• Non ci sono risultati.

Gli ostacoli normativi all’uso delle tecniche neuroscientifiche.

Appurata la natura scientifica, saggiata l’affidabilità e l’idoneità a fornire informazioni utili all’istruzione probatoria, resta da chiarire se le prove neuroscientifiche possano legittimamente fare ingresso nel processo. La questione sull’ammissibilità delle neuroscienze è risolta differentemente a seconda della natura delle specifiche metodologie considerate. Si ritiene dunque utile, anche per ragioni di comodità espositiva, operare preliminarmente una distinzione tra le tecniche volte ad accertare l’attendibilità della prova dichiarativa e quelle che, nell’ambito della perizia psichiatrica, sono invece adoperate allo scopo di sondare la capacità di intendere e di volere del soggetto. I problemi sorgono in particolare rispetto alle prime: l’utilizzo di tecniche di memory detection è in prevalenza ritenuto contrario al divieto di cui all’art. 188 c.p.p.

Nel novero di queste metodiche rientrano la già menzionata fMRI (la risononanza magnetica funzionale), il Brain Fingerprinting537, che consentirebbe di sondare la memoria alla ricerca delle c.d. “impronte cerebrali” sintomatiche di precisi ricordi e l’ Autobiographical Implicit Association Test538(l’unica tipologia di

memory detection che ha trovato applicazione nel processo italiano). L’aIAT

rappresenta un test dai margini di errore decisamente ridotti rispetto alla comune macchina della verità. Esso è costruito sui tempi di reazione alle domande e si fonda sulla teoria secondo la quale i tempi di reazione rapidi sono il riflesso di un ricordo genuino, mentre alla falsificazione di un ricordo consegue un loro aumento in ragione del conflitto cognitivo che il soggetto deve superare539. Con riferimento a

537 V., supra, cap. I, sez. I. 538 V. supra, cap. II, § 3.

539 Così, P. FERRUA, Neuroscienze e processo penale, cit., pp. 268-9. Sul punto si vedano altresì

le osservazioni di L. ALGERI,Neuroscienze e testimonianza della persona offesa, in Riv.it. med.

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

180 questa metodologia d’indagine la dottrina si è interrogata sulla sua potenziale idoneità lesiva della libertà personale del soggetto che vi è sottoposto. In particolare, l’interrogativo si è reso maggiormente necessario in considerazione del fatto che il Tribunale di Cremona, la cui sentenza è stata oggetto di analisi nel capitolo precedente, ha fondato il proprio convincimento in ordine ai reati contestati all’imputato anche sulla base dei risultati prodotti attraverso l’uso di questa metodologia.

Come è noto, l’art. 188 c.p.p. prevede il divieto di utilizzare, anche con il consenso della persona interessata, «metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti». Il divieto probatorio è espressione di un principio generale che, attraverso l’impedimento di qualsiasi manipolazione della psiche con mezzi di costrizione mentale e fisica540, indipendentemente dalla volontà della persona, pone in essere una precisa scelta di etica probatoria in cui si privilegia il “come” si perviene ad un risultato conoscitivo.

La metodologia dell’aIAT è ritenuta da taluna dottrina lesiva della libertà morale tutelata dall’anzidetta norma codicistica, in quanto si risolverebbe in una forma di introspezione mentale. Da una parte si denuncia la sottoposizione del soggetto alla forte pressione psicologica esercitata da un sistema che promette di svelare eventuali risposte mendaci, dall’altra, specie alla luce del caso di Cremona, si contesta altresì la suggestività delle proposizioni formulate. Invero, la somministrazione di frasi direttamente riferibili al fatto di reato inciderebbe specificamente sulla spontaneità di ricordi poiché l’esaminato sarebbe indotto a rispondere ripetendo l’informazione che la frase propone541.

540 Il divieto riguarda sia le tecniche che comportano una coartazione psichica, quali la

narcoanalisi e l’ipnosi, sia gli strumenti che verificano la veridicità delle dichiarazioni quali il poligrafo.

