioni nel momento in cui si pongono in essere. Essa concerne decisioni assunte in frangenti temporali ben più ampi che qualche millisecondo, perciò non può riguardare le decisioni fulminee, illustrate negli esperimenti di Libet, che mancano totalmente di quel carattere di riflessione sulla conoscenza e di ponderazione che è invece elemento costitutivo della deliberazione cosciente98. In verità, la critica mossa da Damasio presuppone che gli esperimenti condotti da Libet siano finalizzati ad illustrare il funzionamento del processo volitivo-decisionale, ma, a bene vedere, ciò non corrisponde al reale obiettivo del fisiologo. Libet intendeva descrivere i meccanismi cerebrali durante il preciso step del “agisci adesso” e tale fase va tenuta distinta dai momenti precedenti che integrano l’intero processo di pianificazione delle scelte cui evidentemente si riferisce Damasio.

qualche decennio dopo, viene sviluppata e raffinata dal neuroscienziato Haggard che, ugualmente, si preoccupa di affermare la capacità dell’individuo di governare gli impulsi involontari e teorizza la “late whether decision” immediatamente prima del movimento. Questo controllo ultimo sul “se agire” è finalizzato a soppesare l’opportunità dell’azione, i cos ti, le probabilità di successo e potrà risolversi nella realizzazione dell’azione programmata, nella sua modificazione o in annullamento della stessa. La teoria di Haggard, di cui si farà accenno nelle pagine successive, è citata da C.GRANDI, op. cit. pp. 52-3.

98 A.DAMASIO, Il sé viene dalla mente. La costruzione del cervello cosciente, Milano, 2012, p.

338.

Le considerazioni appena esposte non si pongono, peraltro, in contrapposizione con il dato secondo il quale, talvolta, le azioni sono guidate da automatismi che vanno oltre la consapevolezza umana. Esiste, al riguardo, una precisa spiegazione funzionale che risiede in una necessità di semplificazione dei processi cognitivi. La «persuasiva automaticità» consente, in sintesi, un controllo cosciente solo su alcuni snodi critici. In ordine a quest’ultimo appunto si rinvia a G. M. EDELMAN, G. TONONI, Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, Torino, 2000, p. 69.

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

46 Lo sviluppo delle moderne tecniche di imaging morfo-funzionale del cervello ha favorito l’elaborazione di test più sofisticati rispetto agli esperimenti condotti da Libet, caratterizzati da maggior rigore scientifico e da un grado di precisione superiore99. Nel 2008 l’équipe di John-Dylan Haynes ha realizzato una variante del compito originariamente ipotizzato da neurofisiologo di Stanford. L’uso della fMRI, grazie a una risoluzione spaziale più alta rispetto all’elettroencefalogramma, consente una valutazione retrospettiva dell’evento volontario in ogni ubicazione cerebrale e per intervalli di tempo maggiori. L’orologio rotatorio utilizzato decenni prima per l’individuazione del momento esatto di comparsa dell’impulso, è sostituito con una sequenza randomizzata di lettere aggiornata ogni 500 millisecondi su uno schermo, a garanzia di una maggiore precisione nelle misurazioni temporali100. Ciò che è nuovamente emerso è l’esistenza di una soglia temporale minima da superare per giungere alla percezione di un impulso, ma, stavolta, di durata maggiore rispetto a quella calcolata decenni prima da Libet. I risultati dell’impulso ad agire possono infatti essere codificati nell’attività cerebrale fino a dieci secondi prima che varchino il limen del flusso di coscienza.

99 Tra i vari difetti significati degli esperimenti di Libet, uno, di tipo tecnico, riguarda

l’inaffidabilità delle valutazioni cronologiche del potenziale di prontezza. La scelta di un cursore luminoso in movimento fa aumentare esponenzialmente la probabilità, già alta, di imprecisione nelle misurazioni temporali di oggetti in movimento. Un’altra tara, di carattere metodologico, attiene alla sola analisi dei potenziali di prontezza che non permette di accertare in che modo altre aree cerebrali potrebbero essere implicate nell’assunzione di decisioni coscienti. Un ulteriore limite intrinseco dei potenziali di prontezza riguarda la stretta finestra temporale di manifestazione che alimenta dubbi sulla loro idoneità a segnalare gli stadi di preparazione della decisione. La prossimità temporale tra potenziali di prontezza e coscienza non favorirebbe, insomma, la loro distinzione dal punto di vista scientifico.

100 Per una puntuale descrizione dell’esperimento si rinvia a J.HAYNES, Posso prevedere quello che fai, in AA.VV., Siamo davvero liberi?, cit, pp. 8 ss.

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47 Haynes riconosce la scarsa rilevanza motivazionale per l’individuo delle decisioni assunte in sede di test101, ma è fermamente convinto che l’intuizione della psicologia secondo la quale le decisioni conservano profili di libertà e non sono interamente determinate dall’attività cerebrale sia implausibile dal punto di vista scientifico. Per di più, i risultati parlano nel senso di una cascata di processi cerebrali inconsci che «si dispiega in alcuni secondi e contribuisce a preparare decisioni esperite soggettivamente come libere e assunte in un momento stabilito dal soggetto»102.

