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I limiti dello statuto metodologico e alcuni possibili spiragli risolutivi.

7. La giurisprudenza penale in materia di valutazione del sapere specialistico.

7.2. I limiti dello statuto metodologico e alcuni possibili spiragli risolutivi.

Per quanto si apprezzino gli accenti di rigore delle indicazioni fornite dal manifesto metodologico521 della sentenza Cozzini, definita «quanto di meglio la Corte di Cassazione abbia prodotto nel recente periodo, a custodia del nomos e della razionalità del giudizio»522, è doveroso interrogarsi sulla sua effettiva portata. Innanzitutto, senza voler sminuire l’impostazione metodologica delineata, si condivide l’opinione di chi invita a ridimensionare, o, se si preferisce, a non sovrastimare il ruolo attribuito ai criteri suesposti fino a considerarli una panacea per la soluzione delle questioni probatorie.

La dottrina riconosce unanimemente l’attitudine di tali canoni a «scremare la base cognitiva dell’accertamento causale, espungendo la scienza c.d. spazzatura». Tuttavia, essi non rappresentano parametri oggettivi di accertamento indiscusso della qualità scientifica, tali da bypassare il criterio della prevalenza delle opinioni espresse nel settore tecnico-scientifico di riferimento che, si osserva, rimane al contempo il criterio più significativo523.

I dubbi sulla portata ermeneutica del dictum Cozzini sorgono allorquando ci si trovi in una situazione di impasse dovuto a uno stallo gnoseologico interno alla scienza stessa, che neanche tali criteri consentono di superare. Ciò induce la dottrina a interrogarsi sulla reale funzione del giudice, poiché al di là dell’etichetta cristallizzata in sentenza di fruitore attivo di un sapere estraneo al processo, occorre capire se tale compito possa essere ottemperato o sia quantomeno gestibile. In altre parole ci si pone il problema della fattibilità per un organo giudicante sprovvisto di conoscenze esperte di prendere posizione in ordine a una questione che divide gli esperti stessi. Non solo, se anche si pervenisse a una soluzione positiva, resterebbe da chiarire il problema della giustificazione della

521 L’espressione è di F. GIUNTA, ult. op. cit., p. 69.

522 Così, D. PULITANÒ, Populismi e penali. Sulla attuale situazione spirituale della giustizia penale, in Criminalia, 2013, p. 141.

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175 preferenza espressa per una tesi da parte del giudice onde evitare che si configuri una decisione arbitraria524.

La questione si complica qualora il contrasto sulla teoria scientifica si registri nella cerchia degli studi maggiormente accreditati, poiché si potrebbe palesare il rischio, come prontamente osservato525, di una negazione del problema e della conseguente creazione di un’ulteriore verità scientifica di matrice giurisprudenziale526.

Le neuroscienze, in quanto sapere pioneristico e ancora controverso, pongono costantemente il giudice di fronte a simili scelte di campo, le quali considerato l’elevato tecnicismo della materia non possono certo risolversi in una valutazione sul merito dei contributi scientifici. Quale via di fuga in questo circolo vizioso? Può il giudice appellarsi a un legittimo «stato di ignoranza»? Sì, secondo il giudice nomofilattico. La Cassazione, nel 2015, affronta la questione con riferimento proprio alla consulenza neuroscientifica e, richiamando quanto già precedentemente affermato, ritiene che la soluzione vada ricercata affidandosi ai «principi e regole che disciplinano l'acquisizione e la formazione della prova nel processo penale e, quindi, ai criteri che presiedono alla relativa valutazione. Le coordinate di riferimento dovranno essere quelle afferenti al principio del contraddittorio ed al controllo del giudice sul processo di formazione della prova, che deve essere rispettoso di preordinate garanzie, alla cui osservanza deve essere, rigorosamente, parametrato il giudizio di affidabilità dei relativi esiti. Di talchè, un risultato di prova scientifica può essere ritenuto attendibile solo ove sia controllato dal giudice, quantomeno con riferimento all'attendibilità soggettiva di chi lo

524 Questi stessi aspetti hanno costituito oggetto di critica in dottrina tra chi ritiene che la

sentenza Cozzini, valicando i limiti del sindacato sulla motivazione, abbia in realtà “invaso” indebitamente il campo di operatività del giudice di merito. E, nel farlo, avrebbe imposto al giudice un «così rigido percorso» che si traduce in un onere tanto difficile d a precludere le possibilità di accertamento del nesso causale. Si veda, in questo senso, C. BRUSCO,Il rapporto di

causalità, Milano, 2012, p. 180. 525 Ivi, p. 77.

