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4. Passato, presente e futuro delle abitudini alimentari

4.3 Lo spazio del commestibile: alimentazione ieri e oggi

4.3.1 La centralità di legumi e cereali

Tutte le interviste realizzate si sono aperte con la richiesta di rievocare il primissimo ricordo alimentare. Questo passaggio è servito non solo a rompere il ghiaccio e mettere a proprio agio gli intervistati (ivi par. 2.3.2.1), ma anche comprendere che tipologia di alimenti rappresentasse la quotidianità, o avesse avuto per diversi motivi un impatto indelebile sulle memorie individuali. Emerge, nella maggior parte delle testimonianze, un passato alimentare molto semplice, connotato dalla presenza di pochi alimenti poco o nulla lavorati, e in un ambiente connotato dalle più svariate forme di autosostentamento e autoproduzione. Se di cibo tradizionale si vuole parlare, occorrerebbe parlare di tradizione della sopravvivenza e di tecniche di adattamento alle scarse risorse disponibili. In tutte le tre aree nel quale si sono svolte

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le interviste (ivi par. 2.3.1), i soggetti evocano immagini di vita umile e parca, così come semplici e facilmente reperibili risultano i cibi con più forza impressi nelle loro memorie. Nelle aree a prevalenza contadina la componente dell’autoproduzione risulta fin da subito fondamentale:

Sempre erano i legumi, le patate. Di quello che avevamo. Mio padre coltivava i pomodori, i fagioli. Li coltivava mio padre. Dipendeva da quello che si poteva preparare. Altrimenti fa eva o…… Allo a si andava a macinare il grano e poi si faceva la farina in casa. Mia madre delle volte, quando proprio non faceva a tempo a preparare qualcosa, prima di andare in campagna con mio padre, impastava due cosi di farina e faceva le lasagne in casa. Era una cosa veloce. Lei poi in un attimo la lavorava, la lavorava un po’, lo fa eva usa do su a eddu75 , allo a li fa eva o di a a uesti affa i. Te deva la pasta i

uesto a eddu appu to, el e t e etteva u po’ di sugo a fa e o la onserva. Si faceva, i po odo i ’e a o e si fa eva uesta o se va. Maddale a, Alto Oristanese)

Si poteva parlare a tutti gli effetti di integrazione delle attività domestiche orientate alla

sussistenza alimentare. A partire dal grano – che poteva essere coltivato personalmente,

scambiato a seguito dell’esecuzione di piccoli lavori o in cambio di altri generi alimentari – veniva prodotta la farina per il pane e la pasta fresca, ma si poteva anche contare su una integrazione per l’alimentazione degli animali domestici (soprattutto del maiale) grazie all’impiego della crusca per la realizzazione di pastoni a base vegetale (particolarmente rilevante l’impiego dei fichi d’India, le cui piante tutt’oggi caratterizzano il paesaggio campestre mediterraneo e sardo).

Macinavamo il grano, facevamo la farina a casa, facevamo il pane e la crusca la impastavamo con i fichi d’I dia e a giava uello il aiale. […] Il g a o lo a i ava o tutte le setti a e, fa eva o la fa i a, la fa evo a h’io la fa i a pe fa e il pa e. Tutte le settimane. Quindi le cose erano genuine. Lievito non e ’e a p i a! Usava o il oso ad e, o e si hia a, la pasta ad e. […] Ma gia e! L’estate ua do ’e a o le patate f es he e le ipolle, allo a pe u el po’ di te po e a i salata di patate e cipolle. (Olga, Alto Oristanese)

Il lavoro quotidiano, in particolare quello domestico, doveva assicurare all’intero nucleo

familiare il sostentamento quotidiano sia attraverso le fonti proteiche che i carboidrati. I legumi, in particolare, costituivano un elemento essenziale della dieta quotidiana, per il loro apporto calorico e proteico e la facilità di conservazione nel corso dell’anno. La disponibilità di carne, che come vedremo più avanti veniva consumata in quantità decisamente inferiori rispetto a quelle a cui siamo oggi abituati, era appunto strettamente legata alla capacità e possibilità di

75 Trad.: piccolo strumento realizzato con canne, utilizzato per stendere la pasta fresca, così da consentirne

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allevare degli animali in ambito domestico. Animali che nella quasi totalità dei casi erano destinati ad un uso esclusivamente familiare. Nella memoria degli intervistati il richiamo agli alimenti semplici che caratterizzarono la dieta della propria infanzia e gioventù risulta saldamente legato alla percezione di benessere e maggiore salubrità.

