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Philosophiren lernen, un metodo di ricerca attiva

2. L’esercizio critico di «pensare da sé»

2.1. Selbsdenken e Selbstdenker: la fatica e il coraggio di «pensare da sé»

2.1.2. Philosophiren lernen, un metodo di ricerca attiva

Nella Nachtricht compare la distinzione, poi più volte ripresa da Kant, tra «imparare la filosofia», (Philosophie lernen), che coincide invece nell’acquisire asserzioni esposte da altri e «imparare a filosofare», (philosophiren lernen) che coincide invece nell’usare la propria ragione: una distinzione tra lo studio «storico» della filosofia, la filosofia come insieme di contenuti dati, trasmessi dalla tradizione e passivamente accolti, e la filosofia come metodo, ricerca in atto, partecipazione attiva al movimento e al progresso della ricerca scientifica.

Nella definizione di filosofia come metodo che va fatto acquisire mediante l’insegnamento universitario, proprio come per le scienze della natura, Kant rimarca che essa costituisce

il metodo di pensare e argomentare da se stessi è ciò di cui lo studente propriamente cerca di entrare in possesso, il solo che può essergli anche realmente utile, e di cui le eventuali conoscenze positive nel frattempo acquisite devono essere considerate come conseguenze contingenti, dovendo egli soltanto piantare in se medesimo la radice feconda per averne in sovrabbondanza.347

Kant si scaglia e critica una conoscenza meramente mnemonica della filosofia opponendo e invocando invece il metodo del “pensare e dell’argomentare da sé”,

346 In Logik Herder, p. 4. Kant afferma: «Soprattutto Cartesio fu famoso. Il suo metodo è molto

buono. E’ un maestro nel pensare autonomo (quando pensiamo con la nostra testa siamo filosofi metodici. In generale, un filosofo non può essere wolffiano o altro; si deve pensare con la propria testa»

347 I. Kant, Nachtricht, II, p.307,26-31tr.it., Comunicazione di I. Kant sull’ordinamento delle sue

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appunto autonomo e con la propria testa. Ciò troverebbe conferma anche in un appunto kantiano risalente, secondo l’Adickes, tra il 1752-1755/56 agli esordi della sua attività di docente:

si deve distinguere tra la conoscenza filosofica dalla conoscenza della filosofia: La prima è un habitus rationes rerum cognoscendi ed è acquistata meditando, esaminando e perscrutando; essa consiste più nel metodo nell’uso della propria ragione che nel riempimento della memoria con asserzioni già esposte. Al contrario, la cognitio philosophie è la conoscenza di quello che intorno ai principi delle cose è esposto nei libri dei filosofi. Questo tipo di filosofia ha il suo posto nella memoria. Si leggono definizioni, si impara a comprenderle mediante gli esempi che vi sono aggiunti e gli scoli, si imprimono nella memoria, si acquista quel tanto di conoscenza del rapporto delle proposizioni nella dimostrazione del teorema, che consente di ripeter il tutto fedelmente. Se si dimenticano le parole della definizione, non si è in grado di trovarne nuove da soli. Non si tratta che di fedeli ripetitori di grandi uomini.348

Insomma, Kant in questo passo precisa che è necessario distinguere la conoscenza filosofica dalla conoscenza della filosofia. La «conoscenza filosofica», acquisita attraverso un’analisi e una riflessione profonda, esaminando all’interno, consiste più nel metodo dell’uso della propria ragione, che nel riempimento della memoria con asserzioni già esposte. Esiste dunque uno scarto tra l’uso della ragione, un’attitudine attiva della ragione e il riempirsi la memoria con nozioni.