526 Il che evocherebbe, sulla falsariga della c.d. certezza processuale, una sorta di verità lo gica o

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176 sostenga, alla scientificità del metodo adoperato, al margine di errore più o meno accettabile ed all'obiettiva valenza ed attendibilità del risultato conseguito. Insomma, secondo un metodo di approccio critico non dissimile, concettualmente, da quello richiesto per l'apprezzamento delle prove ordinarie, al fine di esaltare, quanto più possibile, il grado di affidabilità della "verità processuale" o - se si preferisce - ridurre a margini ragionevoli l'ineludibile scarto tra verità processuale e verità sostanziale»527.

Ma se anche questo tipo di controllo non consentisse di uscire dalla “secca epistemica”528 dei conflitti tra esperti?

Una prima strada indicata dalla dottrina atterrebbe alla previsione di una formazione specialistica mirata alla selezione dei decisori. Al di là dei costi e delle relative controindicazioni che la renderebbero difficilmente percorribile, non si è neanche convinti che questa possa rappresentare una soluzione o, comunque, non una soluzione definitiva. Potrebbe certo contribuire a una riduzione dei casi problematici, ma non alla loro eliminazione529.

Appare invece più persuasiva la tesi secondo la quale sarebbe lo stesso processo a fornire gli strumenti per superare un simile stallo, grazie al ricorso ai tradizionali principi di garanzia del sistema penale. Il rimedio sarebbe offerto insomma dalle regole sugli oneri probatori e, più in generale, dal disposto dell’art. 533 c.p.p. Se da una parte, infatti, l’ordinamento penale nega al giudice la facoltà del non liquet, dall’altra, ragioni di coerenza del sistema stesso impongono la regola secondo la quale la colpevolezza debba essere affermata oltre ogni ragionevole dubbio530. Ciò significa che, ove all’esito dell’istruzione probatoria dibattimentale il giudice non sia ancora nelle condizioni di aderire a una delle tesi scientifiche controverse, la decisione deve risolversi in senso sfavorevole per la

527 Cass. pen., sez. I, 10 giugno 2015, n. 45351, par. 2, nel quale si richiama quanto espresso da

Cass. pen., sez. V, 27 marzo 2015, n. 36080, Knox, par. 7.

528 L’espressione è di G. CARLIZZI,G.TUZET, ult. op. cit., p. 114.

529 Sul punto, con sguardo critico, G. CARLIZZI,G.TUZET, ult. op. cit., p. 121. 530 Cfr., F. GIUNTA,ult. op. cit., p. 78.

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177 parte gravata dell’onere. In definitiva, qualora il dubbio si confermi fondato e insuperabile, si dovrà optare per la formula liberatoria.

A ben vedere, però, neanche questa pare essere una soluzione quando si parla di prova neuroscientifica e ciò in ragione del particolare ambito di operatività di questo sapere. La questione, infatti, si complica allorquando il giudizio coinvolga istituti c.d. «anfibi» (tra i quali si annovera l’imputabilità), la cui determinatezza legislativa debole sollecita un decisivo “completamento” da parte di un sapere extra-giuridico531.

Nell’accertamento della seminfermità mentale, «la voce flebile della scienza» sembra perdere terreno rispetto al parametro normo-valutativo sociale del disturbo mentale e ciò a causa del continuo proliferare di tesi scientifiche carenti sotto il profilo esplicativo. Ora, secondo la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tali situazioni di impasse scientifica dovrebbero condurre verso l’esito assolutorio. Tuttavia, in considerazione della notevole frequenza con cui, nel campo dell’imputabilità, si perviene a tale epilogo incerto, la regola subisce un’eccezione, giustificata parrebbe da esigenze di prevenzione532.

A ciò si aggiunga un altro importante fattore che in questa prospettiva merita di essere analizzato. Si è già avuto modo di accennare nella sezione precedente alla c.d. processualizzazione delle categorie sostanziali533 che, a parere della dottrina, riguarderebbe anche l’imputabilità. Più specificamente, tale istituto sarebbe coinvolto nel fenomeno della torsione ermeneutica in base al quale in sede giudiziale si adotterebbe un’interpretazione di tale categoria incoerente rispetto ai

531 Sull’analogia con il rinvio a norme extragiuridiche che caratterizza i c.d. elementi normativi di

fattispecie, si veda D. PULITANÒ,Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere scientifico, cit.,

pp. 803 ss.

