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Dall’illusione alla necessità.

6. Il libero arbitrio al setaccio delle neuroscienze.

6.2. L’illusione della volontà cosciente.

6.2.1. Dall’illusione alla necessità.

Se è vero che Wegner ritiene illusorie tanto la volontà cosciente, quanto la radicata convinzione che l’uomo sia un agente capace di causare ciò che fa, è altrettanto vero che tale illusione, per l’Autore, è pur sempre necessaria. Le illusioni sulla causazione mentale apparente rappresentano i mattoni della psicologia umana e della vita sociale e solo per mezzo di esse è possibile sviluppare un senso di responsabilità prima morale e, conseguentemente, giuridica119. Anche ammettendo, perciò, l’illusorietà del libero arbitrio – glossa Isaiah Berlin – in ogni caso non si potrebbe fare altro che fingere che non sia così e continuare a salvaguardare quel «collante che aveva creato l’illusione della possibilità di un dialogo paritario tra gli uomini»120.

I due psicologi americani, Jonathan Schooler, dell’Università di Pittsburg, e Kathleen Vohs, all’epoca all’Università dello Utah, si sono domandati, nel 2008, se la convinzione, anche se ipoteticamente illusoria, dell’esistenza del libero arbitrio, possa in qualche misura incidere sul senso di responsabilità personale. Sviluppando l’interrogativo a contrario, il dubbio attiene alla possibilità che la promozione di una visione deterministica del comportamento umano possa incoraggiare condotte immorali. L’esperimento elaborato per tentare di fornire una risposta a suddette curiosità, consisteva nella sottoposizione a due gruppi di soggetti di un paio di letture differenti tra loro. La prima contenente una visione deterministica che negava la reale esistenza del libero arbitrio e la seconda lettura caratterizzata da una visione neutra della questione senza particolari riferimenti al tema della libertà di volere. Successivamente i soggetti erano chiamati a risolvere opportunità di tipo biologico e non solo. Si veda I.MERZAGORA BETSOS,Colpevoli si nasce?, cit,

pp. 120-122.

119 Ivi, p.49.

120 E. PICOZZA, Problemi di carattere applicativo, in AA. VV, Neurodiritto. Una introduzione,

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55 mentalmente una serie di problemi matematici servendosi di un computer e, attraverso escamotages, gli psicologi consentivano in questa fase la possibilità di imbrogliare nella risoluzione dei test.

I risultati evidenziavano una maggiore inclinazione a imbrogliare in capo ai soggetti esposti a una visione deterministica e, sempre nello stesso studio, gli autori hanno potuto dimostrare come, anche quando viene sollecitato un comportamento più attivo, questi stessi soggetti sono comunque più inclini a sviluppare un comportamento immorale121.

L’anno seguente, l’équipe di Baumeister ha esteso i risultati riportati da Vohs e Schooler e rilevato ancora una volta come la negazione del libero arbitrio favorisca atteggiamenti antisociali122. Nonostante non siano ancora chiari i meccanismi sottesi allo sviluppo di questi atti riprovevoli, gli esiti delle ricerche condotte sottolineano come il senso di responsabilità personale sia direttamente proporzionale alla convinzione in capo alle persone di esercitare un controllo consapevole sulle proprie azioni. Gli autori ravvisano, in sostanza, nell’attribuzione della libertà e della volontarietà ai soggetti, una forma di catalizzatore sociale.

Le discussioni relative al libero arbitrio, pur essendo per eccellenza filosofiche e metafisiche, sono al contempo “vive e sensate” per ciascun individuo poiché ad essere messo in discussione è lo stesso soggetto. Le teorie sull’argomento travolgono in ogni caso le idee sulla natura umana e se la questione si colloca da un lato nei prolegomeni di un’etica, dall’altro rappresenta il cuore stesso di una teoria sulla persona123. La libertà di volere e di agire integra

121 Gli studi di Vohs e Schooler sono puntualmente illustrati in D.RIGONI,M.BRASS,La libertà: da illusione a necessità, in AA.VV.,Siamo davvero liberi?, cit., pp 81-3.