La «conoscenza della filosofia» - l’imparare la filosofia - è la conoscenza di quanto si trova esposto nei libri dei filosofi, è imparare dalle asserzioni altrui e il luogo della conoscenza è la memoria. Opposta a questa, troviamo la conoscenza filosofica, espressa dal fatto che la filosofia non la si impara, ma la si esercita, nella quale il problema non è legato all’apprendere le idee degli altri, ma a riuscire a produrre idee, nella quale l’enfasi è posta sull’apprendimento a filosofare e non sull’apprendimento della filosofia, nella quale l’obiettivo prioritario consiste nel diventare Selbstdenken, uno capace di pensare da sé e non con la testa altrui. Dunque, imparare la filosofia degli altri, è sempre utile, un arricchimento, ma non può esser confusa o fatta passare come pensare con la propria testa, o con “fare filosofia”.

Argomenti analoghi li ritroviamo nella Dottrina del metodo della prima Critica (Methodenlehre) in cui compare, anche con termini vicini, la distinzione wolffiana tra una mera «conoscenza storica», ex datis, della filosofia e una «conoscenza filosofica», ex principiis, della filosofia e viene collegata alla critica a una

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conoscenza e a un insegnamento soltanto mnemonici della filosofia. Afferma Kant che, se si prescinde dalla materia del conoscere e si guarda al modo in cui una conoscenza qualsiasi è acquisita, «ogni conoscenza o è storica o razionale»:

la conoscenza storica è cognitio ex datis; la razionale è invece cognitio ex principiis: Una conoscenza originariamente data come che sia, sarà, per chi la possiede, una conoscenza storica se egli l’avrà in quanto gli è stata data per via esterna o per esperienza immediata o per narrazione o anche per istruzione(cioè mediante conoscenze generali). Chi abbia imparato un sistema di filosofia, ad esempio il wolffiano, anche se si sarà ficcati intesta tutti i principi, le definizioni e le dimostrazioni, nonché l’intera ripartizione della dottrina, e sarà in possesso di queste cose a menadito, non avrà tuttavia acquistato che una completa conoscenza storica della filosofia di Wolff : non saprà e non giudicherà nulla di più di quanto gli è stato dato Se gli contesterete una definizione, non saprà come sostituirla Egli si è formato in base a una ragione estranea, ma la facoltà imitativa non è la facoltà produttiva: la sua conoscenza non gli viene dalla ragione, e quantunque sotto l’aspetto oggettivo, si tratti di una conoscenza razionale, sotto l’aspetto soggettivo si tratta di una conoscenza storica. Egli ha certamente appreso e ritenuto, ha imparato: è la copia in gesso di un uomo vivente.349

La «conoscenza razionale» o è «ricavata da concetti», derivata cioè dalle sue prime fonti di produzione, dai principi della ragione e si dice «filosofia» o «per costruzione di concetti» ed è «matematica». Le conoscenze razionali, oggettivamente tali (che hanno origine nella ragione propria dell’uomo) meritano di esser definite tali anche soggettivamente, se sono attinte alle sorgenti universali della ragione, cioè da princìpi dai quali può originarsi anche la critica, o addirittura il ripudio, di ciò che si è imparato. Afferma Kant:

[…] una conoscenza può essere filosofica sotto l’aspetto oggettivo e storica sotto quello soggettivo, come accade per la maggior parte degli scolari e per quanti non varcano mai i confini della scuola e restano scolari per tutta la vita». Ciò non è invece valido per la matematica, altra conoscenza oggettivamente razionale, la quale «comunque appresa», vale sempre anche soggettivamente, come conoscenza razionale. Ciò perché in matematica si ha un uso della ragione a priori, ma in concreto cioè mediante la costruzione del concetto nell’intuizione pura. In filosofia i concetti dati si espongono in forma mai apoditticamente certa, in matematica si costruiscono oggetti foggiati originariamente. Per questo Kant conclude, riproponendo la distinzione introdotta nella Nachtricht, che «di tutte le conoscenze razionali (a priori) soltanto la matematica si può soltanto imparare, non la filosofia (tranne storicamente), ma per appunto concerne la ragione, si può imparare a filosofare.350