Le interpretazioni di stampo neoriduzionista delle ricerche neuroscientifiche, secondo le quali la coscienza rappresenterebbe un prodotto cerebrale, sono oggetto di numerose critiche anche all’interno della stessa comunità scientifica. Un primo filone di obiezioni ha come bersaglio il presupposto da cui muove il ragionamento di Libet. Lo studioso si propone infatti di far luce sulla causa prima dei processi decisionali e in ragione di ciò si interroga sulla relazione temporale nel rapporto mente-cervello. Il quesito, evidentemente, si fonda su una premessa di tipo dualista che vede gli eventi mentali e quelli cerebrali fenomenologicamente irriducibili e svincolati sino al momento in cui uno di essi non inizi a causare i suoi effetti sull’altro. I ricercatori, seguendo un modello meccanicistico causa-

101 Un’importante critica si è sviluppata proprio con riguardo alla discutibile capacità

rappresentativa dei movimenti elementari oggetto dei test, rispetto alle ben più complesse scelte operate dall’uomo nella vita quotidiana. Semplici flessioni di dita o gesti semiautomatici compiuti in sede di laboratorio, privi di qualsivoglia componente motivazionale ed emozionale, sarebbero forse capaci di fornire risposte in ordine alla rilevanza della volizione nelle decisioni umane? Per Isabella Merzagora Betsos è certamente una domanda retorica, alla quale non si può che rispondere in senso negativo. I. MERZAGORA BETSOS, Colpevoli si nasce?, cit, p. 95 e

analogamente R. DE MONTICELLI, Che cos’è una scelta?, cit, pp. 124 ss; «Occorre in ogni caso tenere presente che gli scenari degli esperimenti sono per forza di cose molto semplificati […] e quindi ben lontani da situazioni di vita reale. Essi riproducono uno strato sottile del comportamento umano e lo scopo di una ricerca di laboratorio è conoscitivo e non si propone certo di predire le svariate condotte adottate dalle persone nel mondo reale» Così si esprime L. BOELLA, La morale prima della morale, Milano, 2008, pp. 36-37.

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48 effetto, secondo il quale ciò che temporalmente si colloca prima deve considerarsi la causa e ciò che segue non può che esserne l’effetto, confidavano nell’analisi temporale degli eventi in modo da svelare la direzione in cui procede la causazione. Si tratta, però, di un ragionamento non necessariamente corretto, sia poiché il tempo mentale di cui si ha coscienza non coincide perfettamente con il tempo cronometrico, sia in ragione del fatto che nella scienza fisica causa ed effetto sono spesso simultanei. A titolo esemplificativo, basterebbe osservare il rapporto esistente tra la corrente elettrica e un campo magnetico: la prima genera il secondo e quest’ultimo influenza la corrente, ma il tutto avviene simultaneamente e non secondo una successione temporale. Si potrebbe quindi ipotizzare che anche la causazione mente-cervello potrebbe mancare di direzionalità come nel fenomeno fisico appena menzionato. Correlazione, infatti, non equivale a causazione: si potrebbe ammettere la connessione tra decisioni e aree cerebrali senza per questo pretendere di individuare “cosa causa cosa” 103.

Un’altra lacuna rinvenibile negli studi di Libet attiene alla scarsa univocità dei risultati ottenuti, inidonei a fornire risposte attendibili in ordine all’esistenza o meno della libertà del volere. Il primo errore, di carattere interpretativo, commesso dai ricercatori, concerne l’errata valutazione del potenziale di prontezza, il cui significato è stato sopravvalutato al punto da considerarlo equipollente al concetto di intenzione. Ma l’attività elettrica del cervello non è nient’altro che attività elettrica e dimostra al più che i substrati neurali sono un requisito necessario per l’agire e non anche condizione sufficiente e omnicomprensiva104.

Lo studioso americano Stephen Morse, esperto di rapporti tra neuroscienze e diritto, coglie questa distorsione e rileva come il potenziale di prontezza sia cosa ben diversa rispetto a una decisione o all’intenzione perciò la precedenza temporale dell’attività inconscia rispetto alla consapevolezza del soggetto non è di

103 I. MERZAGORA BETSOS, op. cit, pp. 97-100; F..TEMPIA,Decisioni libere e giudizi morali: la mente conta, in AA.VV.,Siamo davvero liberi?, cit, pp. 100-101.

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49 per sé sufficiente a dimostrare l’inefficacia causale dell’intenzione. Mancherebbe, in altre parole, una dimostrazione scientifica del fatto che «non si debba proprio alla mente l’attivazione degli impulsi elettrici». Così Searle teorizza l’esistenza di lacune nei processi causali, atte ad accogliere le decisioni dell’io cosciente come connettori tra stati mentali ed azioni105.

Peraltro, alcune recenti acquisizioni scientifiche suggeriscono un ruolo centrale della volontà nei processi decisionali, tale da influenzare lo stesso funzionamento dei circuiti cerebrali. Le tecniche di neuroimaging hanno consentito di rilevare sostanziali differenze di carattere qualitativo tra le azioni riflesse e quelle cosiddette volontarie. Le ricerche compiute da Patrick Haggard mettono in luce come, a seconda dell’implicazione dei circuiti cerebrali in movimenti indotti da uno stimolo esterno (e quindi riflessi) o in movimenti eseguiti volontariamente, vari significativamente il numero delle aree del cervello coinvolte. Soltanto con riferimento alle ipotesi di azione volontaria si attiva una catena di interazioni che impegna sistema limbico, nodi basali, ipotalamo ecc.. Di fronte a questo nuovo paradigma descrittivo, prende sempre più piede il convincimento, in capo agli studiosi del settore, del ruolo causale della volontà106.