122 Ibidem, pp. 82-3.

123 R.DE MONTICELLI, Che cos’è una scelta?, cit., pp. 112-3. La persona, in senso lockiano, può

essere definita tale solo in presenza di quelle capacità psicologiche che le consentono di costruire, nell’immaginazione, scenari di prova atti a valutare progettualmente le conseguenze delle proprie azioni. Ancora, è persona chi è in grado di cogliere se stesso come agente materiale

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56 una delle esperienze maggiormente costitutive dell’identità personale e morale dell’uomo giacché egli può affermarsi e manifestarsi solo attraverso le decisioni adottate. Il libero arbitrio, definito come una «cruciale istituzione “mentale”»124, funziona e serve nelle relazioni interpersonali per regolare la responsabilità delle condotte coinvolte.

La tradizione filosofica occidentale è pressoché unanime nel ritenere che esista un nesso unico e peculiare tra l’essere persona e l’essere soggetto moralmente responsabile: solo le persone possono considerarsi autori delle proprie azioni al punto da esser chiamate a risponderne. Il concetto di responsabilità, nella sua accezione latina, sottende una struttura relazionale in cui taluno è chiamato, avendone la facoltà, a fornire delle risposte; a sua volta, la capacità di rispondere presuppone, in primo luogo, l’essere in relazione con qualcuno che pone delle domande. Oggetto della responsabilità è la condotta dell’agente, in termini di azioni od omissioni e relative conseguenze e, più in generale, tutto ciò che dipende dal soggetto in maniera essenziale ed è ad esso riconducibile tramite un nesso causale evidente. La responsabilità delle azioni ha un carattere essenzialmente retrospettivo poiché ha ragione di esistere solo in presenza di una responsabilità a monte delle scelte – ossia di tutti quegli atti volontari preceduti da deliberazioni coscienti – da cui tali azioni originano125.

e come un’entità dotata di un’interiorità che permette di far proprie le azioni e la loro valutazione. Sul punto, M.MARRAFFA,E.SIRGIOVANNI,Coscienza e responsabilità, in AA.VV.,

Quanto siamo responsabili?, cit, pp. 83-4. Il tema della libertà è intimamente legato all’idea di

«ciò che costituisce un io, una persona, un uomo» al punto che basterebbe «manipolare a sufficienza la definizione di uomo per far assumere alla libertà il significato che vuole il manipolatore». I.BERLIN,Quattro saggi sulla libertà, Milano, 1989, p. 200.

124 V. C. CASTELFRANCHI, NeuroNorme: per un approccio non riduzionista. Cosa cercare e non cercare nel cervello, in Rivista di filosofia del diritto, III, numero speciale 2014, p. 35.

125 Ci si riferisce a una tradizione secolare di pensiero che si sviluppa da Aristotele in p oi, sino ad

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57 Tanto l’etica ingenua126 quanto il diritto, considerano – come si vedrà – la coscienza quale criterio fondamentale di attribuzione della responsabilità personale.

126 La psicologia di senso comune, o popolare (la cosiddetta folk psychology), o psicologia

ingenua/naïf, al di là delle sfumature tra le diverse espressioni, può esser definita come quell’insieme di teorie, rappresentazioni e credenze che l’individuo matura con naturalezza nel corso del suo sviluppo cognitivo e sociale.

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S

EZIONE III

LA QUESTIONE GIURIDICA

7. Neurodiritto.

La radicale alterità tra descrizioni scientifiche e prescrizioni normative deve oggi fare i conti con la capillarità delle relazioni intercorrenti tra scienza e sistema giuridico. Infatti, se la scienza è diventata fonte autorevole di conoscenza del diritto, quest’ultimo, dal canto suo, è determinante nello sviluppo della prima, destinata a muoversi socialmente in una fitta rete normativa.

La convergenza tra “i due principali creatori di ordine e regole”127 e la loro vicendevole legittimazione è peraltro percepibile nei rispettivi luoghi di competenza, reciprocamente colonizzati, ove “discipline, soggetti, professioni e linguaggi si mescolano”128. Sempre più frequentemente, i nuovi settori di conoscenza scientifica nascono congiuntamente ai relativi complementi normativi: è il caso del neurodiritto segue lo sviluppo delle neuroscienze. Il normativismo accompagna il naturalismo sollecitato dal crescente bisogno della società di un disciplinamento giuridico in risposta alle incertezze conoscitive connesse al progresso scientifico. Da qui l’esigenza di un linguaggio comune, necessario, in un’ottica di co-produzione129, nel processo di adattamento della scienza alla legge, nonché di un assetto metodologico che favorisca l’accoglienza, in seno a una disciplina, dei contenuti dell’altra.