Ma viene da domandarci se questa sorta di apparente enfasi, utilizzata da un Kant giovanile e sicuro, che il compito dell’insegnamento della filosofia sia creare un “Selbstdenken”, nel “deplorare”, in un certo modo, la Philosophie lernen (imparare la filosofia), possa o debba esser considerata un aspetto negativo, quello cioè di

349 I.Kant, Critica della ragion pura, A 836/B 864, tr. it., pp. 625-626 350 I.Kant, B 865, tr.it., p. 626

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imparare le idee dei filosofi, oppure sia possibile individuare, anche attraverso questa modalità, un lato utile per la vita. Kant al termine dell’articolo del «Nachtricht» afferma che si abusa della fiducia della persone invece di sviluppare la capacità intellettiva di giovani che ci sono affidati, e di formarla in vista di una futura conoscenza più matura e personale, li si inganna con una filosofia che si pretende già bella e fatta. Dunque, sembra non dire affatto che la conoscenza della filosofia e lo studio delle idee e del pensiero altrui siano da cancellare completamente, ma ribadisce che i giovani possono essere “ingannati”, qualora lo studio della filosofia e la conoscenza delle idee altrui si dovessero “contrabbandare”, magari facendole passare “abusivamente” come “fare filosofia”. Attraverso queste affermazioni, Kant sembra voler sottolineare una dimensione deontologica nuova del lavoro e della professione di docenza, di estrema modernità, cioè il dovere del docente di essere autentici, di non ingannare i giovani loro affidati, e seppure (il docente) decidesse di insegnare trasmettendo le dottrine dei filosofie i contenuti delle opere, potrebbe essere autorizzato a farlo, a condizione però di non confondere o non pretendere di “fare filosofia”. Nella Nachtricht del 1765 Kant pone con incisività il problema della filosofia e del suo insegnamento e spiega l’impossibilità di imparare la filosofia anche con la constatazione del dato di fatto che la filosofia, come sistema vero e compiuto, ancora non esisteva:

Per imparare la filosofia, per prima cosa dovrebbe essercene una. Si dovrebbe poter indicare un libro e dire: ecco, qui è la sapienza e la conoscenza sicura; imparate ad intenderlo e a capirlo; d’ora in poi costruite sulla base di questo, e sarete filosofi. Ma fino a quando non si potrà mostrare un tal libro di filosofia, al quale io mi possa appellare come, per esempio, a Polibio, per illustrare una circostanza della storia, o a Euclide, per un enunciato di matematica, mi sia concesso di dire che si abusa della fiducia delle persone quando, invece di sviluppare la capacità intellettiva dei giovani che ci sono affidati, e di formarli in vista di una futura conoscenza, più matura e personale, li si inganna con una filosofia che si pretende già bell’e fatta, che sarebbe già stata inventata per loro da altri.351

Questa stessa impostazione viene confermata da Kant anche nella Critica della ragion pura, e negli anni successivi al 1781352 quando afferma che:

351 I.Kant, Nachricht, p. 3076-17; id., Comunicazione di I. Kant sull’ordinamento delle sue lezioni nel

semestre invernale 1765-1766, pp.152-153

352 Kant era convinto di aver prodotto con la sua Critica una rottura con il passato e di aver innalzato

la filosofia dal piano dell’opinione a quello della scienza e si comprende come Kant possa affermare che per poter imparare la filosofia bisognerebbe che ce ne fosse una , e che questo non si possa dire fin quando non sia possibile mostrare un libro di filosofia al quale appellarsi come gli Elementi di Euclide in geometria; ma nel 1781 la Critica della ragion pura rappresenta in un certo qual modo quel libro in cui vengono poste le basi sicure sulle quali l’edificio del sapere filosofico potrà essere costruito (A XIX-XX; B XXIII-XXIV; B XXXIV; B XXXVIII; A856/B884).