532 Delle importanti ripercussioni che tale incertezza può generare nel giudizio di imputabilità, si

parla in C. PIERGALLINI, La regola dell’“oltre ragionevole dubbio” al banco di prova di un ordinamento di civil law, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 623. L’autore manifesta

preoccupazione per la possibilità che «[…] la condizione di diffusa incertezza che affligge la psicopatologia possa favorire prassi ondivaghe, difficilmente contenibili dalla formula Bard. Specie davanti a crimini efferati e "senza ragione", vigorosi appelli alla difesa sociale potrebbero agevolare brusche svolte restauratrici, che passano per il superamento del principio in dubio pro reo a vantaggio di quello, di chiara impronta autoritaria, in dubio pro republica».

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178 principi del diritto penale sostanziale, allo scopo di semplificare l’onere probatorio. Nel caso di specie, la giurisprudenza maggioritaria, in linea con l’orientamento ormai superato dalle Sezioni Unite che considerava l’imputabilità quale elemento avulso dalla struttura del reato, sembrerebbe voler alleggerire l’accusa dall’onere di provare oltre ogni ragionevole dubbio la capacità di intendere e di volere del soggetto534. L’ipotesi che in tal modo possa configurarsi una presunzione iuris tantum535 dell’imputabilità con conseguente prova gravante in capo all’imputato circa la reale sussistenza di un’eventuale incapacità, troverebbe esplicita conferma nelle recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità536. Ne deriva che, nei casi in cui l’incertezza probatoria insuperabile attenga alle tecniche neuroscientifiche impegnate a saggiare la presenza di un deficit della capacità di intendere e di volere dell’imputato, secondo le regole

534 In argomento, per ulteriori approfondimenti, A. CORDA,Ricostruzioni dogmatiche e dinamiche probatorie: l’imputabilità penale tra colpevolezza e affermative defenses, cit., pp. 243 ss.

535 Ipotesi esclusa da taluna dottrina che, nel tentativo di armonizzare le acquisizioni dogmatiche

e le posizioni giurisprudenziali, ritiene sia più corretto parlare di presunzione semplice. In questo modo, si osserva, tale presunzione, fondata sulla base del dato indiziante della maggiore età e sulla considerazione che la sanità psichica risponde all'id quod plerumque accidit, consente di affermare, secondo un ragionamento logico, che il maggiorenne sia imputabile. Invero, si ribadisce come ogni rovesciamento dell’onere della prova od ogni presunzione legale a carico dell’imputato debba essere esplicitamente previsto dalla legge in quanto eccezione del principio generale di presunzione di non colpevolezza. Ad oggi, non è rinvenibile nel disposto codicistico una espressa disposizione derogatoria in materia, la quale ponga una presunzione di capacità a carico del maggiorenne. Per ulteriori spunti e rilievi critici, si rinvia a C. PECORARO,

Sullinsussistenza di una presunzione relativa di imputabilità del maggiorenne, in Cass. pen.,

2008, pp. 2431 ss.

536 Cfr. Cass. pen., sez. IV, 13 febbraio 2007, n. 15218, in DeJure, in cui si legge «la capacità di

intendere e di volere dell'adulto è, in via di principio, oggetto di una vera e propria presunzione, sia pure iuris tantum e che, conseguentemente, l'obbligo di motivare il giudizio sulla sua sussistenza, e specularmente quello sulla superfluità di una perizia volta ad appurarne l'integrità, va posto in stretta correlazione con la prospettazione, da parte della difesa, di elementi specifici e concreti, idonei a far ragionevolmente ritenere che, nella singola fattispecie, per l'incidenza di una vera e propria "infermità", e cioè di uno stato morboso caratterizzato da inequi vocabili connotazioni patologiche, detta presunzione sia superata da risultanze di segno contrario». Ancora più recente, Cass. pen., sez. VI, 22 febbraio 2019, n.16858, par. 3.1, in DeJure: «[…]l'obbligo di motivare il giudizio sulla sussistenza della capacità d'intendere e di volere, e specularmente quello sulla superfluità di una perizia volta ad appurarne l'integrità, va posto in stretta correlazione con la prospettazione, da parte della difesa, di elementi specifici e concreti, idonei a far ragionevolmente ritenere che nella singola fattispecie detta presunzione sia superata da risultanze di segno contrario, per l'incidenza di una vera e propria infermità, e cioè di uno stato morboso caratterizzato da inequivocabili connotazioni patologiche».

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179 sugli oneri probatori considerate, la decisione dovrà concludersi in sfavore alla parte sulle quale grava l’onere probatorio e dunque sull’imputato.