4. Passato, presente e futuro delle abitudini alimentari
4.5 Rituali alimentari e comunità
4.5.1 Reciprocità in senso stretto
Il primo tipo individuato è quello della reciprocità in senso stretto. In questo caso il primo soggetto che avvii un circolo virtuoso (di scambi o doni di beni, aiuto reciproco sotto forma di prestazioni di servizi), si assume la responsabilità del rischio di una non restituzione. Questo
tipo di reciprocità elettiva presuppone una relazione diretta tra individui che si conoscono a vicenda, e che si accettano. Tra di essi si andrebbe a generale un legame di fiducia interpersonale (Gili 2005 p.54, citato in Provasi e Pais, 2015 p. 361) e nel caso di disattesa delle
aspettative da parte di uno dei partecipanti verrebbero posti in essere dei meccanismi di marginalizzazione. Questo aspetto particolarmente rilevante in Sardegna ove, più che da meccanismi di gratitudine personale, l’azione individuale sembrerebbe orientata dall’agire di meccanismi di giudizio morale da parte della collettività e nei confronti dei singoli individui. Tale sistema di controllo reputazionale consentirebbe di mantenere un buon livello di relazioni non solo con la ristretta cerchia familiare ma anche con vicini di casa, conoscenti e soggetti coi
quali – precedentemente all’instaurarsi della relazione – ci si poteva trovare anche in rapporti
non esattamente amichevoli (Zene 2007).
Nello specifico, sono state individuate alcune attività riconducibili a questa prima tipologia. Come si è avuto modo di descrivere addietro (ivi par. 4.3.3), per la vita di comunità di queste aree, l’allevamento domestico del maiale risultava centrale e in occasione della sua macellazione annuale (che avveniva solitamente nel mese di dicembre) si provvedeva a sancire la forza dei legami parentali e amicali attraverso l’invio reciproco e senza obbligo formale di restituzione – ma regolato appunto da un sistema di sanzioni di ordine morale e reputazionale
(Mauss 1924, Malinowski 1932, Zene 2007) – di piccole quantità dei prodotti della
macellazione (polpa, salsicce, sanguinacci, strutto). Questa pratica diffusa in maniera incondizionata laddove fosse prevalente un sistema produttivo di tipo contadino, prendeva il nome di mandada o imbiatu (Zene, 2007) (col medesimo significato di invio) a seconda della variante linguistica tipica della zona:
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Emanuela Porru, Come cambiano le abitudini alimentari: cibo e processi di trasformazione socioeconomica. Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali, Università degli studi di Sassari.
Mia Suo e a aveva i aiali. […] Fa eva le salsi e, fa eva tutte le ose he si fa eva o o il aiale, sempre. [Quando si macellava – n.d.r.] si faceva la festa! Lo o fa eva o p op io la festa. Il gio o ’e a tutta la ge te he ve iva ad aiuta e. […] Pa e ti oppu e ual he vi i o. Pe h si aiutava o l’u o o l’alt o. Sì, e a p op io u a festa e lo i o do he io o a davo ea he al lavo o, pe h i è sempre pia iuto. Mi pia eva ta to ua do si lavo ava il aiale. […] Ve iva u ipote di solito pe a ella lo, e poi continuava in un paio di giorni. Non è che ci voleva solo un giorno. Perché di solito era un maiale grande quello che loro macellavano. Pe h fa eva o le ose pe tutto l’a o. E ui di ’e a da fa e le salsi e, siste a e tutta la a e, fa eva o il sa gui a io, lo st utto pe tutto l’a o. Ve iva lavo ato tutto il maiale. Quindi ci voleva anche una settimana. Eh sì, perché non potevi farlo tutto in un giorno. Perché la carne doveva riposare quando veniva macellata, poi lavorata, tagliata a pezzi per le varie lavorazioni. Ci voleva del tempo. [...] Di solito veniva sempre un nipote per macellarlo. Perché lui era macellaio e quindi chiamava o se p e lui. […] E poi ’e a se p e ussu de sa a dada107, si diceva. I
