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La chance del pensiero maturo

2. L’esercizio critico di «pensare da sé»

1.1. La chance del pensiero maturo

La domanda sull’ Aufklärung che ha attraversato in filigrana la prima parte della ricerca, assunta come «rischiaramento intellettuale», per la cui realizzazione è necessario «pensare con la propria testa» e far uso delle proprie facoltà critiche, si è mossa nel tracciato dell’interrogazione critica, di una ragione che domanda, che vuole sapere, che sa giudicare e si sa orientare nel terreno del pensare ed è giunta fino alla sua consapevolezza in relazione al ruolo educativo. La transizione dalla «minore» alla «maggiore» età che, nella nostra ricerca, ha descritto il percorso per diventare adulti, maggiorenni e acquistare piena autonomia, pensando da sé, non risiede in un percorso lineare, certamente, indolore che ha in sé i tratti di una crescita graduale. Piuttosto, rimanda ad un orizzonte concettuale segnato da forza, necessità, coraggio. Potrebbe verosimilmente descriversi come una metánoia, una sorta di mutamento radicale di ciò che intimamente connota ciascuno di noi, il nous. Nella tensione dialettica del confronto tra l’attitudine a combattere per affermare e realizzare se stessi e la propria autonomia, una lotta incessante, pólemos, o la cancellazione della propria identità, volta non all’automortificazione, ma a una maggiore e compiuta realizzazione di sé, si attua la transizione nel confronto, nella relazione. Dunque, si diventa “maggiorenni” accettando il confronto, senza timore di arretrare al cospetto dell’ora della “decisione”. Ma non lo si diventa mai definitivamente: la minorità è un processo inconcludibile, che si riapre quotidianamente, si rinnova e si ripropone, esigendo la “disponibilità” a rimettersi in discussione, a ripensare se stessi, a rilanciare la sfida della ricerca. La mera presunzione di averla già acquisita, è quanto di più lontano da una effettiva maggiore età. Proprio in questo punto risiede, secondo Dewey, il grande vantaggio

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dell’immaturità, dal punto di vista dell’educazione nel fatto che «permette di emancipare i giovani dalla necessità di sostare in un passato superato».510

E allora, tutto potrebbe ricondursi alla nostra natura (hemeteran phýsin), «a seconda – afferma Platone – che abbia ricevuto una compiuta formazione (paideías) o che ne sia del tutto sprovvista (apaideusías)»511. Non si tratta, tuttavia, di concepire la

paidéia come strumento di “guarigione” dalla natura umana del “buio” in cui si

troverebbe inchiodata dalla nascita, secondo il mito platonico, ma come una modalità differente di “vedere le cose”. Attraverso la paidéia, un processo di formazione, è possibile fornire quella possibilità di “vedere altro” e diventare capaci di “vedere” ciò che sarebbe rimasto inaccessibile, con il rischio di possibili perdite e non solo di acquisizioni. Non può pertanto essere uno stato, cui si accede attraverso “l’infusione di conoscenze” e dal quale non si possa recedere, un in- segnamento come apposizione di segni, infusione di contenuti che riempono qualcosa che si ritiene essere vuoto. Né può essere, solleva ancora Platone, un «mettere dentro nell’anima delle conoscenze, come se si trattasse di istillare la vista in occhi ciechi».512 In questo senso, quel modo di pensare rigoroso, profondo , che vivifica l’indagine critica kantiana, per il quale, abbiamo visto, il «rischiaramento» è possibile a condizione di assumere una «postura intellettuale» e modificare l’esercizio concreto delle facoltà conoscitive per «imparare a pensare», sviluppando così un sapere che non riproduca conoscenze già acquisite, ma allarghi gli orizzonti della conoscenza si salda con la concezione “metafisica “ deweyana, volta a difendere una visione dell’esistenza come continuo divenire e trasformazione verso mete sempre più ricche di significato, e con la visione dialettica del mondo, grazie alla quale la realtà non è data a noi “in se stessa” ma costruita, i cui significati diventano ricchi, problematici, complessi, forieri di crescita.

