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Cibo e miti alimentari: la dieta Mediterranea, costruzione di una illusione

1. Inquadramento teorico

1.3 Cibo e miti alimentari: la dieta Mediterranea, costruzione di una illusione

Se, come osservato nel par. 1.2, nel corso degli anni ’50 del novecento andarono rafforzandosi

in Italia abitudini alimentari fortemente influenzate dalla crescita dell’industria alimentare, in

quegli stessi anni acquisirono notorietà numerosi studi condotti da ricercatori di provenienza

anglosassone, e centrati su abitudini e stili di vita delle popolazioni dell’area mediterranea19.

Anche l’alimentazione divenne oggetto di studio e da tale interesse scaturì la creazione di un

ideale culinario – a detta dei suoi sostenitori – comune a tutti i paesi del Mediterraneo, e contrapposto ai modelli alimentari dei paesi industrializzati occidentali. Tale regime alimentare (Carbini 2006) vide la nascita grazie al fondamentale apporto dato dalle ricerche di alcuni medici nutrizionisti americani, in particolare i coniugi Ancel e Margaret Keys, coadiuvati dal

19 Tra questi, ricordiamo in particolare Banfield (1958), che sulla base di nove mesi di ricerca sul campo in un

piccolo paese della Basilicata, elaborò il noto concetto di familismo amorale, secondo il quale le condizioni di sottosviluppo di determinate comunità del sud Europa potevano spiegarsi attraverso elementi di arretratezza culturale.

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Emanuela Porru, Come cambiano le abitudini alimentari: cibo e processi di trasformazione socioeconomica. Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali, Università degli studi di Sassari.

medico nutrizionista italiano Flaminio Fidanza. Nel 1952 questi diedero il via ai primi rilevamenti sulle abitudini alimentari delle popolazioni dell’Italia del sud e della Grecia, individuando livelli di colesterolo inferiori a quelle delle popolazioni del nord Europa, a parità di apporto di lipidi. Il risultato venne interpretato come conseguenza dell’assunzione di olio d’oliva, ricco di grassi monoinsaturi. Esso gettò le basi per il Seven Countries Study, vasta indagine epidemiologica longitudinale avviata nel 1956 e condotta su Grecia, Finlandia, Italia, Olanda, Giappone, Usa e Jugoslavia, volta a dimostrare la correlazione tra assunzione di acidi grassi saturi, ipercolesterolemia e malattie cardiovascolari. Tuttavia, già nel 1975 il concetto di dieta mediterranea veniva sancito dalla pubblicazione dei Keys “Eat well and stay well, the

mediterranean way”, anche se il vero e proprio riconoscimento a livello internazionale arrivò più tardi, durante gli anni ’80. È in questo periodo che il concetto di dieta mediterranea ottenne

un riconoscimento universale, su base scientifica. L’elemento fondante del modello era

rappresentato dalla triade frumento – vino – olio (ma avrebbe un ruolo primario anche il pesce

e secondariamente i vegetali e i legumi), ed i suoi benefici avrebbero riguardato non solo le malattie cardiovascolari ma anche le patologie degenerative legate ai modelli di vita delle società industriali (diabete, cancro, tumori). Tuttavia, la costruzione di questo “regime mediterraneo” assunse da subito le sembianze di un modello ideale, quasi religioso e morale, di ascesi, frugalità e semplicità (Teti, 1999), a tratti semplicistico nel suo voler affermare la predominanza di alimenti di origine vegetale, ivi compresi i grassi, a scapito del diffuso ed effettivo consumo di grassi animali e, più in generale, di carne, salumi e formaggi (Montanari e Sabban, 2006). Piuttosto, occorre sottolineare come il concetto di dieta mediterranea andò ad anticipare, e poi rafforzare, il mito della dietetica generalizzata affermatosi negli Stati Uniti d’America a partire dagli anni ‘70 del novecento. A ben vedere, per il suo successo si rivelarono fondamentali gli interessi economici dell’industria agroalimentare americana, capace di smuovere media e canali pubblicitari e gettare le basi del mito di una alimentazione tradizionale, unica, immutabile e soprattutto diffuso in maniera identica nelle diverse aree del Mediterraneo. Il grande successo ottenuto dal concetto di dieta mediterranea, può tuttavia essere facilmente smantellato mettendo in discussione veridicità e universalità dei suoi caratteri peculiari (Montanari e Capatti, 2005):

 un primo elemento essenziale del regime alimentare mediterraneo è dato dalla rilevanza posta nei confronti dei grassi di origine vegetale, e in particolare dell’olio extravergine

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Emanuela Porru, Come cambiano le abitudini alimentari: cibo e processi di trasformazione socioeconomica. Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali, Università degli studi di Sassari.

di oliva. Occorre tuttavia considerare come l’olio di oliva – laddove la sua coltivazione

fosse diffusa – sia stato a lungo appannaggio esclusivo dei ceti abbienti. La grande

maggioranza della popolazione delle aree mediterranee, soleva utilizzare invece grassi di origine animale, strutto o burro a seconda dell’area geografica;

 la dieta alimentare mediterranea pone grande enfasi nel consumo di grano e dei suoi derivati. Tuttavia, anche il consumo di frumento e dei suoi derivati (in particolare pane bianco e pasta fatta in casa) sono stati per lungo tempo influenzati dal livello di benessere individuale e, per ciò che concerne le abitudini delle classi più povere, a lungo relegati per le grandi occasioni. I pani consumati quotidianamente erano prevalentemente realizzati con farine integrali (il cosiddetto pane nero). Era inoltre diffusa la preparazione di alimenti a base di farine “povere” (mais, castagne, ceci);  per quanto riguarda il consumo di alimenti proteici, vi era grande abitudine a cibarsi di

legumi, mentre il consumo di pesce e carne era assai inferiore e legato alla disponibilità di risorse nel territorio, alla diffusione umano di attività di allevamento del bestiame e più in generale ai livelli di benessere prevalenti;

 il consumo di ortaggi, basato esclusivamente su un criterio di stagionalità delle produzioni, era effettivamente elevato, così come era diffusa l’abitudine di integrare l’alimentazione con prodotti spontanei (erbe, funghi, lumache). Decisamente inferiori invece i consumi di frutta, la quale non sempre era facilmente reperibile.

Tali elementi portano a considerare non l’esistenza di un unico modello mediterraneo, quanto il sovrapporsi di una molteplicità di stili alimentari fondati su stagionalità, disponibilità territoriale delle risorse, prevalenza di sistemi produttivi differenti, disponibilità economica.