pezzi della a e li po tava o a asa di… Li dist i uiva o. Ai vi i i. Pe fa pa te ipi tutti di uesto eve to. […] e a o pezzi di a e. Queste ose. I uesto o sisteva, e a u ’usa za. [C’e a u si ile s a io di favori – .d. .] pe i at i o i, di solito. Qua do ’e a da p epa a e u at i o io ’e a o tutti i pa e ti o anche amici, vicini che partecipavano. Perché allora non si facevano nei locali o si comprava tutto pronto. Anche il pranzo si preparava tutti assieme. Qualsiasi evento importante, venivano coinvolti un po’ tutti. Qua do ’e a u a o te, di u pa e te, allo a ve iva o oi volti u po’ tutti. A e ia, Assemini)
Similmente a quanto accadeva per il maiale, tra le famiglie di pastori un momento fondamentale di condivisione con la comunità era rappresentato dal periodo della tosatura del bestiame, che avveniva solitamente a fine primavera. Anche in occasione di queste attività venivano coinvolti parenti, amici e conoscenti che potevano dare una mano nell’espletamento delle varie attività da svolgersi nella giornata. Il ringraziamento immediato per il contributo dato era rappresentato dal grande pranzo organizzato per l’occasione, nel corso del quale solitamente venivano preparati alcuni capi di bestiame (bolliti e arrosto), ravioli, dolci e in alcuni casi anche frutta comprata per l’occasione. Durante tutto il periodo della tosatura quindi, i pranzi e momenti di festa si susseguivano più volte nell’arco di alcune settimane poiché la comunità di volta in volta veniva coinvolta dalle diverse famiglie di pastori presenti. Questo scambio reciproco di favori rientra nella cosiddetta categoria del “aggiudu torrau108", e la ricompensa immediata data
dall’organizzazione del lauto pasto rappresentava il metro di giudizio utilizzato da quanti avevano prestato il proprio aiuto:
Festa grande! le pecore si tosavano a maggio, non in estate. E ti assicuro che volevano venire tutti alla tosatura delle pecore da noi. Perché avevamo il brodo di pecora, la carne arrosto, poi io facevo is timballasa109, poi ’e a a he la ela. […] No e a o u a osa da tutti i gio i. No. Le o p ava apposta
107 Trad.: quella cosa dell’invio. 108 Trad.: Aiuto restituito.
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Emanuela Porru, Come cambiano le abitudini alimentari: cibo e processi di trasformazione socioeconomica. Tesi di dottorato in Scienze Politiche e Sociali, Università degli studi di Sassari.
pe uello. U a assetta di ele. No e aveva o oi di f utta. Nell’oliveto aveva o l’uva a l’uva i autu o. […] Ve iva hi i vitava o. A i i di io f atello. A i i pasto i. Pe h si ito ava o i pia e i l’u o o l’alt o. Poi ’e a o uelli he o u i ava o, e uelli o li i vitava o: ad’a fai da u sa osa e pappai chi faidi in dommu de cussu110! (Antonella, Alto Oristanese)
Oltre a costituire dei momenti di festa, eventi quali la macellazione del maiale e la tosatura delle pecore coincidevano anche con una maggiore disponibilità di risorse alimentari e la possibilità di distaccarsi dalle routine quotidiane caratterizzate da una sobrietà nei consumi e dalla monotonia dei pasti. Era fondamentale dimostrare di essere in grado di seguire le regole di comportamento che secondo Zene (2007) possedevano la stessa valenza del codice della
vendetta barbaricina (Pigliaru 1959), ossia riconoscere adeguatamente l’aiuto ricevuto
mostrando generosità nell’organizzazione di un pranzo o nell’invio di un pacchetto di carne da consumare nei giorni successivi. Da queste piccole azioni discendeva la propria reputazione in seno alla comunità.
Col venir meno dei sistemi produttivi di tipo tradizionale questo genere di attività sono andate lentamente a scomparire. Oggi, nei rari casi in cui ancora ciò avvenga, tali relazioni paiono limitarsi all’ambito degli affetti più stretti (familiari e amici).