Nel fil rouge che separa la libertà dalla schiavitù dell’abitudine e del pregiudizio, dal dogma della accettazione acritica e ospita il desiderio di ricercare, di esaminare, di discriminare e dedurre conclusioni in base ai fatti, dopo aver compiuto ogni sforzo per raccogliere tutti i dati possibili, per lasciare spazio alla libertà individuale favorendo la formazione di un self integrato, tracciamo, un ponte metonimico, dal piano filosofico al piano pedagogico. Indagheremo come sia possibile, dal punto di

510J.Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1984, p.93

511 Platone, Repubblica, VII Libro, 514 a, I -2. Il riferimento metaforico è al mito della “dimora

sottorranea simile a una caverna” quale immagine della nostra natura

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vista formativo, realizzare o almeno tentare di realizzare, il «miglior modo di pensare» che assicuri la formazione di un pensiero riflessivo, valorizzando appieno il contributo personale alla risoluzione di problemi, promuovendo strategie mentali efficaci utili per acquisire una capacità critica di giudizio e per assumere scelte virtuose nei processi decisionali. Ricollocare al giusto posto, afferma Dewey, il materiale, fatti, principi, “rischiarare” ciò che prima era oscuro, confuso, consente di afferrare il significato per la risoluzione di problemi e l’accesso alle conoscenze, nel rispetto delle libertà di ciascuno, favorisce la costruzione di nuovi saperi che, nell’esperienza educativa, educano a prendere decisioni in modo consapevole. Intercetteremo nel pensiero critico e nel pensiero riflessivo quel processo di indagine rigoroso, profondo che vivifica l’indagine critica kantiana, per il quale il «rischiaramento» è possibile a condizione di assumere una «postura intellettuale» e modificare l’esercizio concreto delle facoltà conoscitive per «imparare a pensare», sviluppando così un sapere che non promuova di per sé minorità, non riproduca conoscenze già acquisite, ma allarghi gli orizzonti della conoscenza.

In tal modo, dell’ Aufklärung, che trova pieno compimento all’interno di una dialettica educativa nella quale l’adulto orienta e sostiene i percorsi di crescita, pur nati nell’eteronomia ma con l’obiettivo dell’autonomia, e si addentra chi, con coraggio, ha forza e voglia di emanciparsi dalle catene del pregiudizio, abbiamo colto l’attualità pedagogica nei processi di formazione dell’individuo, rintracciando nell’esercizio della critica del rischiaramento, cioè la costituzione di noi stessi come soggetti autonomi e consapevoli, la capacità di esercitare in modo produttivo, un pensiero dal carattere tutt’altro che assertorio.

Pensiero critico e riflessivo, due modalità di pensare, saranno indagate nel loro carattere di sapere attivo, affinché risultino utili per migliorare la qualità del pensare e produttive alla formulazione di buoni giudizi per formare persone autonome, consapevoli delle potenzialità individuali, attraverso l’esercizio di quelle “abilità di giudizio critico e riflessivo”, invocate da Dewey quale requisito essenziale per «un’attrezzatura scolastica», necessaria agli studenti per insegnare a «imparare a pensare» criticamente, ad argomentare, a valutare punti di vista differenti su un stesso problema. Essi potranno allenarsi e imparare a vestire un habitus mentale, espressione di un modo di pensare critico e riflessivo che assicuri stili cognitivi e strategie di pensiero efficaci, ad argomentare, giudicare e valutare punti di vista differenti su un stesso problema. Si tratta, come sostiene Dewey, di mettere in moto

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«le risorse native nell’educazione del pensiero» perché «l’imparare è una cosa che l’allievo deve “fare da sé” e per se stesso» e il maestro non può che essere “guida” di un processo che implica la messa in moto di energie endogene di coloro che stanno imparando. E’ vero, che non possiamo introdurre a forza in un uomo «la capacità di pensare, se prima non abbia “pensato da sé” spontaneamente, tuttavia «se non possiamo imparare e non ci si può insegnare a pensare, possiamo imparare come pensare bene, come acquistare l’abito della riflessione».513 Dunque ciò che