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Ora, il sistema di tutta la conoscenza filosofica è la filosofia. La si deve ammettere oggettivamente, se per essa si intende il modello della valutazione di tutti i tentativi di filosofare, il quale deve servire a giudicare ogni filosofia soggettiva, la cui costruzione è spesso varia e mutevole. Così intesa la filosofia è semplice idea di una scienza possibile, non data mai in concreto, ma a cui si cerca di accostarsi per diverse vie, sintanto che non sia scoperto l’unico sentiero che il senso non lasciava vedere e sintanto che non ci riesca per quanto è concesso agli uomini di rendere la copia finora difettosa di tale modello. Fin qui, non si può imparare alcuna filosofia; perché dove è essa, chi l’ha in possesso, e dove essa può conoscersi? Si può imparare soltanto a filosofare, cioè ad esercitare il talento della ragione nell’applicazione dei suoi principi generali a certi tentativi che ci sono, ma sempre con la riserva del diritto della ragione di cercare questi principi stessi alle loro sorgenti e di confermarli o rifiutarli».353

Per questo nella Nachtricht Kant dice che:

«Per imparare la filosofia, per prima cosa dovrebbe essercene una»354 (e ciò non si può dire finché non si mostri un libro di filosofia cui potersi appellare come nel caso degli Elementi di Euclide in geometria).

Ma di fatto nel 1781 il libro c’è, ed è la Critica della ragion pura nel quale sono state poste le fondamenta sicure nonostante il sistema non ancora pienamente edificato.

La filosofia come “modello ideale” non può che essere data, in caso contrario non si potrebbe constatare l’assenza di una filosofia compiuta o giudicare insufficienti i sistemi di filosofia fin qui prodotti. Ma per Kant la filosofia come sistema rimane una «semplice idea» fino a che non si sia scoperto l’unico «sentiero» (ciò di cui è convinto aver fatto con la prima Critica, una rivoluzione sul piano del metodo grazie a cui si apre una fase nuova del pensiero filosofico). Anche se manca la costruzione del sistema in tutte le sue parti, tuttavia il sistema della filosofia è abbozzato sia, dice Kant, in riferimento al «concetto scolastico di filosofia», cioè al sistema delle scienze filosofiche considerato nella sua interezza soltanto logica, «il concetto di un sistema della conoscenza che è cercata solo come scienza, facendo astrazione da qualsiasi scopo che non sia quello dell’unità sistematica del sapere, quindi della perfezione logica della conoscenza»,355 che al «concetto cosmico di filosofia»

(conceptus cosmicus) cioè come «scienza della relazione di ogni conoscenza ai fini essenziali dell’umana ragione» e fra questi allo scopo finale che è «la destinazione dell’uomo» su cui si fonda «l’unità sistematica perfetta della ragione».356

353I. Kant, Critica della ragion pura, B 866, tr. it., p. 626 354 I. Kant, Comunicazione, cit., pp.152-153

355 Kant, Critica della ragion pura, ivi

356 Cfr. I. LKant, Critica ragion pura, A 838 -841 B 866-868. Sotto questo profilo, la filosofia è la

scienza della relazione di ogni conoscenza ai fini essenziali della ragione umana e il filosofo non è un artista della ragione, ma il legislatore della ragione umana

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Il primato del filosofare sulla filosofia e del metodo sui contenuti compare dopo il 1781 quando le altre parti del sistema sono ormai redatte In un testo risalente agli anni Ottanta, Metaphysic L2, di poco successivo alla prima Critica in cui Kant scrive:

Come si può imparare la filosofia? O si derivano le conoscenze filosofiche dalle prime fonti della sua produzione, cioè dai principi della ragione, oppure la si impara da coloro che hanno filosofato. Quest’ultima è la via più facile: Ma ciò non è propriamente filosofia. Posto che esista una filosofia vera, e la si impari, si avrebbe pur sempre soltanto una conoscenza storica. Un filosofo deve essere in grado di filosofare, e a tal fine non serve imparare la filosofia, dato che non si è in grado di giudicare nulla. […] (Quand’anche io imparassi una filosofia vera, e non sapessi pensare, non sarei in grado di filosofare). Ma una tale filosofia vera non esiste. Se impariamo a filosofare, dobbiamo allora considerare tutti i sistemi della filosofia soltanto come storia dell’uso della nostra ragione e come oggetto dell’esercizio delle nostre capacità critiche.357