541 In questo senso F. CORDERO,Procedura penale, Milano, 2012, p. 616; V. GREVI,Prove, in G.

CONSO,V.GREVI,M.BARGIS,Compendio di procedura penale, Padova, 2012, p. 313; L. ALGERI,

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

181 Un altro orientamento dottrinale, muovendo dal presupposto secondo il quale il soggetto è pienamente libero di asserire la veridicità o la falsità delle informazioni che gli vengono proposte, non riscontra in tali metodiche alcuna compromissione della libertà di autodeterminazione personale. D’altronde, a conferma di tale posizione, si rileva come i tratti paralinguistici (i tempi di reazione) dai quali sono dedotte le eventuali mendacità non siano poi così diversi dai tratti prosodici del discorso che vengono presi in considerazione e valutati durante un’ordinaria dichiarazione542.

Altra dottrina, ancora, pone l’accento su ulteriori profili problematici, il primo dei quali attiene alla verifica confutazionista di tali acquisizioni e cioè alla possibilità che l’attendibilità e la credibilità del dichiarante possano essere valutate. Appare infatti quantomeno difficile garantire in questi casi un controesame, con la conseguenza che «il tragitto dalla prova al fatto da provare (la menzogna o la verità) diventa impermeabile alle controargomentazioni»543. Inoltre, si rileva come tali metodiche minerebbero la libertà personale del soggetto nell’ipotesi (tutt’altro che improbabile) in cui sia il testimone in primis a sottoporsi a questo tipo e ciò ponga l’imputato di fronte a una scelta obbligata onde evitare che un suo rifiuto possa essere valutato dal giudice come elemento di convincimento. In definitiva, il timore è che un controllo neuroscientifico di questo tipo sulle dichiarazioni di un soggetto diverso dall’imputato introduca nel processo una sorta di prova a fede privilegiata che possa essere confutata solo con un’altra sottoposizione alla medesima verifica. Ne deriverebbe allora sia una grave compromissione della libertà di

542 V. P. FERRUA, Neuroscienze e processo penale, cit., p. 270. È interessante la posizione

dell’autore che esprime perplessità soprattutto sulla struttura della prova, in considerazione del fatto che «la persona, proprio nell’atto di parola che dovrebbe vederla come partecipe di un processo comunicativo, degrada a mero oggetto di osservazione e di analisi. L’aspetto vagamente inquietante è che qui l’atto di parola non venga più in rilievo come momento di dialogo e occasione di ascolto, ma sia analizzato e per così dire trattato “chimicamente” allo scopo di estrarne informazioni alla stessa stregua con cui si effettua un esame ematologico o si ispeziona un organo».

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

182 autodeterminazione che una violazione delle garanzie previste dagli articoli 63 e 64 c.p.p.544.

Considerazioni di diverso tipo vanno invece fatte per quella tipologia di indagini neuroscientifiche atte ad accertare l’imputabilità del soggetto e che si traducono in un patere. È il caso della risonanza magnetica funzionale o della tomografia ad emissione di positroni che implicano la passività del soggetto che vi è sottoposto, ma che presuppongo un consenso espresso un atto libero di volontà. Per quanto ancora non risultino nella giurisprudenza nazionale casi di accertamenti neuroscientifici coattivi, nondimeno si ritiene opportuno interrogarsi sulla legittimità di tale ipotesi.

Il dato normativo di riferimento è rappresentato dagli articoli 224bis e 359bis c.p.p.545 riguardanti l’esecuzione coattiva di atti idonei a incidere sulla libertà personale. Nel novero di tali atti non c’è evidentemente alcun riferimento esplicito all’esame neuroscientifico, tuttavia l’indeterminatezza e la vaghezza della formula «accertamenti medici», al di là delle frizioni costituzionali, consentirebbero secondo la dottrina di farvi rientrare anche quelle indagini neuroscientifiche rivolte all’analisi delle facoltà psichiche del soggetto che non possono scalfire in nessun modo la sua libertà di autodeterminazione546.

544 Di tale avviso è F. R. DINACCI,Neuroscienze e processo penale: il ragionamento probatorio tra chimica valutativa e logica razionale, in Processo penale e giustizia, 2/2016, pp. 6-8.

545 La relativa disciplina è stata introdotta con la legge 30 giugno 2009, n. 85, in seguito alla

dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 2, c.p.p., per contrasto con la riserva di legge in materia.

Maria Teresa Filindeu, Diritto penale e neuroscienze: una riflessione su limiti e prospettive, Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

183

C

ONCLUSIONI