interessa514 nella costruzione del pensiero è che per pensare bene occorre allenarsi ed esercitare le proprie capacità riflessive, acquisire “buoni abiti di studio” per pensare: orientare e influenzare gli abiti di pensiero che «sono sempre in via di formazione»515 nel corso della vita e perché la vera libertà «intellettuale», come potere di agire e di eseguire le azioni, indipendentemente dalla tutela esterna, poggia sull’«educato potere di pensare»,516 di guardare i problemi con ponderazione, di

giudicare se si dispone o meno della necessaria quantità di evidenza richiesta per una decisione e implica la capacità di autocontrollo. Rintracciamo chiaramente la dimensione attiva della ricerca nella quale il pensiero «è ricerca, investigazione, riesame, controllo […] operazioni volte a trovare qualcosa di nuovo, a metter in una nuova luce quello che già si conosce».517

Sullo sfondo della suggestione deweyana, esploreremo il pensare critico, una capacità intellettuale che favorisce la costruzione di strategie attive, misurandosi sia con strumenti di rigore cognitivo, che con processi mentali di alto livello high order

skills, base per la costruzione e revisione dei giudizi, delle scelte, e prepara la strada

alla riflessione, e il pensare riflessivo, il «miglior modo di pensare», ampio, profondo, raffinato, che si realizza mediante quell’epochè momentanea di sospensione del giudizio che consente di “fermarsi a pensare” e assumersi il “fastidio della ricerca”, “rischiarando” una situazione oscura proponendo alternative e suggerendo una via d’uscita. La dialetticità delle direzioni verso cui si orienta il pensiero riflessivo, «consapevolezza di sé» e «immaginare alternative», da noi assunte come caratterizzazioni proprie, rappresentano anche il fulcro intorno alle quali ruotano le ricerche svolte dal professor Stephen Brookfield sul pensiero

513 J. Dewey, Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze, 1961, p. 98 514 Ibidem

515 Ivi, p. 160 516 Ibidem

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critico, a testimoniare come, di quest’ultimo, il pensiero riflessivo si nutre e trae alimento. Le ricerche mostrano come un sistema formativo possa contribuire a promuovere le condizioni per uno sviluppo ottimale del pensiero critico nei processi formativi, integrandolo nel metodo di insegnamento, mediante un’analisi focalizzata su come gli studenti lo vivono e come gli insegnanti li aiutano ad “imparare a pensare criticamente”. Un aspetto, quest’ultimo, che presuppone l’attenzione su come sia possibile promuovere un “fare pedagogicamente orientato”, cioè una consapevolezza più matura intersoggettivamente del perché si fa quello che si fa nella quotidianità.

In questa seconda parte, l’Aufklärung realizza così la capacità maieutica di «rischiarare», di portare a maturazione il «pensiero autonomo» e veste l’abito della ricerca pedagogica, schiudendosi ad un soggetto che sappia trasformare la critica in una qualità, per assicurare radicamento dell’uso critico delle facoltà intellettuali e di giudizio, esito di una capacità di pensare che si pone come impegno coraggioso e processo di “uscita dalla minorità” in vista dell’auto-emancipazione. Ci troveremo di fronte ad un pensare ampio, profondo che spinge verso più alte soluzioni, ad una capacità affinata e acquisita di soppesare riflessivamente argomentazioni e prove relative a problemi in vista di soluzioni, ad una pratica che non sta né può stare, dentro nessun libro o manuale, ma che si esercita in un apprendistato cognitivo, cui siamo costantemente chiamati.

La proposta del pensiero, riflessivo nella lettura deweyana, rifonda, nella nostra interpretazione, da un lato, la «zona crepuscolare dell’indagine» vestendo l’habitus della ricerca mediante un “atteggiamento intellettualmente desto”, capace di valorizzare il massimo potenziale, reagendo così alla eventualità di permanere, per scelta propria, o obbedendo alla pigrizia, alla viltà, in uno stato di “minorità”, dall’altro, il pensiero come esercizio continuo alla base dell’autonomia e della libertà, mediante la riflessione e l’impegno critico che conferisce autonomia di giudizio e avvalora il confronto intersoggettivo delle opinioni, reagendo all’addestramento meccanico e irriflessivo di regole e formule, e al dogmatico assoggettamento, a vantaggio del libero ragionamento.