127 Così S. JASANOFF,Science and public Reason, New York, 2012.

128 Espressione atta a descrivere la stretta collaborazione tra gli attori coinvolti: il ruolo cruciale

delle comprensione scientifico-tecnologica in ambito giuridico comporta la costante partecipazione attiva nei procedimenti giuridici degli scienziati, in qualità di esperti, e l’affiancamento di questi ultimi, da parte dei giuristi, al fine di garantire la sicurezza e la correttezza normative delle attività svolte. M.TALLACCHINI,Scienza e diritto. Prospettive di co- produzione, in Rivista di filosofia del diritto, II, 2012, p. 315.

129 Ibidem. La co-produzione è qui intesa come lo strumento interpretativo del reciproco prodursi

del linguaggio scientifico e giuridico, accezione acquisita nelle riflessioni di Sheila Jasanoff nei suoi Science and Technology Studies e riproposta dalla Tallacchini. L’approccio separatista, al contrario, alla luce delle differenze di statuto metodologico, di finalità, linguaggi e schemi temporali considera insuperabile l’alterità tra scienza e diritto.

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59 Eppure, per quanto il diritto sia per sua stessa natura stabile, ma non immobile, osservato da una prospettiva neuroscientifica, non è difficile scorgere il cosiddetto law-lag: il presunto “ritardo legale” dovuto all’inidoneità degli strumenti giuridici a stare al passo con i ritmi dello sviluppo scientifico e tecnologico. Nel caso di specie, il diritto occidentale contemporaneo avrebbe maturato un ritardo di circa quattro secoli: il suo ancoraggio alla concezione cartesiana dell’individuo ha dato origine a un vero e proprio scollamento tra la scienza della mente e le posizioni di senso comune130 e lo avrebbe reso inadatto a

competere con successo in una dimensione ormai scientifico-centrica.

L’impatto delle conoscenze neuroscientifiche nel sistema giuridico e le relative questioni interpretative sono oggetto delle riflessioni proprie di quella branca del diritto anglosassone ribattezzata neurolaw131. Il neurodiritto rappresenta un settore di ricerca emergente e per questo ancora acerbo, ma dai contenuti evidentemente interdisciplinari (come, peraltro, suggerisce la congiunzione del prefisso “neuro” con il sostantivo “diritto”)132: una disciplina sfaccettata il cui obiettivo primario è quello di abbattere gli steccati delle specializzazioni in favore di un metodo unitario133.

130 In questo senso le riflessioni di G. SARTORI,A.LAVAZZA,L.SAMMICHELI,Cervello, diritto e giustizia, in A.LAVAZZA,G. SARTORI (a cura di), Neuroetica, Bologna, 2011, p. 135.

131 Il termine coniato dallo studioso statunitense J. Sherrod Taylor, in “Neuropsychologists and Neurolawyers”, identifica una nuova disciplina di indagine la cui peculiarità risiede nel quid pluris che la neuroscienza è in grado di apportare al diritto: «a biologically informed psychology front and centre in jurisprudential ». Si veda F. MORETTA, Pena di morte e minori: ecco come le

neuroscienze entrano nelle aule dei tribunali degli Stati Uniti, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 2017, III, p. 201.

132 Goodenought e Zeki, due studiosi statunitensi, evidenziano, nell’ambito di un articolo

destinato alla trattazione del legame tra law e neuroscience, come lo studio degli stati emozionali, dei processi decisionali e di altri fattori propri della sfera “intima” dell’uomo, principali oggetti d’interesse del settore neuroscientifico, si intersechi con discipline di matrice sociale quali il diritto.

133 Per quanto il dichiarato scopo di questa disciplina consista nella trasposizione delle

acquisizioni neuroscientifiche, una volta elaborate dagli studiosi competenti, nell’ambito del diritto, non manca, tuttavia, chi considera il neologismo “neurodiritto” una mera provocazione o, più precisamente un’operazione di “neuromarketing” finalizzata ad attrarre una maggiore attenzione sulla materia. In questo senso D.TERRACINA, Problematiche del diritto penale, in AA.

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60 Oltre a studiare le modalità attraverso le quali il cervello elabora i concetti giuridici di base, primo fra tutti quello di responsabilità, il neurodiritto traccia i confini del diritto positivo entro il cui ambito possono muoversi le neuroscienze e saggia i risvolti pratici di queste ultime sulle basi teoriche degli istituti di diritto fondamentali.