Il i o e a… i legu i! E a o i legu i i p i a li ea. E poi si aveva gli animali in casa, i conigli, i polli, i ta hi i. I più il aiale! Pe h l’ali e tazio e e a osì p i a, e ava o sa i, tutti. E a u a ali e tazio e sa a pe h ’e a o i legu i, poi tutto ua to. No i a ava la a e, pe h si aveva a casa. Semp e, ueste ose… e poi di tutto, ve du e a più o posso, e poi legu i. E il pa e, il pa e lo faceva mia mamma. Avevamo il forno, e lo faceva mia mamma con mia sorella, e qualche volta aiutavo anche io. Conta che ne facevamo due quintali al mese! Lavoravano, eh! Si lavorava veramente! (Elena, Assemini).

Altro elemento essenziale della dieta quotidiana era costituito dal pane, anch’esso solitamente prodotto entro le mura domestiche e atto a soddisfare buona parte delle esigenze nutrizionali di tutta la famiglia. Da preziosa risorsa quale era, in linea con una abitudine alla ottimizzazione assoluta delle risorse disponibili, non era infrequente la realizzazione di ricette alternative per

il consumo dei prodotti vicini al deperimento. Le testimonianze relative all’abitudine di

preparare zuppe a base di pane raffermo ne sono una conferma:

La pasta la fa eva o a asa, fa eva o i avioli. […] e il pa e a asa. E poi fa eva o il pa e affittau76 .

Qua do il pa e e a u po’ du o, o p i a, lo tagliava o a fette e lo mettevamo a cuocere come se tu utti la pasta. Lo fa evi olli e, appe a appe a, osa vuoi. Bisog a vede e a he se e a u po’ più du o, e poi lo condivamo come fosse pasta. Col sugo e formaggio. E lo mangiavamo volentieri! Quando restava pane mettevano co e se tu uttavi la pasta e la o divi o e pasta. […] Mi i o do a a, lo o diva, lo prendeva a fette e lo condiva. A strati, come la pastasciutta, oppure come i ravioli! Non si perdeva niente! (Piera, Alto Oristanese).

La necessità di produrre autonomamente buona parte delle derrate alimentari che costituivano la dieta quotidiana, finiva per dare un ritmo preciso, una vera e propria routine al susseguirsi dei lavori domestici:

Il pane lo facevamo a casa. Ho mangiato sempre pane di grano duro. Sempre, a casa. Lo facevamo noi, mamma. Una volta la settimana. Faceva 40 chili di farina ogni settimana. Eravamo 10, 11 col pastore. Lo fa eva u a volta la setti a a, e ’e ava o a he oi ad aiuta la ua do e ava o agazzi. Pe ò lo faceva tutte le settimane. (Biagio, Alto Oristanese).

76 Trad.: letteralmente affettato. Il termine indica una pietanza tipicamente composta di pane raffermo fatto

ammorbidire velocemente in liquido caldo (acqua, brodo o sugo di pomodoro) e poi utilizzato per comporre zuppe costituite da strati alterni di pane, sugo e formaggio.

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Se pane e legumi erano un elemento essenziale della dieta quotidiana, altrettanto si può dire delle uova. Altro cibo estremamente diffuso grazie alla facilissima reperibilità e all’abitudine di allevare animali da cortile quali le galline.

Allo a da ua do e o pi oli o ho il i o do di uesto pa ti ola e: ’e a o all’o di e del gio o le uova. Uova. Se ne mangiavano molte, anche quando per esempio ero chierichetto e facevamo le gite. Allora a a, o ’e a a uei te pi, non è che ci fossero fettine, e ci faceva la frittata di uova con patate, cose del genere. (Angelo, Assemini).

Emerge un altro elemento interessante, e che aiuterà a comprendere cosa effettivamente sia cambiato tra le abitudini alimentari pre e post modernizzazione. La rigidità nella ripartizione degli alimenti all’interno dei differenti pasti nell’arco della giornata, a cui siamo oggi abituati, (e ne può essere un esempio l’abitudine – non solo italiana – di consumare merendine e snack dolci a colazione), era sessanta anni fa ben più sfumata. La necessità di alimentarsi potendo contare su un numero di ristretto di alimenti disponibili portava infatti a consumare nei più svariati momenti della giornata – a partire dalla prima colazione – pietanze che oggi noi riterremmo appartenere esclusivamente al momento del pranzo o della cena:

A e pia eva tutto, i legu i sop attutto. Mi i o do he i pia eva o olto i fagioli ia hi. C’e a u a donna nel vicinato, quando cuoceva i fagioli bianchi mi chiamava per pranzo. Mi ricordo che mi chiamava quando faceva i fagioli bianchi, mi piacevano troppo. Perché lei li mangiava anche di mattina! Anche a colazione! Perché il latte, delle volte ce ne davano poco. E allora rimaneva per le più piccole. Quindi fagioli ia hi i i o do he…… Ma di solito io a giavo tutto. (Maddalena, Alto Oristanese)

La relativa scarsità degli alimenti e la conseguente poca varietà nella dieta contraddistinguono soprattutto le aree rurali, e in generale le aree dove grossa parte dell’economia dipende ancora dalla produzione agricola. L’alimentazione delle aree urbane si distingue invece per una maggiore varietà, non solo degli alimenti reperibili, ma anche delle ricette e delle preparazioni abitualmente proposte durante la settimana:

Quando ho iniziato a venire qua, andavo ospite da mia suocera. Ho notato che loro erano piuttosto o oto i ella dieta. C’e a pe gio i e gio i e gio i solo pasta al sugo e poi ’e a pe gio i e gio i e gio i i est o e di legu i, e ete a. […] Mia a a va iava, ispetto alle salse soprattutto. Con le verdure, oppure al pesto, pomodoro fresco, erano varie. A Cagliari facevamo molto i malloreddus con la salsiccia, alla cagliaritana. Qua sugo rosso, di solito con passata fatta da loro. Cosa che noi a Cagliari era raro che potessimo avere. Con le verdure a casa di mia suocera io non ne ho mai visto. Pasta con bottarga lo stesso. Erano più monotoni anche nel condimento della pasta. (Sandra, Alto Oristanese).

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Un altro elemento di distinzione tra aree urbane e aree rurali, stante un simile consumo di alimenti quali legumi, la carne, le uova e gli ortaggi, è dato dalla necessità di acquistare quanto necessario al sostentamento familiare piuttosto che produrlo in maniera autonoma. Da questo punto di vista la terza area analizzata nella ricerca, la cittadina mineraria di Carbonia, rappresenta un caso emblematico nel quale allo sviluppo di tipo urbano si è accompagnato uno sradicamento totale delle pregresse abitudini contadine, sia per quanto riguarda le modalità di produzione e approvvigionamento degli alimenti che per quanto riguarda i metodi di preparazione dei pasti. Le esperienze di autoproduzione alimentare si limitano a quelle della piccola coltivazione di ortaggi nei cortili privati e allo sporadico allevamento di animali di piccola taglia, quali conigli e galline. È interessante notare che la cura dei piccoli orti era stata sostenuta e voluta con forza dal regime e, a differenza di quanto accadeva nelle aree rurali, i compiti di cura di queste attività domestiche erano appannaggio esclusivo del capofamiglia anziché della donna di casa. Ciò che comunque accomunava l’alimentazione di entrambe le aree era la scelta degli alimenti reperibili al prezzo più vantaggioso:

Io mi ricordo addirittura il granoturco, le pannocchie. Io andavo pazzo per queste pannocchie. Non aspettavi a maturare. Quando erano anche verdi, si toglievano queste pannocchie e si mangiavano. Oltre a qualche animaletto. Le galline, magari acquistavi 10, 15 o 20 pulcini, li allevavi e come vedevi che quello aveva la cresta e allora era un galletto, il suo destino era fatto. Tenevi qualche gallina, così, per avere anche qualche uovo. Le altre cose, ad esempio in cortile mi ricordo anche qualche fondo di carciofo, ’e a o le pa o hie, i piselli, le fave e i po odo i. Ma giusto queste cose qui. Perché non è che si t ovasse o se e ze hissà o e. E i legu i! I asa ia ’e a u fo te o su o di legu i, appu to perché il pranzo, il primo in prevalenza, erano minestre. […] Mi ricordo molto bene, mia madre in maniera sistematica faceva la pasta due volte alla settimana, la domenica e il giovedì. La domenica e il giovedì era la pasta. Gli altri giorni erano minestre. La pasta, perché si faceva due volte alla settimana, la pasta? Perché era più costosa la pasta che la minestra. […] Quello era il primo. Secondi? I secondi era pane, con che cosa? Con patate. Fatte, che ne so, al verde oppure patate fatte con il sugo. (Marco, Carbonia).