Kant resta fedele al costante riferimento della tematica del Selbstdenken, alla concezione secondo cui il compito dell’insegnamento della filosofia è imparare a pensare con la propria testa. Anzi viene da lui stesso impiegata in molti scritti precedenti e successivi al 1765-1766, nel periodo precritico quando, ancora debitore della filosofia moderna risente dell’influenza del suo maestro C. Wolff, seguace del pensiero di Leibniz (dagli esordi della sua produzione,1750 fino a dopo il 1781 anno della pubblicazione della prima edizione della Critica) ma anche nel periodo critico, dopo il 1781. In un testo, Logik Jäsche, compilato utilizzando manoscritti che risalgono a periodi differenti e appunti personali di Kant, troviamo argomenti simili:

Non può definirsi filosofo chi non sa filosofare. Ma a filosofare si apprende soltanto con l’esercizio ed usando in maniera autonoma la propria ragione. Come può essere insegnata la filosofia? Ogni pensatore che si dedica alla filosofia costruisce la propria opera per così dire sulle rovine di un’altra, ma nessuna opera è mai arrivata allo stato in cui fosse stabile in tutte le sue parti. Pertanto, non si può imparare la filosofia per la semplice ragione che essa non c’è ancora. Ma anche ammesso che ce ne fosse una effettivamente data, nessuno, pur imparandola, potrebbe mai dire di essere un filosofo, perché la conoscenza che ne avrebbe sarebbe pur sempre, soggettivamente, solo storica […] Chi vuole imparare a filosofare deve invece considerare tutti i sistemi della filosofia solo come storia dell’uso della ragione e come oggetti di esercizio del suo talento filosofico. Il vero filosofo deve dunque, in quanto pensatore in proprio, fare un uso libero e autonomo della propria ragione e non un uso servilmente imitativo.358

E ancora in Logik Vigilantius, un frammento manoscritto, andato perduto, databile intorno al 1793, si legge:

357 I. Kant, Metaphysic L2, XXIX, p.534, cit. in G. Micheli, p.155 358 Logik, IX, par.3, p.25, tr. it. pp 19-20, in G.Micheli, p. 156

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la distinzione tra imparare a filosofare e imparare la filosofia consiste in questo: quest’ultimo [chi impara la filosofia] impara i concetti teorici che il suo maestro, ad esempio Baumeister, presenta nelle definizioni wolffiane raccolte in notiones phuilosophiae; egli ottiene una conoscenza meramente storica, senza abituarsi al pensiero. Il primo e cioè chi impara a filosofare] impara invece il metodo per pensare, benché si trovi anch’egli in uno stato di ricettività e sia addirittura semplicemente passivo riguardo alla comunicazione delle conoscenze materiali: egli impara però nello stesso tempo il metodo con il quale sottopone ad esame la teoria insegnatagli e acquisisce la convinzione del suo rigore.359

Potremo dunque dire che il vero filosofo non è colui che impara servilmente la filosofia di un altro, si tratti di quella esposta in un manuale per le lezioni nei testi più autorevoli e accreditati dalla tradizione di Wolff o Descartes o Platone – per il solo fatto che si crede che ciò che dice Platone sia vero, poiché non si è in grado di criticare ciò che si è appreso; ma anche quand’io imparassi una filosofia vera, non sarebbe ancora lecito che io pensassi di saper filosofare. Né chi impari a memoria questo o quel testo,360 se mai un giorno ci sarà, in cui fosse davvero contenuta la

filosofia vera e definitiva, l’edificio del sapere compiutamente stabile in tutte le sue parti e completo di enunciati inconfutati e inconfutabili.